Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro–tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza di primo grado che ha assolto l’ex presidente del Consiglio Giulio Andreotti. La sentenza di secondo grado, confermata in Cassazione, ha accertato invece che – fino alla primavera del 1980 – Andreotti aveva avuto rapporti con i boss Cosa Nostra


L’affiliazione di Ignazio Salvo all’associazione criminale “Cosa Nostra” è stata accertata dalla sentenza n. 91/90 emessa il 10 dicembre 1990 dalla Corte di Assise di Appello di Palermo a conclusione del secondo grado di giudizio nel c.d. maxiprocesso.

In particolare, con riferimento alla posizione di Ignazio Salvo, nella motivazione della predetta pronunzia giurisdizionale si sono evidenziate le circostanze di seguito riportate, che appaiono dotate di indubbio rilievo anche ai fini della prova dell’appartenenza di Antonino Salvo al sodalizio criminale:

Osserva (...) la corte che va condiviso il convincimento espresso dai primi giudici in ordine all'affermazione di responsabilità dell'imputato per associazione per delinquere di tipo mafioso (...).

La corte di primo grado, con la sentenza impugnata, aveva infatti rilevato come la figura del Salvo (unitamente al di lui cugino Antonino, deceduto nelle more del processo) fosse stata adeguatamente messa in luce dalle stesse informative nel tempo acquisite dagli organi investigativi (ed il fatto, oggetto di contestazioni difensive anche specifiche, peraltro evidenziato per il giusto inquadramento della personalità dell'imputato, per altro verso destinatario di notevole considerazione a cagione dell'alto livello di inserimento imprenditoriale, è stato vieppiù stigmatizzato – ma ingiustamente, per quanto qui si specificherà – dalle difese sul rilievo di una pretesa valutazione indiscriminata della posizione dei due cugini, in collegamento allo stesso tenore di varie fonti probatorie espresse con riferimento a “i Salvo”).

Avevano dunque osservato i primi giudici che i Salvo (sintetica espressione univocamente riferita ai due cugini qui imputati), in vari rapporti informativi redatti dai carabinieri, erano stati ritenuti inseriti nel contesto associativo mafioso, anche in dipendenza di una conosciuta tradizione familiare (il padre di Ignazio, per quanto qui interessa, era stato considerato in un certo periodo perfino il “capo–mafia” di Salemi).

Erano state, in realtà, le dichiarazioni di Tommaso Buscetta che avevano confermato in modo chiaro ed inequivocabile l'attribuzione al Salvo (e al cugino) della qualità di “uomo d'onore”; perché le stesse erano assai precise e circostanziate e per di più suffragate da obiettivi riscontri processuali.

Il dato di maggiore portata indiziaria era infatti riposto nel fatto che nel dicembre del 1980 il Buscetta, con i suoi familiari, aveva potuto trovare comoda (rectius, lussuosa) ospitalità presso la villa dei Salvo adiacente al complesso alberghiero “La Zagarella”, dove aveva ricevuto visite da entrambi i cugini e dopo che i familiari avevano effettuato un viaggio dal Brasile utilizzando un aereo privato noleggiato da una società (...) formalmente gestita da Ignazio Lo Presti (imprenditore “vicino” ai “perdenti” e defilatosi in periodo di ”guerra di mafia”) ma sostanzialmente, secondo le deduzioni che ne erano state tratte, a carico dei medesimi Salvo.

In particolare, alcune intercettazioni telefoniche (anch’esse storicamente incontestabili, salve le deduzioni difensive sul loro tenore, di cui si dirà) avevano messo in luce uno strano interesse dei Salvo (idest, anche dell'odierno imputato) in ordine alla figura del Buscetta;

si era infatti desunto, dalla comparazione di esse, che Ignazio Salvo (mentre il cugino, dopo aver fatto perfino rinviare le nozze della figlia, in piena “guerra di mafia”, nel giugno 1981, si era dato a “vacanze” lunghe quanto fuori stagione, a bordo della sua imbarcazione...;

... in una telefonata la moglie di Lo Presti definisce “troppo strani” lo spostamento del matrimonio e la “sparizione” di Salvo) si era attivato per stabilire un contatto con Buscetta in Brasile, interessando il Lo Presti per ottenerne il numero di telefono da un certo faccendiere Carmelo Gaeta, comprendendosi dunque che lo scopo sotteso a quell’interesse, letto fra le righe delle conversazioni, era di propiziare il rientro in patria di Buscetta (e non è ultroneo qui ricordare il ruolo di costui, decisamente sovrastante, nel quadro degli assetti facenti capo ai “perdenti” in lotta per una riscossa contro i “Corleonesi” dopo le prime cruente sconfitte subite in quella primavera...).

