Nel rapporto è stata fatta una ricognizione dell’abnorme quantità di regole a cui sono assoggettati gli operatori e messo in evidenza uno squilibrio di mercato da sanare, dazi o non dazi. Le piattaforme tecnologiche restano in gran parte non regolamentate nonostante il loro crescente predominio: significa meno tutele, impatto sulla concorrenza, sulla competitività e sulle aziende europee
Le big tech oltre a farla da padroni in Europa sul digitale offrono una serie di servizi che si equivalgono a quelli degli operatori di telecomunicazioni. Sono di fatto “telco” mascherate ma non hanno gli stessi obblighi normativi delle telco. È la situazione che emerge da un report pubblicato da Connect Europe, l’associazione che rappresenta le principali telco continentali, e realizzato da Arthur D. Little.
Nel report è stata fatta una ricognizione dell’abnorme quantità di regole a cui sono assoggettati gli operatori – 34 gli obblighi in totale – ma soprattutto è stato messo in evidenza uno squilibrio di mercato che va assolutamente sanato, dazi o non dazi. «Le aziende europee non possono più competere con le mani legate dietro la schiena – sottolinea Alessandro Gropelli, direttore generale di Connect Europe – Serve una semplificazione radicale per favorire una più rapida realizzazione delle nuove reti e una migliore qualità dei servizi ai cittadini, per non parlare dei benefici che ne deriverebbero per l’ecosistema continentale dell’innovazione».
Tanto per cominciare, denuncia l’associazione, il 60 per cento del traffico di rete globale fa capo a una manciata di aziende tecnologiche. Meno di 10 fra cui ci sono i soliti noti, ossia Google, Meta, Amazon e i colossi dello streaming a partire da Netflix, e la situazione peggiorerà considerato che, stando alle stime, il traffico dati è destinato a triplicare entro il 2030.
Nonostante la concorrenza diretta in mercati come quelli dei servizi vocali (si pensi alle chiamate via Whatsapp), di messaggistica e internet, le aziende tecnologiche sono soggette a meno della metà degli obblighi in capo gli operatori di telecomunicazioni. Non solo: le piattaforme tecnologiche – si legge nel report – restano in gran parte non regolamentate nonostante il loro crescente predominio sulla distribuzione del traffico e sulla qualità del servizio.
L’effetto boomerang
Una situazione dall’effetto boomerang a tutti i livelli: impatti sui consumatori finali perché a fronte di meno regole corrispondono inevitabilmente meno tutele; impatti sulla concorrenza e sulla competitività complessiva dell’ecosistema della connettività, in particolare in attività quali la gestione e il reindirizzamento del traffico a garanzia della qualità dei servizi; impatti sulle aziende europee, perché dati alla mano, fra il 2014 e il 2023, mentre gli operatori di telecomunicazioni hanno registrato un calo medio annuo dell’1,8 per cento della capitalizzazione di mercato, nel frattempo le piattaforme tecnologiche sono balzate del 36 per cento.
«Il traffico dati negli ultimi anni è stato sostenuto grazie agli investimenti costanti realizzati dalla filiera delle telecomunicazioni per il potenziamento e lo sviluppo delle reti e per garantirne la qualità, l'affidabilità e la sicurezza – evidenzia Asstel, l’associazione italiana delle Tlc che fa capo a Confindustria –. Uno sforzo che non si è tradotto in generazione di valore per gli operatori in un mercato in cui il modello di competizione è gravato da forti asimmetrie normative e regolatorie a livello europeo e nazionale. È urgente intervenire sulle distorsioni di un mercato che penalizza chi investe, innova e crea lavoro per il paese».
E inoltre dal report di Connect Europe, in cui si mettono anche a confronto le normative in vigore negli Stati membri, emerge che in Italia ne sono diverse nella categoria delle “restrittive” a partire dal decreto Bersani (indicato nel report come un “case study”) che già dal 2007 impone tutele stringenti a favore dei consumatori.
Il Digital Network Act
È sul Digital Network Act, il pacchetto di riforma a cui lavora la Commissione Ue che sono puntati i riflettori. Stando ai desiderata dovrebbe essere approvato entro fine anno. Fra le proposte nel documento messo a consultazione c’è il dimezzamento degli gli oneri a carico delle telco attraverso una profonda semplificazione normativa e, soprattutto, la creazione di un “level playing field” ossia di condizioni di parità telco-big tech.
Sul fronte della realizzazione delle reti, in particolare, i colossi del digitale sono chiamati a contribuire attraverso accordi ad hoc con le telco. Ma sulla versione finale del testo peseranno inevitabilmente gli esiti degli accordi sui dazi Ue-Usa.
Donald Trump tanto per iniziare non vuole saperne più di web tax (l’Italia è fra i paesi in cui è in vigore, sarà eliminata?) che peraltro secondo Asstel «non sembra essere stata in grado di superare le difformità fiscali a carico degli attori nazionali del mercato e l’abolizione della soglia di applicazione ha peraltro comportato ulteriori oneri applicativi anche per i fornitori nazionali di servizi digitali». Sarà complicato però “tassare” le big tech passando dalla finestra del Digital Networks Act.
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