Donne, dududu. Il ritornello di una canzone di Zucchero è una sintesi ridente (ma a volte si ride per non piangere) della situazione contemporanea delle donne in Italia. Non è più il tempo del concorso Veline – con cui il tg satirico Striscia la notizia sceglieva ogni estate le due ballerine che accompagnavano con decisamente poca stoffa addosso e ancora meno voce in capitolo la nuova stagione del programma quotidiano di Antonio Ricci – ma non si può ancora parlare di una parità vera. Le statistiche sull’impiego femminile in Italia restano sempre al palo, il welfare necessario per rientrare al lavoro con bambini langue e in generale resta un substrato culturale che – nonostante posti di rilievo di politica, spettacoli e cultura siano ormai occupati da donne – lascia le detentrici del secondo cromosoma X spesso in svantaggio.

Nelle ultime settimane si è discusso tanto di un gesto molto paternalistico dell’ex presidente del Consiglio e presidente della Commissione europea Romano Prodi nei confronti di una giornalista: dopo una domanda provocatoria, il padre fondatore del Pd le ha tirato i capelli, rimproverandola come una bambina. In un primo momento, visto che non c’era una prova video, Prodi aveva spiegato di essersi limitato a mettere una mano sulla spalla dell’inviata, ma dopo qualche giorno è emersa una registrazione da un’altra prospettiva che effettivamente mostra come il Professore abbia preso in mano una ciocca bionda.

Oltre all’atteggiamento in sé, per cui poi Prodi si è semi-scusato spiegando che si è confuso “l’affetto con l’aggressione”, colpisce il fatto che tanti membri del Pd si sono schierati a difesa del’ex premier, a partire da Enrico Letta, che si è pure inventato l’hashtag “#iostoconRomano”.

Se quindi il sessismo nudo e crudo degli anni del Bunga Bunga (ben rappresentati dal documentario di Lorella Zanardo Il corpo delle donne del 2009) forse si può considerare finalmente tramontato, nella vita di tutti i giorni (anche in quella politica) sopravvive comunque un punto di vista dall’alto in basso nel rapporto tra uomini e donne, come anche una tendenza a ridicolizzare le argomentazioni di interlocutrici femmine, oltre che mansplaining a camionate.

Il patriarcato deve morire?

In questo contesto, non stupisce che a marzo sia uscito su Netflix un documentario che è stato molto commentato, Miss Italia non deve morire. Il concorso di bellezza è stato bandito dalla Rai qualche anno fa e il lavoro distribuito dalla piattaforma racconta l’estate 2023, quando la patron Patrizia Merigliani fino all’ultimo ha sperato che il servizio pubblico dominato dalla destra decidesse di riportare in palinsesto la finale. Niente da fare, almeno per il momento. Fuori dalla Rai – mostra il documentario – nonostante l’ambizione di proporre un concorso più in linea con i tempi, gli agenti regionali (spesso loro stessi non esattamente Adoni), continuano a giudicare le ragazze quasi esclusivamente in base alle misure: «Siete troppo di manica larga. Quella lì c’ha un culo grosso così!»

L’aspetto di una donna non viene valutato solo nei concorsi di bellezza, ma continuamente e ovunque, anche quando non dovrebbe essere quello il punto. In Germania, nel novembre 2023, ha fatto discutere l’apparizione della rapper Shirin David a Wetten, dass...?.

David si è seduta sul divano accanto a Thomas Gottschalk, e lo storico conduttore le ha chiesto: «Che tipo di opere ascolti volentieri? Non ti avrei mai detto appassionata d’opera». E poi ancora: «Non ti avrei nemmeno detto femminista».

