È un’associazione di privati per la protezione del copyright in rete, ma ha tutta la potenzialità per essere un sistema di censura online. Da quando è stato dato il via libera al lavoro del Clearingstelle Urheberrecht im Internet (Cuii) la Germania ha creato un precedente unico in Europa: un ente privato con la capacità di bloccare siti web in modo autonomo, con il consenso dello stato.

A formare questo nuovo organismo ci sono tutte le grandi compagnie di telecomunicazione che forniscono la connessione Internet in Germania, come Vodafone, Telekom e Mobilcom, per citarne alcune. Insieme a loro ci sono i colossi dell’intrattenimento a 360 gradi: società come Sky e Deutsche Fussball Liga, ma anche varie associazioni di settore dalla musica al gaming. A queste aziende appartiene il diritto d’autore e quindi di riproduzione, con i relativi interessi commerciali, di molti contenuti diffusi in rete in modo illegale. Dal download di brani musicali allo streaming di serie tv o partite di calcio, la pirateria su Internet è un fenomeno che interessa centinaia di siti web e lo stato tedesco non riesce a contrastarlo in modo efficace. Il Cuii invece pensa di poterlo fare.

Quando i privati fanno il lavoro dello stato

L’ente stesso si definisce «un organismo indipendente» e di sicuro lo è rispetto al normale funzionamento di un ente pubblico, già dalla sua autoproclamazione al di fuori di un percorso parlamentare. La creazione formale dell’organismo risale a fine gennaio, ma la notizia ha assunto più rilievo a metà marzo, quando è arrivata la presa di posizione al riguardo della Bundesnetzagentur, l’Agenzia federale responsabile per la rete e le comunicazioni.

«La nuova procedura aiuta ad evitare lunghi e costosi procedimenti legali, dai quali i titolari dei diritti finora sono stati dipendenti», è il giudizio positivo espresso dal presidente della Bundesnetzagentur Jochen Homann. Nei fatti il blocco di una pagina web in Germania era fino ad oggi dipendente da una sentenza di tribunale, per il Cuii non più necessaria. 

Che fine fa la “neutralità della rete”

La tutela del copyright in rete sembrerebbe così appaltata dallo stato tedesco a questo circolo di privati, se non fosse che la Bundesnetzagentur ha il compito di convalidare ogni blocco prima che venga attivato ed effettuare un successivo controllo in caso di ricorsi, resta da vedere con quanto spirito critico, in entrambi i casi. Grazie all’Agenzia dovrebbe così essere rispettato il “principio di neutralità della rete”, per cui tutti i dati online debbano essere trattati allo stesso modo.

Tanto sembra bastare a rassicurare anche il Bundeskartellamt, ovvero l’autorità tedesca garante in materia di antitrust. Questa si riserva di monitorare il lavoro del Cuii, ma al momento esclude che possa creare una concorrenza sleale nel mercato digitale. L’idea di fondo è che a subire la procedura di blocco dovrebbero essere solo i cosiddetti “siti pirata”, che operando di per sé al di fuori della legge non beneficiano della tutela dello stato.

Resta però da vedere se al coro degli assensi istituzionali si unirà anche il Berec (Body of European regulators for eletronic communications), ovvero l’autorità europea responsabile per l’applicazione delle norme comunitarie sulla comunicazione elettronica. La possibilità di bloccare specifici contenuti in rete da parte dei provider sembrerebbe in aperto contrasto con il Regolamento europeo riguardo “l’accesso a un’Internet aperta”, che sancisce proprio per i fornitori del servizio di connessione un divieto generale in tal senso. 

Come funziona il blocco, se funziona

Tra i primi siti Internet a finire nel mirino del Cuii c’è stata la piattaforma serien.sx: con più di 200mila utenti registrati è una delle pagine web di riferimento per lo streaming illegale in Germania. Sarebbe stato senza dubbio un gran successo per le compagnie di entertainment se il meccanismo di blocco avesse funzionato: la sua carenza principale consiste proprio nel censurare i contenuti “illegali” senza eliminarli.

A essere bloccato è in pratica il Domain name system (Dns), per cui all’utente risulta impossibile collegare il proprio indirizzo ip alla pagina web ricercata. Questo vale per gli utenti meno esperti: chi digita ora sul suo browser «serien.sx»  viene accolto da un box esplicativo su come cambiare in modo autonomo le proprie impostazioni Dns e raggiungere con qualche clic in più la pagina web.

La limitata efficacia del blocco del Dns non è una novità e anche per questo la sua introduzione in Germania era stata già respinta nel 2009, quando a proporla fu Ursula von der Leyen: nel ruolo di ministro della Famiglia la politica cristianodemocratica voleva combattere così la pedopornografia in rete. A suo tempo la proposta fu ostacolata soprattutto dagli Internet provider che l’avrebbero dovuta poi mettere in pratica. È lecito chiedersi come mai quegli stessi fornitori abbiano poi deciso di associarsi nel Cuii: la loro funzione resta nei fatti la stessa, mentre cambiano gli interessi da tutelare che sono ora quelli delle grandi compagnie dell’intrattenimento.

A rischio la libertà d’espressione

Del tutto dimenticati sembrano essere invece gli interessi degli utenti. Nessun rappresentante della società civile è stato chiamato dal Cuii per vigilare sul rispetto dei diritti dei singoli cittadini: da una parte ad avere libero accesso all’informazione, dall’altra a potersi esprimere liberamente in rete. Come criticano le associazioni tedesche per i diritti digitali, basterebbe il blocco di un singolo sito Internet che offra anche in parte contenuti legali per far sì che questi possibili “danni collaterali” diventino realtà, quanto meno per quella fetta di popolazione meno competente in ambito digitale.

Anche nel mondo della politica c’è chi guarda con preoccupazione al prossimo futuro, come il Partito Pirata tedesco. Attento in modo particolare ai temi della rete, questo individua nella limitazione della libertà espressione online l’effetto principale del blocco del Dns. «È solo questione di tempo prima che questa infrastruttura di censura digitale venga utilizzata per bloccare qualsiasi contenuto a cui non si vuole permettere l’accesso. L'uso di questo metodo può essere visto regolarmente nei regimi totalitari: è la vita di tutti i giorni in Cina e Russia», avverte il capo del partito Sebastian Alscher.

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