Come ampiamente atteso, il vertice di mercoledì tra la cancelliera e i presidenti dei Land si è risolto con la prosecuzione, almeno fino al prossimo 7 marzo, delle restrizioni deliberate a metà dicembre. Insomma, il lockdown continua. Troppo grande è la preoccupazione per le mutazioni del virus (senza contromisure efficaci «il sopravvento delle mutazioni è solo una questione di tempo» così la cancelliera al Bundestag giovedì difendendo l’accordo), per immaginare di superare o alleggerire le attuali misure restrittive, in particolare chiusura di molti esercizi commerciali, della ristorazione, delle birrerie, delle palestre.

E, tuttavia, gli stati federali potranno decidere autonomamente se e quando riaprire le scuole, a partire dagli asili e da quelle elementari. Su questo aspetto la cancelliera ha ammesso di avere un’altra opinione, la riapertura potrebbe essere a suo avviso prematura, tuttavia che l’accetta perché è così che funziona il sistema federale. Ma quando ha ricordato di non disporre di un diritto di veto, ha indirettamente lanciato un ammonimento ai presidenti: vi assumete la responsabilità se i contagi dovessero aumentare. Dal primo marzo potranno riaprire, sulla base di precisi presupposti, parrucchieri e barbieri.

Ma non è la normalità

Una strada verso la normalità? No, stando alla maggior parte degli esperti consultati dal governo, accusati dalla Bild, capofila dell’opposizione al lockdown, di voler chiudere in casa i tedeschi e di arrecare seri danni all’economia. Ma non c’è solo la stampa: una parte dei presidenti dei Land vuole cominciare a vedere la luce in fondo al tunnel. Che essa ci sia o meno. Anche la Spd sta facendo pressioni: le dure critiche del vicecancelliere Olaf Scholz al piano sulle vaccinazioni rappresentano l’ingresso della campagna elettorale nella discussione sulla pandemia. Dopo il vertice, la Bild scriveva che il prolungamento del lockdown è dovuto esclusivamente al fallimento della strategia europea dei vaccini. Anche per questo il presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier in un discorso per la millesima seduta del Bundesrat ha difeso il modello federale («oggi, in questa crisi, sotto stretta osservazione») ma ha chiesto anche unità e responsabilità dalla politica («la sola strada se un terzo della popolazione chiede misure ancor più restrittive ma un quinto si sente messo sotto prova come mai prima»), con la pandemia il corso non sarebbe il momento di giocare allo scaricabarile «il nemico non è a Berlino, non è nella Cancelleria federale, non è a Bruxelles». Chiaro il riferimento alle polemiche sul ritardo nella somministrazione del vaccino.

Angela Merkel per ora non ha ceduto, le misure restano in piedi e, anzi, al criterio dei cinquanta infetti per centomila persone ha aggiunto una soglia ancora più rigida: trentacinque. Numeri a caso, ribatte la fitta e variopinta opposizione. La realtà, come il Robert Koch Institut ha chiarito, è che le misure di dicembre funzionano, i contagi sono diminuiti; lo sviluppo della pandemia torna sotto controllo, ma «la situazione resta seria». In effetti, la Germania ha, anche in questa fase, retto, seppure siano emerse criticità: nel sistema sanitario, nell’informatizzazione e nelle strutture scolastiche. Problemi strutturali, noti agli addetti ai lavori da tempo, che certamente non era possibile superare interamente durante la pandemia. Ma che, ancor oggi, il governo federale non sembra avere messo completamente a fuoco.

Ecco perché la discussione si va a polarizzare tra quanti consigliano di mantenere le attuali restrizioni e quelli che ne sottolineano la sproporzionalità, perché il governo federale continuerebbe a lanciare scadenze senza immaginare svolte vere nella gestione della pandemia e, soprattutto, continuando a esporre la popolazione più vulnerabile (soprattutto gli anziani) al rischio di contagio. Alla prima obiezione, ribattono dalla cancelleria, che la strategia è necessaria, perché solo con numeri aggiornati è possibile prendere decisioni valide. Gli esperti del gruppo “No-Covid” in un documento pubblicato dal settimanale Die Zeit hanno invece chiarito come «appaia del tutto irrealistico lasciar libera la pandemia e proteggere, in un contesto di chiaro aumento dei contagi, i gruppi più vulnerabili». A Melanie Brinkmann, virologa, che ripete da mesi queste tesi e che ha firmato il documento con altri scienziati provenienti dai settori più diversi (non solo virologi ma anche giuristi, economisti e politologi), sono arrivate anche minacce, come in passato al virologo Christian Drosten.

Rischio varianti

Eppure, c’è ancora qualcosa che inquieta e che divide politica, informazione e società. Proprio le varianti del virus, che sembrano essere molto più pericolose e di cui ancora poco si sa rispetto alla capacità di resistere al vaccino: la B.1.1.7, la variante cosiddetta ‘inglese’, è tra il trenta e il cinquanta per cento più aggressiva. Secondo l’analisi della Süddeutsche Zeitung sebbene i contagi siano in diminuzione, questa variante si sta lentamente ma sempre più velocemente diffondendo, rischiando di causare una nuova ondata tra qualche settimana. Fenomeno osservato nei mesi scorsi nel Regno Unito.

In pratica, sebbene sia possibile adesso constatare una discesa dei contagi, tra i nuovi casi ci sarebbero persone infettate dalla mutazione, con un indice di trasmissibilità più alto. Anche se in questa fase la curva si abbassa, quindi, il rischio è che "nasconda” una nuova ondata, ad oggi ancora invisibile, che in pochissimo tempo potrebbe sfuggire di mano. Tra gli autori di quest’analisi, Christian Endt non nega qualche preoccupazione per le prossime settimane «dopo tanto tempo le persone, che pure si sono attenute alle regole, hanno voglia di tonarne alla normalità, ad esempio so che per molti genitori la chiusura delle scuole è stato un vero problema. Ma le analisi inglesi dimostrano che dobbiamo ridurre l’indice R ben sotto 1, adesso siamo circa a 0,9, comunque troppo elevato, perché nelle prossime settimane potremmo assistere ad una nuova crescita esponenziale di cui è responsabile la mutazione. Dobbiamo essere pronti».

Certo, si tratta di ipotesi, ma anche previsioni ottimistiche rivelano come la variante del virus potrebbe rendere impossibile raggiungere l’obiettivo dei 50 infetti per centomila abitanti, presupposto di un corretto e ordinato tracciamento delle infezioni. Da qui la richiesta di evitare una pericolosa fuga in avanti (proprio le scuole sono state responsabili nel Regno Unito dell’ondata che ha colpito il paese) che potrebbe obbligare in un prossimo futuro a nuove e più pesanti restrizioni: l’obiettivo resta tenere bassi i contagi ed evitare uno stress eccessivo per il sistema sanitario.

Sempre nel documento No-Covid si legge come sarà bene non abituarsi a facili mitologie che promettono tempi rapidi: anche se entro giugno dovessero essere vaccinati venticinque milioni di persone, l’effetto stagionale di limitazione della diffusione del virus, osservato per quello influenzale, non sarà sufficiente a rallentare la pandemia e, ad esempio, le terapie intensive dovranno restare sotto controllo perché ancora a rischio di essere sovraccaricate. L’uscita dall’emergenza è ancora lontana: «La vaccinazione richiederà mesi, ma le prossime settimane saranno decisive per congiurare una nuova crescita esponenziale. È il caso di essere davvero molto prudenti con le prossime aperture, in particolare nelle scuole. Tenere sotto stretta osservazione lo sviluppo della pandemia per reagire immediatamente alla variante» ancora Endt.

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