Le guide turistiche amano descrivere il distretto di Marzahn-Zehlendorf come un «luogo di contraddizioni nel cuore di Berlino». Frasi fatte a parte, è difficile raccontare in maniera diversa questo angolo di città nel profondo est. 270mila cittadini vivono in un luogo in cui i mulini e i giardini del vecchio villaggio sorgono di fronte al Plattenbau più grande d’Europa. Questi immensi cubi di cemento costruiti dalla Ddr sono il simbolo di un quartiere che dalla caduta del muro ha oscillato fra alienazione post-comunista, fierezza da quartiere popolare e tensioni sociali latenti.

L’architettura dei luoghi è adatta allo scontro politico atipico che vi si sta consumando. Marzahn è infatti uno dei pochi distretti elettorali dove la Cdu si trova a schierare un “giovane” quarantacinquenne, Mario Czaja, contro una candidata dell’establishment. Una situazione abbastanza paradossale se si considera che ad avere detenuto finora il seggio uninominale è Petra Pau, vicepresidente del Bundestag e Spitzenkandidatin della Linke, il partito di sinistra radicale in perenne opposizione.

La roccaforte rossa

Ma il duello fra conservatori e post-comunisti è più complesso di una lotta fra Davide e Golia a ruoli invertiti. Complice la cospicua assenza degli altri partiti, l’elezione a Marzahn cristallizza le sofferenze con cui sia Cdu e Linke sono entrate nel periodo elettorale.

Cominciando dalla sinistra, il fatto che la roccaforte rossa sia considerata contendibile dimostra quanto la Linke non sia stata capace di superare la crisi in cui versa da anni. La storia di Pau, in questo senso, è esemplare. La sua carriera politica inizia nel 1983, quando militava in Germania Est nel partito di regime Sed.

Entra in seguito nella Pds, la formazione che raccoglie i rimasugli degli apparati di stato della Ddr, dove grazie alle dimissioni di un eletto rivelatosi ex collaboratore della Stasi riesce a entrare nei vertici del partito. A Marzahn, la riformista Pau viene eletta con maggioranze bulgare per ben quattro tornate elettorali, durante i quali costruisce un profilo come accesa antifascista.

Nel 2006 diventa vicepresidente del Bundestag e nel 2013 rappresenta la Linke nella Commissione d’inchiesta sulla cellula terroristica neonazista Nsu. Questo impegno non è solo “alta politica” slegata dai problemi specifici del distretto.

Marzahn è da anni afflitto dalla violenza di estrema destra, con movimenti come “La terza via”, estremamente ostili alla popolazione multietnica (soprattutto russi e vietnamiti) e alla politica di accoglienza iniziata nel 2014. Nel 2020 il distetto ha registrato un aumento del 60 per cento di cosiddetti eventi eversivi, e sono ormai anni che Pau stessa è costretta a vivere sotto scorta per le minacce ricevute.

Lotta per la sopravvivenza

Nonostante il radicamento territoriale, l’indebolimento della Linke rimane un dato oggettivo. Fra il 2009 e le ultime elezioni i voti di Pau passano dal 47 per cento al 34 per cento, mentre la candidata di Afd nella corsa all’uninominale è riuscita a raggiungere addirittura il 20 per cento dei voti. Numeri preoccupanti non solo per le sorti di Marzahn, ma anche per il partito nel suo complesso.

L’ingresso nel Bundestag di Afd ha infatti eroso il ruolo della Linke come partito identitario per l’Est, precipitando il partito verso la soglia di sbarramento. Anche se attualmente il partito si aggira sul 7 per cento, due punti sopra la soglia, Marzahn serve comunque da assicurazione: i partiti che vincono almeno tre seggi uninominali, infatti, hanno diritto a essere rappresentati in parlamento anche qualora le liste proporzionali raggiungano meno del 5 per cento a livello federale. Finché Pau e gli altri tre seggi sicuri resistono la Linke rimarrà in parlamento, anche in caso di catastrofi impreviste.

