Anche a seguito dell’esplodere della “vicenda Gladio”, che ha dimostrato la validità di alcune intuizioni di Vinciguerra in merito all'esistenza di una struttura segreta capace di tenere in qualche modo il nostro paese in uno stato di sovranità limitata nell'interesse della Nato, Vincenzo Vinciguerra, dall'aprile 1991, aveva ripreso il dialogo
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci dell’ordinanza del 18 marzo 1995, “Azzi+25” di Guido Salvini, il giudice che a Milano provò, a più di vent’anni di distanza dai fatti avvenuti, a far condannare responsabili e complici di una stagione di sangue
Una parte significativa dei nuovi elementi raccolti si basa sulle dichiarazioni di Vincenzo Vinciguerra, grazie al bagaglio di conoscenze da lui acquisite, in una prima fase, nell’ambito della sua militanza nel gruppo di Ordine Nuovo di Udine (insieme a Carlo Cicuttini, Cesare Turco e Ivano Boccaccio) e, in una seconda fase, dal momento del suo arrivo in Spagna nell’ambito della sua militanza in Avanguardia Nazionale con Stefano Delle Chiaie.
Vincenzo Vinciguerra, dopo essersi assunto la responsabilità per l’attentato di Peteano ricevendo una condanna all’ergastolo e rifiutando di interporre appello (non a caso il primo libro scritto da Vinciguerra si intitola “Ergastolo per la Libertà”), aveva iniziato a partire dal 1985 e sino al 1987 una sorta di “dialogo” e di confronto con diverse Autorità Giudiziarie fra cui quelle di Brescia e di Bologna.
Vinciguerra aveva accettato di riferire una serie di episodi e di circostanze necessarie, a suo avviso, per dimostrare come le organizzazioni di estrema destra (e Ordine Nuovo in primo luogo), tradendo lo spirito rivoluzionario, fossero state strumentalizzate dai Servizi Segreti e da altre Forze militari interessate a mantenere in Italia, anche tramite le stragi, lo status quo politico secondo la formula "destabilizzare per stabilizzare".
Nel 1987, tuttavia, Vinciguerra aveva interrotto il suo dialogo con l’Autorità Giudiziaria anche per protesta contro il comportamento del G.I. di Venezia che in sostanza non aveva voluto credere alla sua rivendicazione di militanza pura e non inquinata insinuando, certamente a torto, che anch’egli fosse in realtà collegato a qualche Servizio Segreto e intendesse anch’egli in qualche modo "coprire" le attività di strutture deviate.
Anche a seguito dell’esplodere della “vicenda Gladio”, che ha dimostrato la validità di alcune intuizioni di Vinciguerra in merito all’esistenza di una struttura segreta capace di tenere in qualche modo il nostro Paese in uno stato di sovranità limitata nell’interesse della Nato, Vincenzo Vinciguerra, dall’aprile 1991, aveva ripreso il dialogo specificamente con questo Ufficio, dialogo che è durato sino all’estate del 1993, momento in cui la sua disponibilità si è definitivamente interrotta.
L’interruzione del canale che Vincenzo Vinciguerra aveva aperto per oltre due anni con l’A.G. di Milano può avere molte cause e molte spiegazioni, una delle quali anche semplicemente legata al carattere assai “difficile” di Vinciguerra caratterizzato da una forte vena di insofferenza e di diffidenza.
Sul piano sostanziale, comunque, la nuova e forse definitiva chiusura di Vinciguerra può essere spiegata con le obiettive difficoltà a rispettare, accettando di rendere complesse dichiarazioni, i limiti che egli stesso si è sempre imposto.
Infatti, Vinciguerra ha sempre fortemente sottolineato di non essere un “collaboratore” e ha quindi indicato nomi e circostanze solo e strettamente nella misura in cui potessero essere utili a ricostruire l’attività degli elementi di destra "inquinati" e dei loro protettori nello Stato, evitando sempre di parlare dei camerati che egli riteneva in buona fede e comunque evitando sempre di fornire su chiunque elementi tali da imporre all’Autorità Giudiziaria incriminazioni per fatti gravi e non prescritti e la conseguente emissione di mandati di cattura.