Com’è fatta una femminista? E, se si ha l’aspetto di Shirin David (bionda, femminile, sexy, unghie lunghe), non si può essere appassionate d’opera? Non si può essere belle, intelligenti e femministe allo stesso tempo? Le domande di Gottschalk dicono molto meno su Shirin David e molto di più sull’immagine della donna – ormai superata – che alberga ancora nella testa di un conduttore settantacinquenne che non riesce ad accettare che il mondo è cambiato rispetto agli anni Novanta. Si potrebbe sperare che qualcuno come Gottschalk, dopo una figura così barbina, possa ammettere di avere ancora qualcosa da imparare. Ma non è stato così: il conduttore resta fermo nella sua visione del mondo, è impermeabile ai consigli. In un’intervista con Der Spiegel ha persino dichiarato con disinvoltura: «Ho toccato donne in TV solo per motivi professionali».

Non solo Gottschalk

Ma anche i colleghi più giovani di Gottschalk sembrano non aver ancora assimilato del tutto questa questione delle pari opportunità: nel dicembre 2024 l’Ard ha annunciato che l’autore e conduttore televisivo Thilo Mischke sarebbe stato il nuovo presentatore del programma culturale titel, thesen, temperamente (ttt), in sostituzione di Max Moor. La scelta ha provocato un dibattito sollevato dalle giornaliste Annika Brockschmidt, Rebekka Endler, Isabella Caldart e Anja Rützel sui social media. Le donne hanno tirato in ballo alcune affermazioni sessiste di Mischke su donne, rapporti di genere e sessualità espresse in passato nei suoi libri e podcast.

Ad esempio, nel 2019 Thilo Mischke affermò in un podcast che l’uomo primitivo si fosse estinto perché era «troppo tenero» con le donne. L’Homo Sapiens moderno, invece, sarebbe sopravvissuto solo perché ha violentato le donne. Mentre le donne sopravvissute alla violenza sarebbero state soltanto quelle che, nonostante la violenza, avevano una vagina lubrificata. Una circostanza secondo lui dovuta a un difetto genetico. Nella stessa occasione aveva anche definito lo stupro qualcosa di «primitivamente maschile». Dopo un lungo tira e molla, i dirigenti del servizio pubblico hanno deciso che Mischke non avrebbe condotto il programma.

Femminicidio non è Femizid

In Germania, ogni tre giorni circa una donna viene uccisa dal proprio partner o ex partner. La parola femminicidio è stata inserita nel Duden (il più diffuso dizionario della lingua tedesca) soltanto nel 2020, mentre nel dizionario italiano Zingarelli è presente già dal 2010. I femminicidi accadono ovunque nel mondo: ciò che colpisce, però, è che in Italia l’attenzione mediatica in caso di femminicidio è molto più forte rispetto alla Germania.

Il femminicidio di Giulia Cecchettin, avvenuto nel novembre 2023, ha scosso profondamente il paese. Il suo assassino, l’ex fidanzato, è stato condannato all’ergastolo. Di recente si è riacceso il dibattito, perché nelle motivazioni della sentenza si legge che le 75 coltellate inflitte a Giulia Cecchettin non sarebbero segno di particolare crudeltà, ma dimostrerebbero solo che l’aggressore era inesperto. I critici vedono in questo caso un chiaro esempio di overkilling, cioè l’uccisione con un eccesso di violenza, finalizzata a distruggere totalmente la vittima.

Dopo i femminicidi di Ilaria Sula a Roma e Sara Campanella a Messina dell’aprile 2025, migliaia di persone sono scese in piazza in diverse città italiane per protestare. In Germania, un 32enne simpatizzante nazista ha sparato alla sua ex fidanzata di 17 anni, perché non accettava la fine della relazione: un femminicidio che, tuttavia, ha ricevuto pochissima attenzione mediatica e sociale.

Per altro, non esiste ancora una raccolta di dati organizzata dallo stato o dalle istituzioni scientifiche sui femminicidi. Eppure, una banca dati sarebbe fondamentale per comprendere le dinamiche strutturali e adottare misure preventive. In Italia, invece, la raccolta è affidata al ministero dell’Interno che finora li pubblicava su base settimanale. Finora. Perché d’ora in poi i dati verranno diffusi solo ogni tre mesi. Una spiegazione non è stata fornita. Parità di genere, diritti delle donne, sessismo: siamo nel 2025 e la strada è ancora lunga.

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