L’Unione europea è oggi una confederazione di stati sovrani: ciascun paese ha il diritto di veto e al limite può anche decidere di uscire dall’Unione. Nel momento drammatico che stiamo vivendo, questa confederazione ha una sola strada: una maggiore integrazione al suo interno, con un nucleo di nazioni più coese che dia corpo a una vera e propria «federazione» (come sono ad esempio gli Stati Uniti).

Per arrivarci, innanzitutto occorre mettere in campo subito, auspicabilmente dopo la riconferma di Macron domenica, un piano sociale europeo per affrontare le conseguenze economiche della guerra: per mantenere bassi i prezzi dei generi di prima necessità, e per aiutare chi si trova in difficoltà per il rallentamento dell’economia.

Un piano sociale europeo di questo tipo, di significato paragonabile al Next Generation EU (la cui portata in termini reali si va riducendo, peraltro,  proprio per via dell’inflazione) è la prima cosa da fare anche perché può creare il consenso necessario per il passo immediatamente successivo: il cambiamento delle regole dell’Unione, per abolire il diritto di veto e arrivare così a un’Europa «a due velocità».

Dove c’è un nucleo forte, che attua politiche comuni a partire dal sociale, dall’energia e dalla difesa: che deve avere un vero e ambizioso bilancio comune, e che veda il rafforzamento delle nostre istituzioni federali, cioè il Parlamento europeo e la Commissione, rispetto ai singoli governi. E dove c’è un cerchio più esterno, di cui potrebbero far parte molti dei paesi dell’Est già adesso membri dell’Unione, che non condivide invece le strutture e le politiche della federazione.

In questo cerchio più esterno, potrebbero candidarsi a entrare, fra gli altri, i paesi ex sovietici (Ucraina, Georgia, Russia) e balcanici (Nord Macedonia, Serbia, Montenegro, Albania, Bosnia e Kosovo). Enrico Letta, sul Corriere della Sera, auspica invece che questi paesi entrino «subito» a far parte di una «Confederazione europea», più larga rispetto all’Unione.

Più che un modo per evitare gli errori del passato con l’allargamento a Est, come l’autore vorrebbe, la proposta sembra piuttosto un’accelerazione, che rischia di complicare le cose anziché risolverle.

Fra l’altro sono paesi complicati anche dal punto di vista geopolitico. Dentro la Georgia, ad esempio, c’è la Transnistria, uno stato non riconosciuto occupato da trent’anni dall’esercito russo. Sono questioni spinose da affrontare, tantopiù in un momento come questo (per ovvi motivi).

Ma poi: se oggi l’Unione Europea è in difficoltà, non è perché non esiste una confederazione con stati in fase di pre-adesione. Ma è perché non siamo una vera federazione politica. Questa deve essere oggi la nostra priorità: creare l’Europa politica, con l’Italia fra i paesi fondatori, che si può realizzare con un assetto a due velocità che parta subito dalle politiche sociali.

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