Dopo il via libera dell’Antitrust sulla scalata di Poste in Tim – l’azienda guidata da Matteo Del Fante è diventata l’azionista di maggioranza con il 24,81% delle azioni – arriva il disco verde anche dall’Agcom. Il parere che Domani ha potuto visionare (e che Agcom ha già inviato all’Antitrust) conferma in toto la linea dell’Autorità per la concorrenza a cui spetta l’ultima parola sul dossier. Agcom «non ritiene quindi necessario avviare la seconda fase dell’istruttoria volta eventualmente a vietare l’operazione», si legge nel documento come peraltro già anticipato a fine luglio da Domani.

Nessun effetto distorsivo sul mercato

In dettaglio, Agcom non rileva ostacoli alla concorrenza nei mercati su cui la concentrazione potrebbe avere effetto – ossia quelli dei servizi di telefonia fissa al dettaglio per clienti residenziali e piccole imprese (secondo Agcom l’operazione porterà a un aumento marginale della quota di mercato di Tim per circa 1,7%), dei servizi di telefonia mobile al dettaglio (Tim dovrebbe passare al 27% con un aumento del 5%, quota inferiore al 30% considerata “preoccupante”), dei servizi di accesso all’ingrosso sulla rete mobile (Poste non fornisce questa tipologia di servizi) e della distribuzione delle ricariche telefoniche.

Su quest’ultimo punto alcuni operatori hanno evidenziato il timore che Poste possa sfruttare i suoi uffici postali per vendere le schede e ricariche Tim o offrire in accoppiata questi servizi con quelli finanziari. «Viene tuttavia rilevato – evidenzia l’Authority - che la distribuzione di sim/ricariche direttamente dall’operatore è un mercato marginale, tant’è che Poste e Tim hanno rispettivamente una quota del 12% e del 7,5% del volume transato e quindi inferiore cumulativamente al 20%».

Il nodo Tim Vision

Resta invece da sciogliere il nodo Tim Vision su cui è stato chiesto un parere. Con la delibera n.192/25/Cons approvata il 23 luglio Agcom ha già esaminato la questione sul fronte sia del pluralismo e sia del trasferimento di proprietà di Tim Vision da Tim a Poste. Ma se dal punto di vista del pluralismo non c’è nessun problema, il trasferimento di proprietà potrebbe invece contrastare con l’art. 5 comma 3 del Tusma (Testo Unico dei servizi di media audiovisivi) secondo cui «fatto salvo quanto previsto per la società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo, le amministrazioni pubbliche, gli enti pubblici, anche economici, le società a prevalente partecipazione pubblica e le aziende ed istituti di credito non possono, né direttamente né indirettamente, essere titolari di titoli abilitativi per lo svolgimento delle attività di operatore di rete o di fornitore di servizi di media anche a richiesta o radiofonici». Secondo quanto dichiarato da Poste non ci sarebbe controllo ma solo collegamento «visto che all’ultima assemblea del 24 giugno 2025 Poste non risulta aver inteso provvedere all’integrazione o alla revoca degli organi amministrativi e di controllo di Tim, mantenendo quindi lo status quo della governance societaria».

Ma l’istruttoria dell’Antitrust si fonda sul fatto che Poste controlla di fatto Tim «in quanto, pur non avendolo ancora fatto, avrebbe già dichiarato l’intenzione di nominare suoi rappresentanti nel consiglio di amministrazione, al fine di esercitare una influenza determinante». Dunque Agcom evidenzia che «non appena Poste nominerà nuovi membri del cda, deve essere dato mandato alla Direzione servizi di media di aprire un’istruttoria per verificare se la nuova governance avrà effettivamente portato a un controllo di Tim e quindi di Tim Vision, con conseguente possibile violazione dell’art. 5 comma 3 del Tusma».

Salta il dossier Tim-Iliad

Mentre si va avanti sul dossier Poste-Tim si è totalmente impantanato quello Tim-Iliad, ossia l’ipotesi di fusione fra le due aziende in chiave di consolidamento del mercato. Giovedì 28 agosto in occasione della presentazione dei risultati finanziari il ceo del Gruppo Iliad Thomas Reynaud ha detto che «da inizio aprile non ci sono più state interlocuzioni con Tim» ma ha anche aggiunto che le stesse «non riprenderanno».

Notizia che ha provocato il crollo del titolo Tim arrivato a perdere oltre il 9% e che anche venerdì 29 perde quota. Nonostante l’amministratore delegato di Poste Matteo Del Fante, a seguito dell’ingresso in Tim, abbia in più di un’occasione ribadito l’intenzione della società di voler contribuire al consolidamento delle Tlc tutto è fermo e dunque non è chiaro dove si vada a parare.

In Italia al momento ci sono quattro compagnie mobili infrastrutturate (ossia dotate di reti): Tim, WindTre, Iliad e Fastweb-Vodafone (prima della fusione delle due aziende gli operatori erano dunque 5, un unicum a livello mondiale).

L’effetto boomerang sui consumatori

L’ideale, secondo molti osservatori, sarebbe scendere a tre operatori poiché la situazione di mercato è molto critica: la guerra dei prezzi con tariffe che continuano a scendere progressivamente (persino sugli abbonamenti al 5G) se da un lato favorisce i consumatori (in Italia i prezzi per le chiamate e la connettività Internet sono i più bassi l’Europa e fra i più convenienti al mondo) dall’altro non permette alle Telco di disporre di risorse sufficienti per spingere gli investimenti nelle reti di nuova generazione a danno quindi della qualità dei servizi, un effetto boomerang proprio sui consumatori.

La fusione Tim-Iliad di fatto sarebbe l’unica opzione realistica: un merger fra Tim e WindTre non otterrebbe il via libera dall’Antitrust poiché non garantirebbe concorrenza (si vocifera di accordi sulla condivisione delle reti, ma è un’altra storia); e un matrimonio fra Iliad e WindTre sarebbe sì possibile ma, stando a quanto risulta a Domani, i francesi non avrebbero alcuna intenzione di puntare sulla società in capo a Ck Hutchison poiché l’operazione non sarebbe considerata «strategica» ai fini del rafforzamento di business come quelli del cloud, dei data center e dell’intelligenza artificiale. Insomma al momento la situazione è in totale stallo.

Il fondo Blackrock

Intanto secondo quanto si apprende da ambienti finanziari il fondo americano Blackrock ha raggiunto il 5% di quota in Tim: in dettaglio risulta una partecipazione azionaria del 3,585% a cui se ne aggiunge una potenziale dell'1,1% più altre posizioni per lo 0,414 per cento.

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