Per tali ragioni e in un’ottica quindi di ricostruzione storico/giudiziaria e non di collaborazione processuale, Vinciguerra sovente è stato attento a non fornire tutti gli elementi conclusivi per definire una determinata vicenda, omettendo ad esempio di fornire la fonte di alcune notizie che egli comunque riferiva o omettendo i nomi degli autori materiali degli episodi più gravi.
Tuttavia, nel corso di questo contributo alla ricostruzione della “strategia della tensione”, Vinciguerra si è reso conto che tali limiti che egli si era imposto risultavano di essere comunque vanificati dal progredire degli accertamenti e delle altre acquisizioni processuali e che questo Ufficio, così come altri Giudici Istruttori, era in grado, collegando le parziali rivelazioni di Vinciguerra ad altre testimonianze che venivano via via raccolte, di chiarire progressivamente anche i fatti più gravi con elementi di prova suscettibili di concreti sbocchi processuali.
In tal modo, anche la “ricostruzione” di Vinciguerra si stava trasformando indirettamente e involontariamente in una collaborazione. Resosi conto di avere contribuito troppo a questa “progressione istruttoria”, Vinciguerra ha quindi interrotto la sua disponibilità a rendere dichiarazioni affermando che intendeva proseguire il lavoro di ricostruzione da solo attraverso l’elaborazione di saggi e memoriali.
Nel corso degli interrogatori resi al G.I. di Milano, Vincenzo Vinciguerra ha parlato comunque, come si vedrà, senza molte riserve della struttura spagnola di Guerin Serac e Delle Chiaie, erede dell’Aginter Press di Lisbona, in quanto egli ha più volte sottolineato che la mancanza di remore era giustificata dalla contiguità di tale struttura con Servizi Segreti stranieri e quindi con la politica globale dell’Alleanza Atlantica, politica dallo stesso Vinciguerra ferocemente combattuta nella sua ottica anticomunista sì, ma anche antiamericana.
In altri casi Vinciguerra ha invece mantenuto il segreto su alcuni aspetti degli avvenimenti a sua conoscenza o sulle fonti delle notizie di cui disponeva rifiutando ad esempio di legare direttamente il nome di un singolo militante all’esecuzione di un singolo fatto criminoso, preferendo semmai indicare solo l’ambiente in cui l’operazione era maturata.
Fatta questa premessa, appare utile in questa parte dell’ordinanza riportare innanzitutto le dichiarazioni di Vincenzo Vinciguerra in merito al gruppo La Fenice e al ruolo di Paolo Signorelli, dichiarazioni presenti soprattutto nei primi verbali resi a questo Ufficio nella primavera del 1991.
Saranno invece riservate alla successive parti dell’ordinanza le altre dichiarazioni di Vinciguerra relative alla struttura di Guerin Serac, alla strage di Piazza Fontana e al ruolo di Avanguardia Nazionale, organizzazione di cui in precedenza egli si era sempre rifiutato di parlare.
In merito al gruppo La Fenice, Vincenzo Vinciguerra ha quindi riferito, nell’interrogatorio in data 16.4.1991, le seguenti notizie:
«...posso dire che ho già spiegato come il gruppo “La Fenice” fosse organicamente inserito nel centro Ordine Nuovo. Ciò significa che dipendevano gerarchicamente ad esempio da Carlo Maria Maggi, ispettore per il Triveneto di Ordine Nuovo, e da Paolo Signorelli, dirigente Nazionale di Ordine Nuovo. Mi constano anche rapporti fra “La Fenice” ed il gruppo di persone di Ordine Nuovo di Genova che erano inserite nel Fronte Nazionale. Fra questi Meli e Benvenuto, il quale ultimo in particolare conosceva bene Rognoni ed altri del gruppo La Fenice presenti in Spagna.
Personalmente ho conosciuto diversi esponenti del gruppo La Fenice solo in Spagna, in quanto sino a quando sono rimasto in Italia ho frequentato solo le persone dell’ambiente Veneto.
In Spagna di tale gruppo ho conosciuto Rognoni, sua moglie, Pagliai, Battiston, e forse qualche altro, tra cui Zaffoni… Per quanto concerne i rapporti, invece, più direttamente collegati al gruppo La Fenice di Milano, ho già parlato di due episodi sintomatici di contatti Istituzionali e di un episodio significativo della strategia volta a far ricadere su elementi di sinistra la disponibilità e l’utilizzo di esplosivi.
