Berlino alla fine ha fatto pace con il fatto che il numero di migranti ha continuato a salire negli anni, nonostante adesso il nuovo governo ha intenzione di rendere di nuovo più complicato ottenere la cittadinanza. Di pari passo va l’interesse del governo Merz per le strategie in fatto di gestione dei migranti proposte da Giorgia Meloni, che ha voluto includere anche nel Piano d’Azione
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È stato un lungo percorso prima che la Germania si riconoscesse come paese d’immigrazione. Tra il 1955 e il 1973, circa 14 milioni di persone sono arrivate in Germania come lavoratori ospiti (Gastarbeiter), provenienti principalmente da Turchia, Italia, Grecia, Spagna e Portogallo. Molti di loro alla fine rimasero per sempre.
Eppure, nel suo discorso programmatico del 13 ottobre 1982, il cancelliere Helmut Kohl dichiarava ancora: «L’integrazione è possibile solo se il numero di stranieri presenti in Germania non aumenta». E negli accordi di coalizione tra Cdu/Csu e Fdp si leggeva: «La Germania non è un paese d’immigrazione».
Per anni, ci si è rifiutati di riconoscere una realtà evidente: la Germania era diventata più varia – e lo sarebbe diventata ancora di più.
Gli attentati e il razzismo
All’inizio degli anni Novanta, il razzismo e la xenofobia aumentarono in maniera allarmante. Nella notte tra il 28 e il 29 maggio 1993, un attentato incendiario compiuto da quattro estremisti di destra a Solingen costò la vita a cinque ragazze e giovani donne. Nella notte del 23 novembre 1992, a Mölln, due case abitate da famiglie turche furono oggetto di un attacco incendiario compiuto da due neonazisti: tre persone morirono, nove rimasero gravemente ferite.
Tra il 2000 e il 2006, il gruppo terroristico neonazista Nsu (Nationalsozialistischer Untergrund) condusse una serie di omicidi a sfondo razzista, uccidendo nove persone di origine turca e un cittadino greco. Ci sono voluti quasi dieci anni prima che in Germania si riconoscesse il movente razzista degli attentati – e solo dopo che lo stesso Nsu si autodenunciò. La stampa in quel periodo contribuì a minimizzare i fatti, parlando di “omicidi del kebab” (Dönermorde), un’espressione carica di cliché e connotazioni razziste.
Oggi la Germania è un paese d’immigrazione. E, com’era prevedibile, ciò rappresenta un problema per il partito populista di destra AfD. Lo si nota in modo particolare quando i suoi esponenti parlano di “remigrazione”, un termine con forti connotazioni ideologiche. Ma è necessario guardare alla realtà di un paese sempre più plurale, anziché ai gruppi estremisti che faticano ad accettarla.
Oggi circa una persona su quattro in Germania ha una background migratorio. Nel 2024, circa 291.955 cittadini stranieri hanno ottenuto la cittadinanza tedesca. La Germania, inoltre, dipende fortemente dall’immigrazione, anche a causa della carenza di manodopera in molti settori professionali.
Il Bundestag ha approvato nel gennaio 2024 una riforma che riduce da otto a cinque anni il periodo di residenza legale richiesto per ottenere la cittadinanza tedesca. In linea generale (con alcune eccezioni), è inoltre possibile mantenere una doppia cittadinanza. I bambini nati in Germania da genitori stranieri ottengono la cittadinanza tedesca se almeno uno dei genitori vive legalmente nel paese da almeno cinque anni ed è titolare di un permesso di soggiorno permanente. Da adulti, non saranno più obbligati a scegliere tra due cittadinanze.
Il tasso di naturalizzazione più alto è stato registrato tra le persone apolidi. Più di un quinto (22 per cento, ovvero 4.130) delle persone apolidi residenti in Germania all'inizio del 2024 ha acquisito la cittadinanza tedesca entro la fine dell'anno.
Bisogno e peso
Anche in Italia, la questione della gestione dei migranti ha tante facce. Da un lato, da anni vengono raccontati come “coloro che fanno i mestieri che gli italiani non vogliono più fare” e che fanno figli in un paese tormentato dal calo delle nascite, dall’altro restano, per una parte degli italiani, un bagaglio di cui liberarsi. Almeno a giudicare da come votano.
Giorgia Meloni ha infatti fatto della lotta all’immigrazione irregolare la sua bandiera: a guardare i risultati del voto delle elezioni del 2022 e la sua popolarità, che continua a essere altissima anche due anni e mezzo dopo, sembra essere stata un’ottima mossa. Certo, i toni sono un po’ cambiati: quando era all’opposizione, Meloni prometteva i blocchi navali, misura scomparsa poi nell’esatto istante in cui si è insediata a palazzo Chigi.
Nonostante il numero di migranti in arrivo sulle coste italiane continui a salire, Meloni vende la sua azione di governo come grande successo per quanto riguarda la riduzione degli sbarchi. Fiore all’occhiello del suo piano è la costruzione dei Centri per il rimpatrio in Albania che in realtà sono tutt’altro che un successo, perfino dal punto di vista di Meloni. La maggior parte dei migranti che vi sono infatti stati trasferiti sono stati rimandati indietro (cioè in Italia) dai giudici che ne avrebbero dovuto convalidare la permanenza. Risultato: quasi un miliardo di spesa per realizzare delle strutture pressoché vuote. Resta il fatto che il modello di outsourcing della gestione dei migranti sembra essere attualmente l’unico asset che Meloni può mettere sul tavolo nelle conversazioni con i capi di governo stranieri, spesso molto interessati ad affidare a paesi terzi le persone che arrivano in cerca di una vita migliore.
Un tema ricorrente
La linea proposta da Meloni è quella di impedire le partenze, ma iniziative per limitare gli sbarchi sono state prese anche da governi precedenti, come quello di Lega e M5s del 2018-2019, che aveva lasciato al largo navi cariche di persone in difficoltà ritardando lo sbarco e, ancora prima, i governi di centrosinistra che hanno fatto patti con paesi come la Libia per assicurarsi una collaborazione con la sponda meridionale del Mediterraneo, accettando anche i metodi di quei governi.
L’esistenza per chi riesce a sbarcare molto spesso è difficile, soprattutto all’inizio. Molti migranti restano in una zona grigia nella speranza di arrivare in altri paesi europei (soprattutto Germania o Francia) senza essere prima registrati dalle autorità italiane, eventualità che rischierebbe di farli respingere in tappe successive per le regole del trattato di Dublino. Tanti finiscono nelle grinfie del caporalato, una forma di sfruttamento molto diffusa nelle campagne italiane. Regolarmente le operazioni delle forze dell’ordine sgominano realtà in cui gli imprenditori tengono i lavoratori in condizioni insostenibili, spesso privandoli della loro libertà e dei documenti.
Ultimamente il centrosinistra ha proposto un referendum per facilitare il percorso per l’ottenimento della cittadinanza, per cui sono necessarie conoscenze linguistiche, una fedina penale pulita, il regolare versamento delle tasse e dieci anni di residenza in Italia. La proposta – sottoposta ai cittadini in forma di referendum – era di diminuire il tempo di residenza necessario da dieci a cinque anni: la consultazione popolare è fallita perché non si è raggiunto il quorum, ma l’esito del referendum, a cui hanno partecipato soprattutto elettori di centrosinistra, è stato devastante per i proponenti. Soltanto il 65 per cento dei votanti ha espresso voto favorevole, un dato significativo anche per i partiti dell’opposizione.
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