Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza della Corte d'Assise di Milano che ha condannato all'ergastolo Michele Sindona per l'omicidio dell'avvocato Giorgio Ambrosoli


I ripetuti episodi di intimidazione fin qui esaminati integrano sicuramente gli estremi dei delitti di violenza privata e di tentata estorsione contestati ai capi 5) e 6) della rubrica. Si è già visto nel precedente capitolo come Cuccia avesse acconsentito a discutere con gli emissari di Sindona in ordine ai progetti di salvataggio, unicamente a causa delle minacce ricevute. Ciò deve ritenersi anche per il periodo ora in esame, nel quale le minacce e le azioni intimidatorie nei confronti di Cuccia e delle sua famiglia si susseguirono con crescente gravità, e nel quale Cuccia, per mantenere aperto un contatto ed un canale di comunicazione con l'ambiente da cui proveniva il pericolo, fu costretto ad accettare una serie di incontri e di colloqui, anche all'estero, con persone di quell'ambiente.

Inoltre, con il messaggio scritto di Sindona, letto a Cuccia da Magnoni nel corso del colloquio avvenuto a Zurigo il 18 ottobre 1978, per la prima volta l'attività intimidatoria venne accompagnata da una richiesta di versamento di somme di danaro: le intimazioni di pagamento a Cuccia divennero sempre più esplicite in occasione delle attività intimidatorie poste in essere ai' suoi danni nei periodi successivi, come si dirà più oltre.

L’efficacia intimidatrice di tali azioni, e la loro idoneità a coartare la volontà della vittima, sono di piena evidenza, e risultano dalla gravità stessa del male minacciato, dal chiaro legame di continuità fra queste minacce ed il progetto di sequestrare un figlio di Cuccia, portato a conoscenza dello stesso un anno prima, dalle modalità delle intimidazioni che compresero un attentato incendiario alla casa del presidente di Mediobanca, e, soprattutto, dai ripetuti riferimenti alla mafia siculo-americana indicata come un'organizzazione che aveva a cuore le sorti di Sindona e che avrebbe provveduto a porre in atto terribili vendette contro Cuccia ed i suoi familiari.

Questi chiari e continui riferimenti alla mafia siculo-americana comportano, per il delitto di violenza privata, la sussistenza della circostanza aggravante prevista dal capoverso dell'art. 610 cp [...], e, per il delitto di tentata estorsione, la sussistenza dell'aggravante della minaccia proveniente da più persone riunite, prevista dal capoverso dell'art. 629 cp [...]. Che tutte le azioni minatorie ed estorsive compiute in questo periodo ai danni di Cuccia, anche con telefonate anonime e con un attentato incendiario, provenissero da Sindona il quale ne era il regista ed il mandante, è sicuramente dimostrato da varie risultanze e considerazioni logiche.

Infatti: le minacce rivolte a Cuccia fra l'autunno 1978 e la primavera 1979 erano una continuazione della manovra intimidatoria posta in essere ai danni dello stesso nell'estate del 1977, manovra che, come risultato dalle dichiarazioni di Cavallo, di Navarba e di Castaldi, era stata ideata e ordinata da Sindona; tali minacce erano poste in essere nell’esclusivo interesse di Sindona, ed erano dirette al conseguimento di quel risultato per il quale egli ed i suoi collaboratori si stavano attivando; alcune di queste minacce vennero rivolte a Cuccia non da ignoti telefonisti o attentatori, bensì da un emissario e portavoce dichiarato di Sindona, qual era il Magnoni, e addirittura dallo stesso Sindona personalmente nei colloqui del 10 e dell’11 aprile 1979; l’autore delle telefonate anonime minatorie si metteva sempre in contatto con Cuccia in concomitanza con gli incontri che questi aveva in programma con Guzzi, facendo spesso riferimento a tali incontri e mostrandosi comunque a conoscenza di circostanze che poteva avere saputo solo da Sindona; analoghe attività intimidatorie nei confronti di Cuccia furono poste in essere, come si dirà più avanti, anche nei periodi successivi, e la provenienza sindoniana di queste ultime attività venne confermata anche da acquisizioni probatorie di natura documentale; le indagini successive, delle quali si parlerà più oltre, portarono all'identificazione di alcuni degli autori materiali di azioni intimidatorie compiute in questo periodo e nei periodi seguenti ai danni di Cuccia, in William Arico, Gino Cantafio, Giuseppe Scuccimarri, Robert Venetucci, Charles Arico, Francesco Fazzino, Giovanni Gambino: tutti costoro, sia che risiedessero in Italia sia che invece fossero residenti negli Stati Uniti, sono risultati direttamente o indirettamente collegati a Michele Sindona, e alcuni di loro, specificamente William e Charles Arico, dichiararono, nel modo di cui si parlerà diffusamente, che l'incarico di quelle azioni proveniva da Sindona per il tramite di Robert Venetucci; Nino Sindona, figlio di Michele Sindona, nel corso di conversazioni avute con il giornalista americano Luigi Di Fonzo il 18 e il 19 marzo 1983 e delle quali Di Fonzo produsse le registrazioni, ammise che il padre, per mezzo di Robert Venetucci, aveva dato incArico a William Arico di minacciare Cuccia: anche su questa risultanza si dovrà tornare più diffusamente trattando dell'omicidio di Giorgio Ambrosoli.