Mi riferisco, in primo luogo, a marce notturne con tute dell’Arma dei Carabinieri che si erano svolte nei primi anni ’70 nella zona di Varese. Di tali episodi mi parlò Zaffoni, con più probabilità, o Rognoni in Spagna.
Vi è poi l’episodio di cui ho appreso più genericamente, sempre in Spagna, e cioè quello della deposizione di materiale esplosivo in una cabina telefonica o elettrica da parte di Cesare Ferri in compagnia di un capitano dei Carabinieri.
Non sono in grado di dire altro perchè non appresi di questo episodio direttamente da coloro che ne erano protagonisti, anche se mi fu riferito in contesto affidabile all’interno dell’ambiente.
Della strategia volta a far ricadere certe responsabilità sui gruppi di sinistra fu poi sintomatico l’episodio che doveva avere luogo nei pressi di Lugano. Nel settembre 1972, io e Ivano Boccaccio venimmo a Milano in quanto intendevamo acquistare in Svizzera un paracadute da utilizzare per il progetto di Ronchi dei Legionari. Con noi c’era Cesare Turco, di Ordine Nuovo di Udine il quale non era assolutamente a conoscenza del nostro progetto, ed anzi veniva a Milano per un altro motivo. Indico il suo nome in tale episodio oggi per la prima volta per ragione di chiarezza e perchè già ne ho parlato come di un collaboratore di apparati dello Stato.
A Milano, Turco parlò con Rognoni, comunque non in nostra presenza, e proseguimmo poi tutti e tre il viaggio verso Lugano dove Turco si doveva incontrare con un italiano ivi residente per organizzare un’operazione consistente nell’introduzione di armi e di esplosivi nelle macchine di uno o più esponenti dell’estrema sinistra in modo da provocarne l’arresto allorchè costoro si fossero presentati alla frontiera all’ingresso in Italia. Non so poi se il progetto si sia realizzato, ma comunque mi sembra sintomatico di quanto ora ho detto. Preciso che io e Boccaccio tornammo poi per conto nostro in Italia...Poichè l’Ufficio me lo chiede, confermo di aver conosciuto Martino Siciliano, militante di Ordine Nuovo di Mestre e legato quindi a Maggi e a Zorzi.
Un altro elemento del gruppo di Ordine Nuovo, non di Mestre ma comunque di Venezia, era Carlo Digilio, detto Zio Otto, che venne a Madrid ove si incontrò con elementi del gruppo La Fenice, primo fra tutti Giancarlo Rognoni. Non avevo diretti contatti politici con Martino Siciliano perchè essendo io il reggente di Ordine Nuovo di Udine mi rivolgevo direttamente al dott. Maggi, ispettore per il Triveneto, ma comunque posso dire che anche Siciliano era un militante a tutti gli effetti e preparato…
Poiché l’ufficio mi chiede quanto sia eventualmente a mia conoscenza in merito al fallito attentato al direttissimo Torino-Roma del 7.4.1973 a seguito del quale fu arrestato Nico Azzi, posso dire che un episodio del genere si colloca in una strategia tesa a provocare la proclamazione dello stato di emergenza da parte di coloro che già detenevano il potere e che non potevano restare indifferenti dinanzi al clima di insicurezza e di paura che attentati come questi provocavano nella popolazione.
È questa la logica di tutte le stragi e del terrorismo in genere. Sulla base della mia esperienza, posso affermare che attentati di portata strategica, capace di avere pesantissime ripercussioni sul piano politico e su quello dell’ordine pubblico non potevano essere decisi da un semplice capo gruppo. Cioè, all’epoca, un capo gruppo locale come era appunto Rognoni».
Vi è da aggiungere che nel corso di un successivo interrogatorio, Vincenzo Vinciguerra ha indicato quasi con certezza in Marcello Mainardi, bresciano, allora residente in Svizzera e molto legato a Giancarlo Rognoni, l’uomo che Cesare Turco doveva incontrare per attuare l’azione di provocazione nei confronti di un gruppo di esponenti di sinistra (cfr. anche int. al G.I. di Brescia in data 6.5.1985).
