Nelle discussioni sul nuovo patto di stabilità, la Ue lavora su uno Stato per volta; la Commissione redige 27 piani, li discute con gli Stati, poi li approva. Quei piani sono monadi che non si parlano, manca una politica economica per la Ue nel suo insieme. L'ha scritto qui Innocenzo Cipolletta.

Attenta ai parametri di deficit e debito, la Ue non fissa i propri obiettivi se non tramite gli Stati, né con che soldi e istituti operare; erige un grattacielo sbilenco di 27 piani. Jean Monnet, un fondatore dell'Europa politica, disse che essa verrà forgiata dalle crisi e sarà la somma delle soluzioni adottate, ma solo la pandemia ha avuto risposte forti. Non c'è confronto fra il piano Next Generation e la reazione alla crisi finanziaria del 2007; quanto alle guerre, un'entità sovranazionale senza politica estera comune può solo tifare dagli spalti, indifesa.

La reazione alla crisi finanziaria ha prodotto gli accordi sul “Six pack” nel 2011 e il “freno al debito” tedesco (2009). Così sfuma l'unione sempre più stretta, gli Usa corrono, la Ue arranca. Fra il 2006, pre-crisi, e il 2019 pre- Covid, il Pil Usa è cresciuto del 49%, da 13800 miliardi di dollari a 20600. In quegli anni la Ue è cresciuta solo del 23%, da 12700 miliardi (92% degli Usa) a 15100 (76% degli Usa).

Le cause del divario sono tante, negli Usa pesano anche la maggior crescita della popolazione e l'enorme spesa militare, con forti ricadute sul Pil; senza imitarli, possiamo aprirci più, come gli Usa, ai rischi del cambiamento.

Pesa soprattutto la frammentazione nella Ue, che non guardiamo mai come una grande entità unitaria; senza un vero bilancio comune la crescita tarda. Nel 2000 la Francia aveva lo stesso Pil pro-capite del 36° Stato Usa, vent'anni dopo era scesa al 48° posto. L'Italia ha perso 25 posizioni, ora “batte” solo il più povero, il Mississippi. Se tutto il convoglio rallenta, c'è un problema Ue, poi ci sono i nostri specifici, che il governo dei patrioti non affronta; temono chi viene a cercar fortuna, ignorando la fuga del nostro lavoro qualificato a vantaggio di chi lo paga il giusto.

Non solo al mitico Cipputi “vengono in mente opinioni che non condivido”. A trent'anni da Maastricht mancano, oltre ad un vero bilancio, le basi stesse dell'Unione monetaria ed economica; non c'è una garanzia europea sui depositi, le fusioni fra banche di più Stati sono impedite dalle gelosie nazionali sul controllo della liquidità. L'unione dei mercati dei capitali resta all'orizzonte, non c'è un grande mercato finanziario europeo con un titolo di debito sovrano ampiamente diffuso, che ne àncori i rendimenti. Soffre pure l'altro grande successo della Ue, il mercato unico; la pandemia ha sospeso il divieto di aiuti di Stato, poi quelle maglie si sono ancora allargate. Cresce il divario fra chi può sostenere le proprie imprese e chi no.

Per rafforzare la comune identità europea va rilanciato lo sviluppo, che solo riassorbirà i debiti, per i quali fra vicini ci si guarda in cagnesco. Deve nascere una sola entità politica, con le stesse norme per 430 milioni di persone nella Ue, o 340 nell'Eurozona, poco più degli Usa.

L'euro è nato stretto in una visione che regola l'economia pubblica della seconda forza economica mondiale con criteri adatti a un'oculata famiglia.

Così la Ue non s'integra e non cresce; non possiamo però dirlo noi, che garruli ci caricammo di debiti precludenti ogni spazio di manovra. La storia va letta nel suo confuso snodarsi quotidiano, ma il superficiale dibattito pubblico ignora le gravi difficoltà della Ue. «Sappiamo cosa dobbiamo fare, non come esser rieletti se lo facciamo», disse Jean-Claude Juncker, ex presidente della Commissione; se non ci liberiamo dei lacci che bloccano la Ue, i rieletti guideranno un macinino a pile, fra bolidi corazzati. Ne usciremo solo rilanciando la competitività; l'ultima speranza è che il rapporto sul tema, affidato a un Mario Draghi dalle idee chiarissime, trovi la via per tornare a correre, restando europei.

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