Ventisei non sono ancora abbastanza. «Non siamo ancora lì dove dobbiamo arrivare», ha detto Angela Merkel lunedì all’apertura della ventiseiesima conferenza sul clima delle Nazioni unite a Glasgow. Nel 1995 aveva diretto a Berlino la Cop1, come ministra dell’Ambiente. Nei sedici anni trascorsi la cancelleria uscente ha giocato un ruolo centrale nella politica ambientale internazionale.

Oggi, al suo ultimo appuntamento dedicato al clima la comunità internazionale è ancora in difficoltà nel riconoscere le responsabilità nazionali e contrastare in modo efficace il riscaldamento globale e gli effetti del cambiamento climatico. La Germania non fa eccezione.

Responsabile per il due per cento delle emissioni globali di gas serra, la Germania occupa al momento il sesto posto nella classifica dei paesi con il più alto impatto ambientale. Il problema principale di Berlino è il carbone.

Il consumo di questo materiale fossile è in costante calo negli anni ma rappresenta ancora un quarto dell’energia prodotta in Germania, secondo stato europeo per impiego, dopo la Polonia. L’ultimo governo a guida Merkel aveva fissato l’ "uscita dal carbone” nel 2038. Un traguardo positivo, con una tempistica poco ambiziosa: sedici altri paesi europei prevedono di abbandonare il carbone già prima, ad esempio l’Italia e l’Ungheria nel 2025, mentre l’Austria e il Belgio sono già carbonfree.

Anticipare l’addio

Ad allungare il passo potrebbe pensare il nuovo governo. Sono in corso i negoziati per formare la coalizione che lo guiderà: la “coalizione semaforo” composta da Spd, Grüne e Fdp. I tre partiti hanno redatto un documento esplorativo che tratteggia il corso della futura legislazione.

Per quanto riguarda il clima, questo prevede ad esempio l’abbandono dei motori a combustione entro il 2035, ma non l’introduzione di un limite di velocità sulle autostrade, una misura che potrebbe far risparmiare 2 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, ma che è invisa al partito dei liberali e a buona parte della popolazione.

Per incrementare l’impiego delle energie rinnovabili, nelle future costruzioni sarà prevista su tutti i tetti «con una superficie adeguata» l’installazione di pannelli solari, mentre l’impiego di pale eoliche sarà ampliato fino a coprire il due per cento del territorio nazionale. I tre partiti prevedono anche la creazione di parchi eolici in mare.

Nel testo di coalizione l’ "uscita dal carbone” viene anticipata al 2030. In questo modo Berlino si adeguerebbe a quanto previsto dall’Accordo di Parigi già sei anni fa. “Idealmente” è il termine utilizzato nel documento: attivisti ambientalisti e organizzazioni della società civile come Greenpeace e Fridays for Future chiedono invece una misura vincolante e puntano il dito verso la Renania Settentrionale-Vestfalia.

«Chi vuole rallentare la crisi climatica non deve più permettere la distruzione di villaggi per la lignite killer del clima», dice l’esperto per il clima di Greenpeace Bastian Neuwirth. Lützerath, dalle parti di Düsseldorf, è per il movimento ambientalista «il paese alla soglia dei 1,5 gradi». L’azienda energetica tedesca RWE è pronta a demolirlo, primo di sei paesi, per espandere la sua miniera di carbone a cielo aperto: le enormi escavatrici incombono ora a meno di trecento metri dalle case.

La miniera di Garzweiler si trova nel triangolo tra Aquisgrana, Düsseldorf e Colonia: uno dei distretti minerari più grandi d’Europa, già attivo dal diciannovesimo secolo. Dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi si stima siano già state trasferite in modo forzoso circa 35mila persone.

Anche gli abitanti di Lützerath hanno venduto le loro case alla RWE e lasciato il paese. Tutti meno uno: Eckart Heukamp è rimasto ad abitare e lavorare nella sua fattoria, da generazioni proprietà di famiglia. Da oltre un anno vanno avanti le proteste, domenica scorsa circa cinquemila manifestanti hanno dimostrato nel paese contro l’espansione della miniera di carbone.