Enrico Cuccia non fu tuttavia la sola persona a dover subire, in quei mesi, le criminose pressioni intimidatorie di Michele Sindona e dei suoi incaricati: anche Giorgio Ambrosoli, infatti, fra il dicembre 1978 ed il gennaio 1979 fu oggetto di una pesante manovra intimidatoria, ed il collegamento fra le due azioni emerge chiaramente, oltre che dal contenuto dei messaggi di minaccia, anche dal fatto che l’autore delle telefonate anonime effettuate nei medesimi giorni si qualificava, parlando con Cuccia, come “Ambrosoli” , e, parlando con Ambrosoli, come "Cuccia".

Nello stesso arco di tempo, inoltre, Michele Sindona negli Stati Uniti portò ad esecuzione una grave azione intimidatoria ai danni di Nicola Biase, il quale, già dirigente dell'Ufficio Estero della Banca privata finanziaria, aveva reso importanti deposizioni a cArico di Sindona nell'istruttoria del procedimento per bancarotta fraudolenta pendente a Milano nei confronti di quest'ultimo e di altri, e si era poi trasferito a New York aprendovi un ufficio. In tale ufficio Sindona nel novembre 1978 aveva inviato due pregiudicati - poi identificati in Luigi Ronsisvalle e Bruce Mc Dowall, assoldati per suo incarico da Mario Maimone - i quali minacciarono il Biase di ucciderlo e di rapire i suoi bambini, al fine di costringerlo a ritrattare le deposizioni da lui rese in Italia a cArico dello stesso Sindona nel procedimento di bancarotta.

La vicenda di Nicola Biase - che è stato possibile ricostruire nelle linee generali attraverso le deposizioni dello stesso Biase e di Mario Maimone, e soprattutto attraverso gli atti dell'indagine effettuata negli Stati Uniti dall'F.B.I., confermati al dibattimento dall'agente speciale John Trahon - non è oggetto del presente procedimento, ma è significativa in quanto conferma ulteriormente che in quell'epoca Sindona aveva adottato una generale strategia di aggressione e di intimidazione nei confronti delle persone che intendeva piegare al suo volere, ed era solito a tal fine utilizzare le prestazioni criminali di individui appartenenti al sottobosco della malavita italo-americana.

Pienamente provato è il concorso di Piersandro Magnoni nella manovra intimidatoria ed estorsiva con la quale, nel periodo ora considerato, si costrinse Cuccia a continuare ad incontrarsi con emissari di Sindona per trattare dei progetti di sistemazione, e si tentò di costringerlo a versare somme di danaro al cui pagamento egli non era minimamente tenuto. Magnoni, avendo preso parte all'azione minatoria attuata nell’estate 1977 per costringere Cuccia ad incontrarlo a Londra e ad acconsentire ai colloqui successivi aventi per oggetto l'esame dei progetti di sistemazione, sapeva perfettamente che fin dall’inizio Cuccia era stato portato ad occuparsi di tali progetti mediante una grave coercizione morale; a partire dall'ottobre 1978 Magnoni, informato della nuova offensiva minatoria contro Cuccia, non soltanto acconsentì ad incontrarlo ripetutamente - dando solo con questo il proprio contributo al verificarsi dell'evento del nuovo delitto di violenza privata - ma partecipò attivamente all'azione esecutiva tipica di tale delitto e di quello di tentata estorsione, comunicando egli stesso alla vittima alcuni dei messaggi intimidatori ed estorsivi.

