- Un anno fa, imbottito di chissà quali teorie demenziali e razziste, sintetizzate in un documento che aveva pubblicato on-line, Tobias R. pianifica l’azione, sceglie con attenzione i luoghi dove, in poco tempo, può raggiungere più persone, che seleziona per il colore della pelle, per i posti che frequentano.
- Sin dai primi giorni dopo la strage, parenti delle vittime e attivisti hanno cercato di non far dimenticare i nomi dei morti: «Per noi c’è un solo modo di raccontare questa storia e, cioè, dalla prospettiva di chi è morto, ecco perché chiediamo a stampa e istituzioni: pronunciate i loro nomi».
- La rabbia monta, la sensazione è quella di essere cittadini di seconda classe. Del resto, la morte dell’attentatore priva i familiari anche di un processo con il quale provare ad elaborare questa tragedia.
Mancavano pochi minuti alle dieci di sera, quando Tobias R. si avvicina al La Vorte, un bar nel centro di Hanau, paesone vicino Francoforte sul Meno, spara e uccide Kaloyan Velkov. Nella stessa strada fredda Fatih Saraçoğlu e Sedat Gürbüz, nel Midnight, un locale dove si fuma il narghilè. Poi sale in macchina, esce dal centro della città e raggiunge l’Arena bar. Lo segue Vili Viorel Paun, che si è accorto degli spari e con la sua auto s’incolla all’attentatore chiamando la polizia. Sceso dalla