Ed ancora, la eloquente vicinanza degli imprenditori (originari di Salemi, ma insediatisi da tempo risalente a Palermo, dove avevano conseguito una eccezionale crescita specie nel settore delle esattorie, a sua volta sospettato di inquinamenti mafiosi) agli ambienti della criminalità organizzata era stata confermata dal ritrovamento nel cadavere di Salvatore Inzerillo del loro recapito telefonico riservato (e l’Inzerillo poche ragioni di confidenziali rapporti poteva avere, nel suo incontestato spessore criminale);

dalla “sistemazione” nel settore delle esattorie di due congiunti di Gaetano Badalamenti (Silvio Badalamenti, ucciso nel 1983 ... e suo fratello, di sospetto inserimento mafioso, come da rivelazioni dei collaboratori ...), nonché di altri personaggi di estrazione mafiosa (come Giovanni Zanca, che faceva da autista a Francesco Cambria, presidente del consiglio di amministrazione della “Satris” ...); ed infine dalle stesse dichiarazioni di Benedetta Bono (l’amante del capo mafioso Carmelo Colletti...) circa la scontata vicinanza dei predetti. (...)

Chiarito, come la sede processuale impone, che giammai i giudici intenderebbero fondare il loro convincimento sul contenuto di informative di carabinieri, possibilmente basate su fonti confidenziali o comunque incontrollabili, merita osservare che, seppure in qualche caso fosse stato espresso un apprezzamento favorevole, il fatto (fisiologicamente comprensibile) sarebbe comunque certamente neutralizzato dalle numerose e convergenti indicazioni nel senso invece prospettato dall’accusa (...), laddove proprio il padre dell’odierno imputato era stato indicato come il “capo–mafia” di Salemi, a sua volta coinvolto in faide locali per il controllo della supremazia criminale.

Potrà, allora, discutersi se ad una discendenza di quel tipo possa correttamente attribuirsi valore sintomatico (...); ma non potrà contestarsi, come hanno dedotto le difese, che i Salvo, che avevano subìto perfino un sequestro di persona (di Luigi Corleo, suocero dell'esattore Antonino Salvo...), fossero piuttosto vittime della mafia (quando, specialmente, gli inquirenti avevano messo in luce inquietanti sospetti ai margini di numerosi omicidi in danno di pregiudicati ritenuti a vario titolo responsabili del sequestro medesimo, quasi alla stregua di una ritorsione mafiosa negli assetti contrapposti ...).

Il vero è che tali argomenti (...) avevano trovato adeguato e coerente sbocco nelle risultanze processuali. In primo luogo, nelle rivelazioni di Buscetta (...). Ma, ai margini di queste (...), va rilevato come non siano nel giusto le deduzioni circa la specifica inattendibilità del “pentito”; se è vero (...) che costui (ben disposto ... a mitigare le chiamate in correità nei riguardi di persone a lui vicine) aveva in un primo tempo (in un contesto ormai di dichiarata collaborazione con la giustizia) perfino negato di conoscere i cugini Salvo, per essere alla fine costretto ad ammettere il contrario, a fronte delle contestazioni circa il contenuto delle telefonate intercettate (e tuttavia mantenendo una linea abbastanza compiacente: «...il ruolo dei Salvo in “cosa nostra” era modesto ...»).

E difatti dalle rivelazioni, inevitabili, di Buscetta è emerso che anche l’odierno imputato era un affiliato (ma «non coinvolto nelle vicende di mafia»); che anche lui era andato a trovarlo nella villa contigua alla “Zagarella” (minuziosamente descritta dal “pentito”) dove aveva alloggiato alla fine dell'anno 1980; che aveva un rapporto notevolmente confidenziale con Stefano Bontate (una volta, per scherzo, aveva criticato un tavolo troppo vecchio del Bontate, proponendo al Buscetta di comprarne uno nuovo; un'altra volta aveva ironizzato sulla sua macchina: tutti atteggiamenti dunque di tono decisamente confidenziale), spinto al punto di parlare per esempio di Michele Greco come di un uomo «senza spina dorsale e in mano dei Corleonesi» (...).

Anche il fatto storico della utilizzazione da parte di Buscetta del lussuoso rifugio offertogli dai Salvo non è oggetto di contestazione; deducendosi, però, da parte dell’imputato, che questo gesto di solidarietà a favore dell’illustre latitante (ma anche questo depone per comportamenti non da vittima ma da connivente) era stato il frutto di esclusiva iniziativa da parte del (defunto) cugino Antonino.

Laddove, ogni questione, anche ai margini delle motivazioni dei primi giudici che hanno ritenuto la linea difensiva artificiosamente costruita e sorretta perfino da testi compiacenti (sul fatto che Ignazio Salvo aveva allegato di avere trascorso all'estero quei giorni di fine d'anno, come da biglietti aerei prodotti, e di avere saputo solo dopo di quanto era avvenuto a sua insaputa), è destinata ad essere decisamente smentita dal rilievo che secondo lo stesso Buscetta anche l’odierno imputato era andato a trovarlo (e nulla prova la esatta coincidenza tra il viaggio e la complessiva durata della permanenza a Palermo di Buscetta, il quale aveva ... ricordato che lo stesso era andato anche a trovare Stefano Bontate); ed ancora una volta soccorrono le considerazioni di base in ordine alla verificata non animosità del “pentito” ed anzi al suo atteggiamento di segno decisamente contrario (...).

