Per chi usa la macchina a Berlino non è inusuale rimanere imbottigliati dietro lunghe colonne di trattori. Sono ormai anni che la capitale è periodicamente invasa da squadroni di allevatori, braccianti, contadini e macellai discesi da Brandeburgo, Sassonia e Mecklenburgo per protestare contro la crisi che affligge il settore agricolo tedesco. Se prima del Covid-19 era ancora possibile liquidare tutto ciò come una pittoresca irruzione della campagna in città, le prime settimane dell’anno hanno visto un inasprimento che preoccupa più che divertire. Nelle ultime manifestazioni gli agricoltori sono stati accompagnati da influencer della scena complottistica di estrema destra, uno dei quali ha anche trasmesso online il confronto fra la ministra dell’agricoltura Julia Klöckner (Cdu) e i manifestanti. Gli slogan contro le élite urbane si sono moltiplicate, accompagnando una crescente l’ostilità per la transizione ecologica. Infine, molti coltivatori hanno iniziato a sventolare la bandiera nera del Landvolkbewegung, un campo nero con aratro bianco e spada rossa utilizzata dalle milizie agricole di destra durante la Repubblica di Weimar. 

Deriva a destra

È proprio questo recupero di simboli traumatici per la coscienza democratica tedesca che ha obbligato l’opinione pubblica a osservare meglio quello che sta succedendo nelle campagne della Bundesrepublik. Che lo scontento rurale sembri sul punto di sfociare in una “deriva a destra” è infatti anche a causa di politiche e abitudini quotidiane ormai insostenibili – prima di tutto un modello di mercato assolutamente inadatto alla transizione ambientale. Circa metà del territorio tedesco è destinato a uso agricolo, ma solo il 5 per cento è lavorato con tecniche ecosostenibili. Uno stabilimento agricolo tedesco, in media, si estende per 63 ettari (contro i 20 italiani), e produce soprattutto per l’export. Come le filiere dell’allevamento, le aziende sono diventate più estese e specializzate – gli allevamenti suini, ad esempio, detengono il doppio dei maiali rispetto al 2010.

Perché questo aumento vertiginoso? Uno dei fattori cruciali è l’oligopolio esercitato dalle sette grandi catene di supermercati, da anni impegnate in una gara al massimo ribasso sui prezzi dei generi alimentari. La competizione fra supermercati si gioca con un botta-e-risposta di sconti lampo e offerte speciali. Controllando da sole gran parte della domanda interna, le catene hanno eroso i (magri) margini di profitto degli agricoltori, costringendoli ad abbassare i propri prezzi e cercare di risparmiare dove possibile. L’industria tedesca ha in parte risposto consolidandosi in sistemi di fattorie più grandi, formando economie di scala con costi marginali di gestione più bassi.

Ma per raggiungere i prezzi bassissimi imposti dai supermercati, per esempio abbassando il costo di macellazione della carne di maiale a 2 euro al chilo, le aziende hanno dovuto prendere scorciatoie spesso umilianti. Se ne è avuta prova fra la prima e la seconda ondata di Covid-19, quando il gigante della carne Tönnies e i campi di asparagi fra Renania e Sassonia sono diventati immensi focolai infettivi. Le baracche in cui i lavoratori stagionali sono costretti a risiedere, per non parlare degli angusti ambienti di lavoro, hanno facilitato la diffusione del virus fra i braccianti rumeni e polacchi, mietendo un numero sconosciuto di vittime e causando denunce a carico delle aziende produttrici.

In questo frangente, la crisi sociale alimenta quella ecologica. L’altro espediente per tenere i prezzi così bassi è infatti l’utilizzo di tecniche produttive tutt’altro che green. Ciò è evidente nell’agonia dei negoziatori tedeschi sul divieto del glifosato, un diserbante piuttosto economico utilizzato dai coltivatori per la sua grande efficienza. Le associazioni ambientali si sono spese per il divieto europeo di questo prodotto perché sospettato di avere proprietà cancerogene, oltre che per il suo devastante effetto su biodiversità e popolazioni di insetti. Il divieto totale sarà applicato dal 2024, ma gli agricoltori già avvisano che l’incremento dei costi di coltivazione sarà insostenibile per molte piccole aziende.

Il sospetto più angosciante è che questi malesseri economici possano trasformare la transizione ecologica in una lotta culturale e redistributiva. In effetti, qualcosa del genere sta già accadendo. Verdi e Unione (Cdu, ma soprattutto la Csu tanto amata dall’industria agricola bavarese) retoricamente associano le proprie posizioni a due stili di vita distinti; i primi premono per una diminuzione nei consumi di carne e diversificazione delle diete, mentre i secondi rivendicano le tradizionali grigliate domenicali come un diritto inalienabile. La Spd, intanto, si è intestata il divieto di impiegare lavoratori di giornata nell’industria della carne, tentando di fornire un’alternativa alla “politica dei divieti” dei Verdi. I prezzi, tuttavia, sono ancora lontani da un aggiustamento. La presenza della peste suina in alcune consegne dalla Germania ha causato un crollo nell’export della carne tedesca, inondando il mercato di carne a basso costo. Uno sviluppo che sarà sicuramente capitalizzato dall’estrema destra, sempre più interessata alla frustrazione rurale nei confronti della politica.

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