«Abbiamo creato le condizioni perché il lavoro sul Pnrr continui, indipendentemente da chi ci sarà», dice il primo ministro, Mario Draghi nella conferenza stampa di fine anno. Passano poche ore da questa frase prima che una nota ufficiale del Movimento cinque stelle, ad oggi ancora la prima forza parlamentare alla Camera e al Senato, chieda ufficialmente continuità di governo, invocando come motivazione più importante proprio la messa a terra del piano nazionale di ripresa e resilienza e sottolineando il rischio di abbandono di cittadini e istituzioni e di seri problemi per tutti.

La vera agenda del governo Draghi sul Recovery

Obiettivi completati

Il governo è riuscito per il 2021 a centrare tutti gli obiettivi – qualitativi e quantitativi – su cui il paese si è impegnato di fronte agli altri 26 paesi dell’Unione europea, che dei fondi del Recovery plan, 191, 5 miliardi di euro, sono donatori e garanti. Lo ha fatto correndo sull’ultimo miglio. Sul bando per le aree industriali dismesse da riconvertire per creare una filiera produttiva dell’idrogeno, solo per fare un esempio, valore 1,6 miliardi di euro, le regioni sono state coinvolte solo nel mese di dicembre. L’investimento, secondo il portale ItaliaDomani, deve iniziare il primo gennaio del 2022. Questa corsa ha un effetto collaterale non da poco, gli enti locali devono arrivare con progetti e proposte praticamente già pronte. Le dichiarazioni del sindaco di Milano, Beppe Sala, sul fatto che chi fa bene ha diritto ad avere più fondi, insomma, non nascono da nulla, ma seguono una dinamica per cui il comune di Milano arriva attrezzato a un piano che ha come obiettivo ridurre i divari e rischia invece di allargarli.

In ogni caso, per i traguardi raggiunti la Commissione europea è pronta a staccare l’assegno da 15 miliardi di euro previsti e che nei primi giorni di gennaio secondo calendario dovrebbero essere avviati grossi quattordici investimenti, da quello sulla filiera del biometano all’estensione del tempo pieno nella scuola, dal rinnovo delle flotte di bus e treni per abbattere le emissioni, agli ecosistemi per l’innovazione del sud fino a tutte le sperimentazioni legate all’idrogeno.

Le scadenze per il 2022

Per il 2022, però, le scadenze si moltiplicano e non di poco: 83 obiettivi quantitativi e 17 traguardi intermedi, cioè riforme e decreti approvati, per ottenere 24 miliardi a metà anno e altri 22 alla scadenza dei dodici mesi. I prossimi obiettivi sono quelli che pongono le basi per tutto lo sviluppo successivo: c’è la riforma dell’assistenza sanitaria, la strategia per l’economia circolare, la riforma della scuola, ma soprattutto l’aggiudicazione di decine e decine di bandi necessari ad avviare i cantieri: tutti quelli per la digitalizzazione della pubblica amministrazione e del polo strategico nazionale per i dati, i bandi per i fondi comunali per le periferie e le aree disagiate, quelli per l’edilizia sociale, quelli per iniziare ad utilizzare l’idrogeno per trasformare i settori ad alte emissioni di anidride carbonica p per lo sviluppo dei campi agrovoltaici. Ci saranno poi le prime valutazione delle riforme avviate nel 2021, pe esempio, la misurazione delle performance dei centri per l’impiego.

Il 2022 è insomma soprattutto l’anno in cui si devono iniziare ad aprire cantieri per arrivare a completare i lavori nel 2026 e in parte anche quello in cui si iniziano a fare alcuni bilanci.

Non è semplice capire come stiamo arrivando all’appuntamento. Se alcuni ministeri come quello delle infrastrutture hanno pubblicato in maniera trasparente il livello di avanzamento dei lavori sul loro sito, altri come quello della transizione ecologica, il dicastero che gestisce più fondi, non forniscono informazioni, e il sito Italia Domani mostra solo il calendario degli investimenti. Peccato che la trasparenza sul monitoraggio dei lavori era un impegno chiaro alla base del progetto.

Il coordinamento necessario

L’attesa relazione della capa della segreteria tecnica del Pnrr, Chiara Goretti, dovrebbe fare chiarezza. Intanto pochi giorni fa il Centro per l’economia digitale ha presentato proprio a lei un libro bianco sugli aspetti esecutivi del piano che tradisce abbastanza preoccupazioni. Il Ced ha come soci grandi aziende, partecipate di stato e non, Eni, Enel, Leonardo, Open Fiber, I Capital, Tim e Tinexta, aziende quindi che sono coinvolte in prima fila nel Pnrr e che hanno partecipato alla stesura delle proposte presentate al governo. La maggioranza delle richieste va nella direzione di un maggiore coordinamento centrale, più stato e più visione: una strategia per cybersicurezza che sia coerente in tutti i settori dalla micromobilità all’industria 4.0, cioè i dati che governeranno i processi aziendali, standard chiari sul polo strategico nazionale, soprattutto in vista dell’aggiudicazione dei bandi sul digitale del 2022 un coordinamento sugli standard da richiedere alla pubblica amministrazione, per non ripetere il fallimento degli anni passati sul fascicolo sanitario elettronico in cui ogni ente locale ha fatto da sé. Sembrano questioni scontate ma su cui si gioca praticamente tutta la transizione digitale del paese e su cui si è discusso da quello che ci risulta per oltre un’ora con i vertici del ministero dello sviluppo economico.

I tempi da rispettare sono stretti, che si tratti di interventi sulle perdite degli acquedotti ai bandi per le rinnovabili. E viene da pensare che quando a giugno del prossimo anno si ridiscuterà in Ue l’assegnazione del 30 per cento dei fondi, per tenere conto dell’andamento del Pil del 2021, se ci togliessero parte dei finanziamenti per dirottarli sulla Spagna maggiormente in crisi probabilmente ci farebbero un favore.

 

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