«Con la Francia non è solo un incidente diplomatico. Rivela l’anima del nazionalismo approdato a palazzo Chigi». Per Gianni Cuperlo, ex presidente Pd e deputato, il trattamento ai naufraghi è la prova «di un’Italia disumana e lontana dal diritto. La premier dice deve difendere i nostri confini. Ma da chi? A Lampedusa è morta una creatura di 20 giorni».

L’atteggiamento muscolare contro i naufraghi aumenterà il consenso al governo delle destre?

Non lo so, ma è l’ultimo dei problemi. Prima viene il senso di umanità. Giorgia Meloni ha definito “bizzarra” la decisione dei medici di far sbarcare tutti i naufraghi a Catania, perché non ci sarebbero state “prove” della loro fragilità. Siamo al di là dello scontro politico. Sono parole che isolano il nostro paese dal consesso civile e lo riducono a emulatore dei muscoli di Victor Orbán.

Il Pd, quand’era al governo, ha addestrato la cosiddetta Guardia costiera libica a catturare chi fuggiva dai lager.

Il presente della Libia, uno stato fallito, nasce dalla scelta sciagurata di distruggere il paese nel 2011.

Scelta votata anche dal Pd.

Un errore. C’era il governo Berlusconi, ma come dice Emma Bonino, l’Occidente è abile a destituire dittatori senza interrogarsi su cosa succede dopo. Il Memorandum è stato un’ulteriore ferita, un accordo di collaborazione con la Guardia Costiera, non proprio la Marina Britannica, che ha determinato il rimpatrio nei lager di chi, dopo mesi di violenze, riusciva a fuggire. Il fatto che pochi giorni fa il Memorandum è stato rinnovato in automatico, senza neanche un voto del parlamento, non rende la ferita meno dolorosa. Ma sì, è stato un errore che abbiamo pagato in credibilità, forse in consenso.

La ricerca di identità, che lei chiede al Pd in questo congresso, non è azzoppata dagli errori passati?

Se vogliamo che il congresso sia davvero costituente non possiamo evitare un’analisi rigorosa degli errori compiuti. Non serve azzerare il pregresso fingendo di poter scrivere una storia nuova senza la consapevolezza di quella che abbiamo alle spalle. Sarebbe una rimozione, e non ci verrebbe perdonato. Da troppo tempo rinviamo la discussione sull’anima del Pd.

L’identità, l'anima come dice lei, significa che il Pd deve essere più di sinistra?

La sinistra vince quando fa il suo mestiere. Se si batte per la parte più offesa della società. E perde quando non sa cosa dire alla parte che è rimasta più indietro. Anche perché a quel punto ad offrire le risposte possono essere una tecnica senza morale o una destra senza umanità. Insomma quelli dei conti in ordine anche se molti non sanno come mangiare, o quelli dei naufraghi “carico residuale”. Il nostro compito è respingere entrambe le visioni. Sulla prima abbiamo già dato, e pagato, e la seconda è la risposta delle destre, ed è pericolosa.

Nel Pd ci sono grandi fan dei tecnici, dell’Agenda Draghi. Non vi conviene dividervi? O sciogliervi?

Ho letto con stupore l’editoriale del tuo, posso dire del mio direttore, dopo la sconfitta che abbiamo subito. Ma sciogliere la forza che comunque resta il primo presidio dell’opposizione sembra l’invito a fare body jumping senza l’elastico. Ogni posizione è legittima, ed è vero che il Pd è in crisi, ma portare i libri in tribunale sarebbe un insperato regalo alla destra.

Un Pd che non può decidere da che parte sta rischia di essere prosciugato da destra e dal Terzo Polo, e di là da Conte.

Il Pd deve scegliere, ma fra il Macron italiano e il Melénchon pugliese il rischio è ridurre tutto a una caricatura. Noi dobbiamo costruire l’alternativa alla destra. Calenda e M5s vogliono aggravare la nostra crisi a loro vantaggio, e non per costruire un’alternativa vincente. Matteo Renzi questo disegno l’ha esplicitato quando ha fondato Italia viva e predetto per il Pd la sorte dei socialisti francesi. Alle politiche avremmo dovuto interpretare meglio la legge elettorale, anche dopo l’errore di Conte di far cadere Draghi. Dovevamo provare a non spezzare quell’alleanza. Ma la verità è che se anche ci avessimo provato, sarebbe stato Conte a non volersi alleare. Si è visto in Sicilia e oggi si vede nel Lazio. Perché l’isolamento gli porta consensi ma è uno sguardo miope. Nel Lazio Conte ha scelto una corsa autonoma consentendo alla destra di aumentare le chance di vittoria in una regione che, numeri alla mano, avremmo potuto riconfermare con ragionevole certezza.