La fattoria è diventata un punto di aggregazione per il movimento ambientalista da tutta la Germania, da Greenpeace e Fridays for Future ai movimenti della disobbedienza civile come Ende Gelände e Extinction Rebellion a piccoli gruppi locali. Anche attiviste internazionali come Greta Thunberg e Vanessa Nakate sono state di recente sul posto.

Dalla parte degli ambientalisti e contro i piani della RWE ci sono dati scientifici. Secondo uno studio coordinato dall’Istituto tedesco per la ricerca economia (Diw), per avere il cinquanta per cento di possibilità di limitare il riscaldamento globale entro la soglia dei 1,5 gradi possono essere estratte dalla miniera un massimo di 200 milioni di tonnellate di carbone. La compagnia energetica ha però previsto di estrarre 780 milioni di tonnellate entro il 2038.

Conflitto sospeso

Il conflitto è al momento sospeso dal tribunale di Münster, che deve giudicare il ricorso presentato da Heukamp contro il suo esproprio in favore di RWE. L’azienda energetica dovrebbe entrare in possesso della proprietà dell’ultimo residente di Lützerath sulla base dell’Articolo 14 della Costituzione tedesca, per cui un esproprio è legittimo se compiuto per il “bene pubblico”.

Così la pensa il governo della Renania Settentrionale-Vestfalia, che ha riconosciuto la necessità dell’ampliamento della miniera per soddisfare il fabbisogno energetico della regione. La vede però in modo diverso Hanna Brauers: «L’incremento delle energie rinnovabili può compensare il fabbisogno energetico, il vero problema sono gli accordi tra le istituzioni e le aziende», sostiene la ricercatrice dell’università di Flensburg, partecipe allo studio del Diw. Ad esempio, secondo quanto stabilito dal governo uscente, la RWE riceverà circa due miliardi e mezzo come sovvenzione a fronte della chiusura delle sue centrali nella zona. L’accordo prevedeva però che queste fossero attive fino al 2038, per cui anticipare la chiusura porta con sé criticità giuridiche e politiche.

Il nuovo parlamento ha il compito di rivedere questi accordi, aggiunge Kathrin Henneberger. La 34enne originaria della zona di Garzweiler ha una lunga carriera come attivista ambientalista e entra ora nel Bundestag tra le fila dei Grüne. Il nuovo parlamento è il più numeroso e giovane nella storia tedesca. Insieme a Fridays for Future e all’associazione Scientists for Future, Henneberg sostiene la necessità di redigere un preciso programma sul clima per i primi cento giorni di governo: «Deve essere realistico, deve impedirci di correre senza controllo verso la catastrofe climatica», dice la politica.

Tra le questioni irrisolte del documento esplorativo della coalizione resta l’aspetto finanziario. Gli accordi tra i tre partiti escludono al momento di introdurre nuove tasse e di aumentare quelle esistenti. Mantenere stabile la pressione fiscale è un cavallo di battaglia dell’Fdp. Allo stesso tempo non si fa alcun cenno al prezzo del carbonio, la tassa sulle emissioni della cui introduzione a livello globale si fa invece sostenitrice Merkel alla Cop26.

La Germania punta oggi a tagliare le sue emissioni del 65 per cento entro il 2030 e dell’88 per cento entro il 2040, rispetto ai livelli del 1990. Per farlo il nuovo governo dovrà rivedere la Legge sul clima entro il 2022. Nella sua formulazione attuale questa non salvaguarda il diritto al futuro delle giovani generazioni, ha decretato lo scorso aprile la Corte costituzionale federale. E ai più giovani è bene che pensi il nuovo governo, soprattutto se darà seguito a quanto previsto nel testo esplorativo e abbasserà il diritto di voto ai 16 anni.

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