Se a Marzahn Pau lotta per la rilevanza del proprio partito, la battaglia di Mario Czaja (Cdu) è ben più personale. Il pretendente al seggio non è un novellino della politica cittadina, avendo ricoperto il ruolo di assessore alla Salute e Affari sociali nel 2016. È in questi anni che costruisce la propria reputazione di “sopravvissuto politico”, dato per finito una lunga serie di volte, ma mai scomparso per davvero: ha fatto dimenticare anche la sua non proprio brillante performance come responsabile per l’accoglienza dei rifugiati presenti in zona, che hanno dovuto aspettare il loro trasferimento molto più del previsto. I suoi limiti da amministratore sono stati cancellati dal pieno di preferenze fatto alle amministrative, che lo hanno fatto diventare il candidato Cdu più votato in assoluto, in controtendenza a un partito amaramente sconfitto.

Il rinnegato

Ma il successo delle ultime elezioni gli ha portato poca fortuna. Uno dei pochi cristianodemocratici nati all’est, nell’ultima legislatura sembra dover essere destinato a guidare la ricostruzione del partito berlinese assieme alla neosegretaria Monika Grütters. Czaja e Grütters hanno sottovalutato però quanto gli ultimi fuochi dell’era Merkel abbiano rafforzato l’ala più conservatrice del partito. Grütters è stata costretta alle dimissioni per aver appoggiato la Linke nel licenziamento del direttore di un memoriale per le vittime della Ddr, accusato di molestie sessuale.

Il successore di Grütters, l’attuale candidato sindaco Kai Wegner, può essere a ragione considerato la nemesi di Mario Czaja. Nato a Spandau, un ricco quartiere di Berlino ovest, Wegner segue una politica molto intransigente e dal forte sapore law and order. La rottura fra i due politici si consuma su diversi fronti: Wegner ha sistematicamente ignorato i politici dell’ex est, condannando ogni tipo di cooperazione municipale con la Linke e supportando pubblicamente Hans-Gregor Maaßen, il controverso ex capo dei servizi segreti accusato di simpatie di estrema destra. Tre decisioni che Czaja, un pragmatico noto per aver salvato l’ospedale di distretto addirittura col supporto dell’ex capo della Linke Gregor Gysi, mal digerisce.

Le divergenze fra i due sono bastate per fare terra bruciata attorno a Czaja, che non comparirà sulla lista proporzionale per il Bundestag e che deve affidare le proprie speranze di vittoria alla sua personale campagna per l’uninominale. Il conservatore ha investito tutto il suo capitale politico nella sua identità di cristianodemocratico dell’est, facendo eco allo sparuto gruppo di conservatori dell’ex Ddr decisi a non cedere alla tentazione di corteggiare la destra radicale.

Il focus della sua campagna, per ora, è l’opposizione dura e pura al referendum di esproprio delle grandi aziende immobiliari e il supporto statale alle famiglie. Marzahn è infatti il distretto col maggior numero di genitori single di Berlino, e nonostante la diminuzione della disoccupazione uno dei quartieri col maggior numero di bambini ospitati in dormitori per i meno abbienti.

Il futuro è Made in Marzahn?

Si capisce dunque perché tutta la repubblica guardi a questo unico distretto con così tanto interesse. Da un lato c’è una candidata di un partito militante, che deve difendere l’ultima roccaforte dall’attacco di Afd; l’altro è un rinnegato il cui destino politico dipende da una sfida difficilissima. Ma al di là di cosa riporteranno i media nazionali, ciò che farà la differenza per il quartiere sarà capire chi saprà rappresentar meglio la diversità, la speranza di riscatto e la complessità sociale di un distretto atipico e che, proprio nella sua stranezza postcomunista, potrà forse essere un modello per la Germania del dopovirus.

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