Chi sceglie di parlare di fibra ottica, corruzione nel calcio, diritti umani a Dubai, musei neocolonialisti e scandali finanziari può prontamente essere tacciato di tuttologia, o almeno di alimentare un ciclo mediatico che ogni settimana divora, deglutisce e dimentica senza mai approfondire. Questa accusa è più difficile da muovere a Jan Böhmermann, uno che sulle proprie trasmissioni ci ha sempre messo impegno e costanza. E non certo per deontologia professionale: il “pallido ragazzo bianco” è infatti tante cose, ma non giornalista. Su questo punto Böhmermann è sempre stato molto chiaro, così come il suo modello anglo-americano John Oliver. Sono comici prestati all’informazione, impacchettatori di inchieste altrui e specializzati nel girare il dito nella piaga. Prendono temi complessi e scomodi e li avvolgono in una dolce glassa satirica per renderli appetibili a quel pubblico che raramente segue Ard Extra o altri formati d’approfondimento.

Ma rendere una problematica potabile non vuol dire essere superficiali. Lo ha riconosciuto Zdf, il secondo canale pubblico tedesco, che ha spostato la trasmissione di Böhmermann Magazine Royale in prima serata sul proprio canale principale (prima andava in onda sulla succursale dedicata ai giovani). Ogni venerdì, Böhmermann si lancia su un nuovo problema di rilevanza nazionale, rafforzato da un canale Telegram sul quale la sua squadra di giornalisti e fact-checker distribuisce aggiornamenti e approfondimenti. Quella di Telegram è una scelta aliena nel contesto italiano, ma anche a quello benpensante della tv pubblica tedesca, dove la piattaforma di messagistica è conosciuta per lo più per la sua utenza complottista e di estrema destra. Ma per “Böhmi”, come lo chiamano i suoi fan, è importante dominare il format, occupare gli spazi che l’establishment mediatico ha abbandonato al trash nazionalpopolare che ogni settimana manifesta contro gli immigrati e produce personaggi come Jana di Kassel, autodichiaratasi nuova Sophie Scholl nella resistenza a vaccini e mascherine e diventata virale grazie a un video circolato sui social.  A ognuno va data la propria dose di scomodità: al pubblico della vecchia tv Böhmermann riserva i riferimenti alla bassa cultura più lontana dagli studi televisivi di Colonia, proponendo in maniera ossessiva le stesse clip musicali di Michael Wendler, un Gigi D’Agostino all’asparago bianco. I quaranta minuti di trasmissione sono poi integrati da lunghe, serie interviste a esperti e politici, pubblicate però su YouTube, l’impero del meme transitorio su cui la televisione pubblica tedesca mantiene uno sparuto presidio di influencer convertiti alla pubblica utilità.

Un personaggio diventato un format

Il rinnovamento dei media liberali passa dall’autocoscienza di chi, nel bene e nel male, ne è diventato il giovane volto. Perché Jan Böhmermann è prima di tutto un account di Twitter, le cui polemiche settimanali sono ormai tanto regolari quanto incerte. Per i conservatori, Böhmermann rappresenta il giovane liberal-sinistroide verde foraggiato dai fondi pubblici per propagare arroganza. Questa è un’accusa esagerata e ingiusta: nessuno si salva dal sarcasmo made in Brema. Stiamo infatti parlando del comico candidatosi all’ennesimo cambio di leadership all’interno del Spd, approfittando del mistero che ancora avvolge le primarie in un sistema politico poco incline a forme di democrazia diretta. Non è diventato leader, ma si è ricoperto di salsa di pomodoro posando fra due cartonati di politici della Linke.

È però vero che Böhmermann tende a bersagliare un certo ceto politico-culturale, anche a costo di provocare una crisi diplomatica. Nel 2016, in risposta alle lamentele del presidente turco Recep Tayyp Erdogan per una canzone trasmessa sulla sua vecchia trasmissione, Böhmermann recitò una poesia talmente offensiva da provocare un processo per lesa maestà e un intervento diretto della cancelliera. Merkel, presa in contropiede, si ritrovò a dare ragione all’illiberale del Bosforo piuttosto che proteggere la libertà di espressione di un cittadino tedesco.

Creatore di polemiche

È proprio così che Böhmermann opera: dando fastidio, imbracciando la macchina di polemiche di Internet contro le ipocrisie di un paese in cui il provincialismo culturale e politico sono ancora dominanti. L’anno prima della contesa (felicemente risolta) con Erdogan, Böhmermann aveva fatto notizia sull’altro lato dell’Egeo, trasmettendo una canzone (l’irresistibile V for Varoufakis). Nella clip, l’eponimo ministro delle Finanze mostrava il dito medio alla Germania. Non l’avesse mai fatto: per giorni, la crisi dei debiti sovrani si concentrò tutta in quei pochi secondi di insulto, con commentatori a destra del centro imbestialiti per la mancanza di rispetto dell’arrogante greco. Un piccolo problema: quando lo scandalo giunge all’acme, Böhmermann annuncia che si tratta di un falso, un effetto speciale montato su un vecchio video di Varoufakis. Sembrerebbe, tuttavia, che anche nel video originale l’economista mostrasse il dito medio. Insomma, un falso che però mostra il vero, un’iniezione di post verità, un montaggio che nella sua ambiguità rivela i profondi pregiudizi tedeschi nei confronti del sudeuropeo così arrogante da alzare la voce contro l’ortodossia fiscale.

Col passaggio alla rete principale Böhmermann sembra essersi calmato. L’energia polemica del comico continua però a colare dai lati dello schermo, malamente repressa dal protocollo di Zdf. Che si tratti di bastonare Volkswagen, la casa automobilistica fondata dai nazisti e oggi indifferente ai campi di concentramento per uiguri vicini alle sue fabbriche cinesi, o di spalancare la finestra sulle torbide relazioni fra Bayern Monaco, tabloid Bild e il ministro della Salute Jens Spahn, Böhmermann troverà sempre un modo per accoppiare informazione e rap, trolling e inchiesta. Chi lo segue solamente per l’umorismo acido può sempre acquistare la sua raccolta di tweet, 464 pagine dal titolo più che eloquente: «Non seguito da nessuno che tu segua».

© Riproduzione riservata