C’è stato un momento, nel 2022, in cui il fiume Colorado, negli Stati Uniti, sembrava sul punto del collasso. Non tanto da un punto geografico, ma come architrave idrica di tutto il sud-ovest americano, fonte di prosperità in un territorio prevalentemente arido dove vivono 40 milioni di persone.

Come racconta Alessandro Portelli nel libro Acque d’America, la colonizzazione dell’ovest era stata fondata sull’addomesticamento dell’acqua attraverso monumentali infrastrutture come la diga di Hoover. Quasi cento anni dopo, sette stati, tra cui la California, si sono confrontati con la prospettiva della fine di quell’èra dell’acqua, per la combinazione di una siccità decennale e di una cattiva gestione secolare. Poi sono successe due cose, entrambe positive.

La prima sono state le abbondanti nevicate sulle Montagne Rocciose, dove nasce il lungo fiume che sfocia nel golfo di California. La seconda è stata una faccenda politica di tavoli e compromessi: l'amministrazione Biden ha confermato la sua principale qualità – saper condurre in porto negoziati difficili – e ha appena convinto gli stati che vivono di quell’acqua (oltre alla California, ci sono Nevada, Arizona, Utah, Colorado, New Mexico e Wyoming) a mettersi d’accordo su una riduzione coordinata dei prelievi.

Orizzonte 2026

Si tratta di due soluzioni temporanee a un problema strutturale. L’accordo vale solo fino al 2026, quando gli stati e gli utilizzatori dovranno mettersi d’accordo in modo permanente su un nuovo patto dell’acqua. E questo inverno di nevicate è stato sopra la media (+149 per cento), ma non è niente che possa riportare il fiume Colorado alla condizione di abbondanza pre crisi climatica. Il meteo e la politica hanno soprattutto permesso agli Stati Uniti sud-occidentali di guadagnare tempo per allontanarsi dal baratro e accettare che la grande abbondanza idrica del secolo scorso è finita.

Il corpo del fiume Colorado si è ridotto del 20 per cento rispetto a quando sono stati costruiti la diga di Hoover e i grandi bacini che permettono irrigazione e produzione di energia. Per ogni 0,5°C di aumento futuro di temperature medie globali, il Colorado perderà il 4 per cento della sua portata. Il bacino artificiale più importante, il Lake Mead, nonostante le precipitazioni dell’inverno è un terzo di quello di una generazione fa e da mesi restituisce cadaveri di esecuzioni di mafia e gente annegata negli anni ‘70, ‘80 e ‘90. L’accordo siglato dall’Interior Department porterà a un taglio dei prelievi di circa il 14 per cento nei prossimi tre anni. Al Los Angeles Times, Jack Schmidt, direttore Center for Colorado River Studies della Utah State University, ha stimato che questa è solo un quarto della riduzione che servirà nel lungo termine. L’assaggio di un futuro di nuova scarsità.

Lezione per l’Italia

L’accordo siglato tra i sette stati contiene anche una lezione per l’Italia, che da un paio d’anni si trova in una situazione simile: un governo nuovo dell’acqua dal lato della domanda è la principale forma di adattamento idrico per un’economia avanzata.

In parole più semplici: convincere tutti gli utilizzatori a fare con meno, spogliandosi di antichi privilegi. Lo stallo nell’ovest degli Usa era durato quasi un anno: le concessioni in vigore prevedevano dei diritti di “seniority per l’accesso, quasi tutti a favore dell’agricoltura e della zootecnia, che secondo una ricerca uscita su Nature nel 2020 usano il 79 per cento dell’acqua del fiume Colorado. Lo status quo però avrebbe mandato in crisi idrica grandi centri urbani come Los Angeles, Las Vegas e Phoenix.

Per convincere le parti, sono stati necessari soldi pubblici e il ricorso all’I.R.A., l’Inflation Reduction Act votato dal Congresso (dopo altri negoziati infiniti) la scorsa estate, la più ricca legge clima al mondo, attraverso la quale saranno messi a disposizione del settore agricolo 1,2 miliardi di dollari, per compensare la riduzione dei raccolti e la conversione digitale alle tecnologie di uso della risorsa.

Il settore agricolo

La vera domanda sul futuro di quella regione in un contesto di crisi climatica riguarda la forma, i ritmi e il destino della produzione di cibo con un fiume Colorado in versione ridotta. Come aveva scritto ad aprile Benji Jones su Vox, «in queste valli della California gli umani hanno trasformato il deserto in un’oasi agricola. Quello che un tempo era suolo bruciato dal sole oggi sono file e file di lattughe, carote, cavoli e foraggio per gli animali».

In posti dove piove pochissimo – Imperial Valley, Coachella Valley, Yuma – grazie all’acqua addomesticata del fiume Colorado cresce il 90 per cento di tutte le verdure consumate negli Stati Uniti in autunno e inverno, quando le altre fabbriche di cibo come Iowa o Nebraska gelano. E c’è un’altra questione che gli americani affrontano malvolentieri: il 55 per cento di tutta l’acqua dell’ovest (compresi gli usi civili, industriali, ed energetici) serve per produrre mangimi per il bestiame, in un paese dove si consumano in media 119 chili di carne per persona all’anno (circa il doppio della media europea).

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