Ugualmente infondate sono le articolate censure difensive ai margini delle intercettazioni telefoniche, la cui sequenza cronologica è essa stessa di sicura portata probatoria.

Il Lo Presti, infatti, era un sicuro tramite di Buscetta, se è vero che a casa sua lo stesso aveva telefonato dal Brasile subito dopo l’omicidio Inzerillo per mettersi in contatto con il fratello dell’ucciso (... egli si qualifica con il nome convenzionale di “Roberto”, che la moglie di Lo Presti, Maria Corleo, confermerà di avere bene conosciuto perché era stato pure a cena a casa sua; e dà incarico alla stessa donna di riferire il messaggio al marito; il giorno dopo, ... richiama e parla con Ignazio Lo Presti, che gli si rivolge con tono rispettoso e dandogli del “lei” – “signor Roberto” – mentre lui lo chiama confidenzialmente di “tu”, e lo stesso lo avverte che se lui ritiene di dover venire loro avrebbero organizzato tutto, parlando di un certo “Nino” molto interessato alla cosa; si noti che lo stesso Lo Presti e la moglie avrebbero fatto intendere che costui era il Salvo –... e di questo lo stesso Buscetta avrebbe poi fatto confidenza a Fabrizio Norberto Sansone).

Ed è appunto per questo comprensibile che Ignazio Salvo telefoni al Lo Presti il 22 giugno 1981 (...) per stabilire un contatto finalizzato agli ulteriori sviluppi (la difesa insisterà nel dire che si trattava di affari di prestiti di denaro, ma la telefonata è di tenore tutt’altro che coerente a questo, se è vero che il Salvo invita il Lo Presti a venirlo a trovare a Salemi – «al paese nostro» – e in un posto chiaramente inadatto a quel fine: «alla casa di Paolo? ... in campagna?»; «all’acqua, là ...»;

«in campagna ... dove c’è la fontana ...»: insomma in luoghi di raduni di tipo diverso); e che il giorno dopo, di buon mattino, lo richiami per dirgli: «hai qualche cosa?» (cioè i soldi che gli doveva, secondo le poco perspicue deduzioni difensive: perché se fosse vero che “qualche cosa” non può essere il recapito telefonico di Buscetta, non sarebbe meno vero che non possa essere neppure, a fortiori, la somma di denaro della quale asseritamente il Salvo era creditore; tanto è vero che il Lo Presti dice che sia il Salvo stesso a richiamarlo ancora, e questo, a tacer d'altro, contrasta con il tono ossequioso e obbediente del primo: ”agli ordini”).

Il tutto è comprensibile proprio perché quello stesso giorno il Lo Presti si mette in contatto telefonico con Carmelo Gaeta (...), con il quale parla dell’amico “Nino”, che è “partito”, e poi gli chiede il recapito telefonico di “Roberto”, che lui deve dare a «Giuseppe, che è il cugino di Nino», sottolineando il sottinteso, che tosto si capirà, con un: «hai capito?», carico di significato, allo stesso modo della risposta ermetica del Gaeta: «ho capito» (aggiungendo, a chiarimento ... che “Roberto” avrebbe dovuto richiamare lui ma non l’aveva più fatto, solo che «ora invece sia Nino che suo cugino Giuseppe – hai capito? – hanno bisogno di mettersi in contatto con lui»; e «siccome domani mattina [il cugino di Nino] mi deve chiamare ...», tanto rivestiva carattere di urgenza).

E difatti il giorno successivo (mentre nelle more il Lo Presti sarà arrestato) il Salvo ritelefona (...) e parla ancora con la moglie, qualificandosi “Giuseppe” (la Corleo dirà di avere ben inteso che si trattava di Ignazio Salvo; e si veda pure la deposizione di Vincenzo Falluca che lo ha confermato ...); laddove la consecuzione logica dei comportamenti non può essere incrinata, nella sua portata indiziaria, neppure ammettendo (per vera la tesi difensiva) che la precauzione fosse giustificata dall'arresto del Lo Presti (ma si noti che questo fatto viene comunicato alla donna alle ore 15 circa di quel giorno ... mentre quella precauzione era stata ”adottata” alle ore otto circa del mattino).

E naturalmente, in questo contesto, le pur riluttanti ammissioni di Buscetta (...) ai margini di queste vicende non prestano affatto il fianco ad alcuna perplessità; come pure, le ragioni dell'interesse ai contatti con quel personaggio in Brasile non possono che risiedere nei termini esatti dell'accusa.

Di tal che le ulteriori acquisizioni (di Calderone che ha confermato che l'imputato era un affiliato da lui conosciuto (...) e di Marino Mannoia che aveva avuto analoga notizia nell'ambiente (...) finiscono con il sovrapporsi ad un quadro complessivo di sicura portata probatoria.

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