Resta che alle politiche il gruppo dirigente Pd era in maggioranza contro l’alleanza con M5s.

Dopo la caduta di Draghi sì. Prima siamo stati al governo con loro dal 2019. Io avevo qualche riserva, ma capivo la necessità di non consegnare l’Italia ai “pieni poteri” di Salvini. Da lì è nata una collaborazione che ha prodotto risultati, penso a pandemia e fondi europei, che tutti rivendichiamo. Certo la rottura su Draghi è stato un trauma. Il nostro vero errore è stato sopravvalutare il sentimento popolare su quel governo. Ci aspettavamo un lutto nazionale. Invece abbiamo sottovalutato la popolarità che Conte ha mantenuto.

Nel Lazio l’alleanza che c’è, Pd-M5s-Terzo Polo, non si rifarà. Perché dice no Conte, ma anche Calenda. E oggi siete alleati con Calenda.

Il nostro candidato è Alessio D’Amato, bravissimo assessore alla sanità, che costruisce la sua militanza politica dal Pci di Labaro, poi nei Comunisti italiani. È una candidatura solida, qualificata, competitiva. Con una fortissima matrice popolare e di sinistra, la più di sinistra che abbiamo mai scelto. Calenda lo ha sostenuto dal primo momento. Conte invece rompe per il termovalorizzatore romano: un pretesto strumentale perché è una competenza del comune, non della regione.

Calenda agita comunque la questione del termovalorizzatore. Non rischiate di spingere i rossoverdi fra le braccia di Conte?

Con i rossoverdi siamo stati alleati alle politiche, mi auguro che abbiano la visione giusta per capire che indebolire la candidatura di D’Amato sarebbe un errore grave.

La sinistra del Pd ha molte “anime”: Andrea Orlando, Nicola Zingaretti, la sua, quella dei Giovani Turchi. Perché non riuscite a trovare un candidato comune al congresso? Potreste vincerlo.

Prima di un candidato, spero che in quella che lei chiama la sinistra interna, a cui dà un perimetro generoso, ci sia un confronto vero. Nella stagione renziana, che è stata determinante per segnare la crisi del Pd, c’è chi ha fatto scelte e avuto ruoli diversi. C’era per esempio chi il jobs act lo ha considerato una ferita al legame con pezzi del nostro mondo di riferimento, e chi riteneva che i sindacati fossero un orpello del passato. Se riduciamo tutto a un candidato comune, ci ritroveremo a fine congresso con gli stessi problemi di oggi. Cito il jobs act perché la perdita di consenso nel mondo del lavoro è ben precedente a Renzi, ma noi, quando abbiamo perso quel voto, siamo andati alla conquista del ceto medio. Questo ha significato cambiare le priorità: abbiamo lasciato la strada di una politica fiscale e una tassazione progressiva seria. Insomma le sinistre degli anni 90 hanno sfidato la destra, ma sul suo terreno. Intendiamoci: sono pronto a discutere con tutti. Però è facile trovarci d’accordo sul ddl Zan e contro il Memorandum con la Libia. Più impegnativo confrontarsi su come si ricostruisce un legame fra capitalismo e democrazia, che poi è il tema che investe oggi l’intero occidente.

Se Elly Schlein si candida la sosterrà?

Le ho appena fatto un ragionamento. Il punto non è aprire l’arruolamento. Sarebbe stato saggio rivedere le regole del congresso, non far eleggere il segretario da chi non sai nemmeno se ti voterà. Ma lo so, mi attendo settimane dolorose dove la domanda sarà “chi voti”. Farò di tutto perché il congresso non sia ridotto a questo.

C’è chi prova a velocizzare il congresso. Perché?

Un percorso costituente va fatto in tempi distesi. Non pretendo i due anni del congresso della svolta del Pci né il comitato centrale che discusse la proposta di Occhetto per cinque giorni.

Che peraltro finì con una scissione.

Ecco. Comunque o si creano le condizioni perché questo processo sia largo e inclusivo, oppure una settimana più o in meno non cambia. Ma se togli due ruote a un’automobile, non vai più veloce, ti cappotti.

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