Egli infatti, nell'incontro di Zurigo del 18 ottobre 1978, lesse a Cuccia la nota di Sindona con la quale, attraverso chiare minacce mafiose, gli si intimava di assumere iniziative volte ad "integrare" lo stesso Sindona "nei suoi averi". Inoltre, nel colloquio del 22 marzo 1979, vantò a Cuccia i rapporti privilegiati di Sindona con la mafia italo-americana, e gli disse che secondo un certo avvocato che teneva i rapporti con la mafia, egli ed i suoi familiari dovevano essere uccisi.

Infine in tali colloqui egli cercò di accreditare il falso assunto di Sindona, secondo cui le minacce a Cuccia provenivano da iniziative autonome di ambienti mafiosi italo-americani vicini allo stesso Sindona, e con ciò non fece che accrescere l’effetto intimidatorio delle minacce, lasciando intendere che dietro a quest'ultimo vi fosse una potente e segreta organizzazione criminale che premeva affinché nei confronti del presidente di Mediobanca e dei suoi familiari venisse attuata una terribile vendetta. Che questo assunto fosse falso e destinato a rendere più temibili le minacce, e che Magnoni fosse partecipe di questa simulazione, risulta - oltre che dall'intero quadro probatorio e dai rapporti di mandato criminale in seguito accertati fra Sindona e alcuni degli esecutori delle azioni intimidatorie - perfino da un documento segreto redatto dallo stesso Sindona nel settembre 1979, durante il suo finto rapimento, e indirizzato a Magnoni.

In tale documento, del quale si parlerà in seguito, Sindona, dopo avere ragguagliato il genero sulle azioni intimidatorie in corso nei confronti di Cuccia e dopo averlo istruito sulle richieste da rivolgere allo stesso durante i loro periodici contatti, scriveva, riferendosi evidentemente alla sua situazione di simulata prigionia: «Se (Cuccia) tratterà o si lamenterà, quale migliore occasione per voi e per l'avvocato di Roma (se sarà da lui avvertito) per confermare che la tesi dell'intervento degli amici di loro iniziativa era vera? (Cuccia) operi, e quando si saranno ottenuti i risultati gli amici lo sapranno ufficialmente (o voi potrete pubblicizzarlo nei vari club locali) e non avrà più nulla da temere.»

È qui interessante rilevare, per inciso, come il medesimo meccanismo coercitivo fosse stato adottato nel novembre 1978 nei confronti di Nicola Biase. Costui infatti, dopo avere ricevuto gravi minacce da Luigi Ronsisvalle e da Bruce Mc Dowall - i quali in seguito ammisero di avere agito per conto di Sindona che pretendeva da Biase la ritrattazione delle sue precedenti deposizioni - si era recato ad un incontro con Sindona ed aveva registrato l'intero colloquio d'intesa con gli agenti dell’Fbi ai quali aveva denunciato il fatto. In questo colloquio Sindona da un lato aveva anch’egli rivolto a Biase la richiesta di ritrattazione delle sue precedenti dichiarazioni, e dall'altro aveva negato di avergli inviato delle persone a minacciarlo, lasciando intendere che poteva essersi trattato di amici che avevano agito di loro iniziativa per difenderlo.

Aveva poi esortato Biase ad accettare la sua richiesta, dicendogli che poi egli avrebbe organizzato una cena nella quale avrebbe fatto sapere a tutti che c'era stato un errore e che Biase si era comportato in buona fede, tanto che aveva corretto la sua precedente posizione.

L'imputazione di concorso nei reati di cui ai capi 5) e 6) della rubrica, contestata a Robert Venetucci anche con riferimento al periodo ora in esame, si fonda su un complesso di risultanze dalle quali emerge che lo stesso, fin dall'ottobre 1978, aveva fatto da tramite fra Michele Sindona e William Arico, al quale era stato conferito l’incarico di venire ripetutamente dagli Stati Uniti in Italia per compiere azioni intimidatorie nei confronti di Cuccia.

In tal modo, Venetucci fin dall'epoca anzidetta aveva preso parte alla progettazione ed alla preparazione delle attività criminose che poi per alcuni anni vennero attuate ai danni di Cuccia, rendendosi cosi responsabile, in applicazione dei principi generali sul concorso di persone nel reato, dei delitti di cui si tratta. Poiché tali risultanze sono in gran parte coincidenti con quelle sulle quali si fonda l'imputazione di concorso nell'omicidio di Giorgio Ambrosoli, ascritta allo stesso Venetucci, esse verranno più diffusamente esaminate trattando di quest'ultima imputazione.

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