Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza della Corte d'Assise di Milano che ha condannato all'ergastolo Michele Sindona per l'omicidio dell'avvocato Giorgio Ambrosoli


Le minuziose e approfondite indagini svolte dalle autorità italiane e da quelle statunitensi, con la collaborazione degli uffici di polizia e giudiziari di altri stati, hanno portato alla acquisizione di una grande massa di risultanze probatorie, sulla base delle quali i magistrati istruttori hanno potuto ricostruire con sufficiente esattezza i movimenti di Michele Sindona nel periodo della sua scomparsa, e gli interventi di aiuto e di assistenza alla messinscena attuati da numerose altre persone.

Fra tali risultanze probatorie assumono particolare rilievo: le prove documentali di comunicazioni telefoniche, di viaggi aerei e per nave, di soggiorni in albergo e di operazioni bancarie; gli interrogatori di Francesca Paola Longo, Joseph Miceli Crimi, Umberto Castelnuovo, Salvatore Macaluso, Walter Navarra, Gaetano Piazza, Rodolfo Guzzi; alcuni documenti rinvenuti in possesso di John Gambino, Vincenzo Spatola, Joseph Miceli Crimi, Rosario Spatola e altri; il memoriale redatto da Antonio Caruso, con documenti allegati, acquisiti attraverso le deposizioni di Romano Cantore e di Enzo Ficile; le dichiarazioni successive di Michele Sindona, e le deposizioni di vari testimoni.

La scomparsa di Michele Sindona non venne decisa improvvisamente. Il 3 aprile 1979 tale Joseph Bonamico, residente a New York, richiese l'emissione di un passaporto a suo nome, urgentemente e grazie all'interessamento dell'agente di viaggio Paul Passione. Il passaporto venne ritirato il giorno stesso da persona evidentemente diversa dal Bonamico, il quale successivamente ne richiese un altro. Quel passaporto, recante il numero K1415379, fu utilizzato da Michele Sindona, con il falso nome di Joseph Bonamico, per tutto il periodo della sua scomparsa.

I primi preparativi per il viaggio clandestino in Italia, iniziati con l'acquisizione del falso passaporto a nome di Joseph Bonamico, si collocavano in un periodo particolarmente delicato della vicenda di Sindona. Egli infatti il 19 marzo 1979 era stato formalmente incriminato per il fallimento della banca Franklin, e si trovava libero su cauzione.

Sul versante italiano del procedimento per la bancarotta della Banca privata italiana, Sindona aveva visto concludersi in modo a lui sfavorevole il giudizio di impugnazione avverso la dichiarazione di insolvenza, avendo la Corte di Cassazione rigettato il ricorso con pronuncia in data 31 marzo 1979.

Intanto in quel periodo continuavano le pressioni intimidatorie su Enrico Cuccia, il quale il 22 marzo si era incontrato a Zurigo con Magnoni e il 10 e l’11 aprile a New York con Sindona, subendo in entrambe le circostanze pesanti minacce.

In quest'ultimo colloquio Sindona, come si è detto, aveva accennato al suo proposito di “far scomparire” Ambrosoli, e in questo arco di tempo, in effetti, William Aricò aveva soggiornato ripetutamente a Milano, a suo dire allo scopo di pedinare l'avvocato Ambrosoli e di studiarne le abitudini. Da qualche settimana prima della partenza Sindona discuteva con Joseph Macaluso dell'opportunità di recarsi all'estero per qualche tempo, e nel luglio individuò la prima meta del suo viaggio.

Fra la fine di giugno ed i primi di luglio Sindona convocò a New York Umberto Castelnuovo, con cui aveva familiarità per motivi di parentela, e gli comunicò la propria intenzione di tornare in Italia, pregandolo di gestirgli delle somme che avrebbe depositato in Svizzera proprio per le esigenze di tale soggiorno. Così il 16 luglio 1979 il Castelnuovo, alla presenza di Pier Sandro Magnoni e di Maria Elisa Sindona che fornirono il danaro necessario e lo presentarono al direttore della banca, aprì presso Unione delle banche svizzere di Chiasso il conto corrente n. 643333 e affittò una cassetta di sicurezza.

Di lì a poco Sindona partì davvero per l’Italia e il conto e la cassetta vennero utilizzati per le esigenze della sua permanenza in questo paese. Ancor prima Michele Sindona aveva informato Joseph Miceli Crimi del proposito di fingere un rapimento per venire, clandestino, in Italia. Miceli Crimi, che Sindona conosceva da tempo, era un medico siciliano che viveva parte dell'anno in Italia e parte in Usa, era massone ed era in contatto con John Gambino, dal quale aveva acquistato un'automobile.

Sindona gli aveva confidato che il viaggio era finalizzato al recupero di documenti essenziali per la sua difesa nel processo Fraklin e alla organizzazione di una separazione della Sicilia dall’Italia, per sottrarla all'influenza del comunismo (interrogatorio di Miceli Crimi del 7 marzo 1981).

Nel luglio 1979 intervennero una serie di telefonate e di incontri fra varie persone che svolsero poi ruoli diversi nella gestione del finto rapimento. Il 3 luglio, dall'utenza di Rosario Spatola (che Sindona aveva in precedenza tentato di favorire indirizzandolo a Ruggero Gervasoni, interessato in numerose società edili, perché lo introducesse a livelli più elevati nell'Albo Nazionale dei Pubblici Appaltatori) venne chiamata la residenza di Sindona a New York, l'Hotel Pierre; lo stesso giorno, dall'utenza di Francesca Paola Longo, insegnante palermitana amica di Miceli Crimi fu chiamato il numero dell'ufficio di Michele Sindona a New York; una telefonata analoga, ma indirizzata all'Hotel Pierre, si verificò il 7 luglio; nei giorni successivi intercorsero alcune telefonate fra le utenze di Rosario Spatola e di John Gambino, i quali incontrarono Sindona a New York verso la fine del mese. Joseph Macaluso, che Sindona incontrò tra l'altro il 18 luglio a Staten Island e il 29 al Pierre, tenne contatti continui, personali e telefonici con suo fratello Salvatore Macaluso residente a Racalmuto. Il 30 luglio Sindona incontrò a New York Walter Navarra.

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