Nel corso di un successivo interrogatorio, Vincenzo Vinciguerra aggiungeva un’altra circostanza importante riferitagli da Pierluigi Pagliai (cfr. int. 6.6.1991 ed anche al G.I. di Brescia in data 6.5.1985). Pierluigi Pagliai, durante la comune latitanza in Cile quando entrambi abitavano in un appartamento di Santiago, gli aveva raccontato di una “notte movimentata” durante la quale lo stesso Pagliai aveva dovuto urgentemente recuperare e spostare dell’esplosivo. L’episodio si collocava nel periodo in cui era avvenuta la strage di Piazza della Loggia e, per quanto ricordava Vinciguerra, in tale recupero era coinvolta in qualche modo come testimone una ragazza.
La confidenza di Pagliai è del tutto attendibile in quanto l’episodio che Vinciguerra ha dichiarato di avere sentito è del tutto sovrapponibile nelle sue linee essenziali al recupero di esplosivo da Parma ad opera di De Amici e Pagliai di cui ha parlato Giuseppina Marinoni, presente appunto casualmente a tale fatto (cfr. vedi capitolo 14).
Vincenzo Vinciguerra ha collegato tale spostamento di esplosivo all’intera vicenda concernente la strage di Brescia, ma, in ossequio al suo stile sovente criptico, non ha voluto aggiungere ulteriori particolari limitandosi a dire che si tratta "di argomento da non abbandonare e da riprendere" per il quale tuttavia, secondo Vinciguerra, non sussistono ancora le condizioni per una definitiva chiarificazione (cfr. int. al G.I. di Brescia 6.5.1985, ff.6-7).
In data 4.10.1991 Vinciguerra, con riferimento al periodo della latitanza in Spagna di Giancarlo Rognoni, ha ricordato che questi a Madrid, insieme a Eliodoro POMAR, disponeva di un laboratorio nel quale i due si dedicavano alla costruzione di congegni esplosivi. Secondo Vinciguerra, addirittura Stefano Delle Chiaie aveva diffidato personalmente Rognoni dal perseguire con tali congegni progetti di nuovi attentati in Italia.
La circostanza del laboratorio di cui disponevano Pomar e Rognoni è stata confermata da Gaetano Orlando nel corso della deposizione in data 15.6.1994 (ff.20-22 e 57-59 della trascrizione), ma soprattutto di tale laboratorio (individuato dalla polizia spagnola all’inizio del 1977 in Calle Pelajo) ha dato una precisa descrizione Carlo Digilio il quale, come si vedrà, aveva avuto addirittura modo di visitarlo durante la sua missione in Spagna per conto di Servizi Segreti stranieri, missione finalizzata al “controllo” dell’attività di Eliodoro Pomar.
Dalle dichiarazioni di Vincenzo Vinciguerra ora riportate emergono con nettezza i tratti tipici dell’attività del gruppo La Fenice: costante disponibilità e maneggio di esplosivi anche durante la latitanza di alcuni militanti a Madrid; preparazione di attività di provocazione che dovevano ricadere sulle forze di sinistra; contatti frequenti ed organici con uomini dello Stato.
Di particolare interesse è l’affermazione di Vinciguerra in data 16.4.1991 secondo cui un episodio di così grave portata come la mancata strage del 7 aprile 1973, che se fosse riuscita avrebbe potuto avere pesantissime ripercussioni nel Paese, non poteva essere deciso da un semplice capo cellula locale come Giancarlo Rognoni.
Tenendo presente i voluti ma indicativi limiti che caratterizzano il verbale di Vinciguerra, è evidente l’implicito riferimento alla corresponsabilità, nell’ideazione dell’episodio, del prof. Paolo Signorelli, superiore gerarchico di Rognoni a livello nazionale.
D’altronde non a caso il documento Azzi riporta la presenza di persone venute da Roma alla riunione alla birreria tedesca svoltasi la sera precedente l’attentato e Sergio Calore ha dichiarato che quella sera presente a Milano era proprio il prof. Paolo Signorelli.
Anche se non sussistono forse gli elementi per sostenere un’accusa in giudizio, anche in ragione del tempo trascorso, è evidente che la figura di Paolo Signorelli è raggiunta da non indifferenti elementi indiziari in relazione ad un suo ruolo nella mancata strage del 7 aprile 1973.
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