Il 15 settembre scorso il governo ha pubblicato le “linee guida per la definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”, meglio noto come Next generation Eu o Recovery plan. Dobbiamo proporre alla Commissione europea una lista di progetti da farci finanziare a fondo perduto o con prestiti, oltre 200 miliardi in tutto. Nel documento si spiegano i criteri di selezione dei progetti e anche alcuni criteri di esclusione. Tra questi ultimi si segnalano «infrastrutture che non hanno un livello di preparazione progettuale sufficiente, dati i tempi medi di attuazione e la dimensione del progetto», e «progetti storici che hanno noti problemi di attuazione di difficile soluzione nel medio termine, pur avendo già avuto disponibilità di fondi». Si può immaginare che siano queste le ragioni che hanno costretto Matteo Renzi ad ammettere che il ponte sullo Stretto di Messina – sostenuto da Italia viva ma anche da tutti gli altri gruppi dell’arco parlamentare, nessuno escluso – non potesse rientrare nel Recovery plan. Già il 25 settembre scorso il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano aveva parlato chiaramente in tv: «Non c’è alcun pregiudizio ideologico sul ponte sullo Stretto, ma i tempi sono incompatibili con quelli del Recovery fund e non è finanziabile».

I casi sono due. O quella di Provenzano è una pietosa bugia, giusto per evitare di farci ridere dietro a Bruxelles riproponendo un’idea quantomeno fantasiosa. Oppure, se davvero dobbiamo occuparci della compatibilità dei tempi, nel piano che il governo sta approntando c’è qualcosa da spiegare meglio. In particolare riguardo alle opere ferroviarie. Le regole dell’Ue sono chiare: i finanziamenti saranno erogati entro il 2026 a fronte di investimenti effettivamente fatti. Quindi se dici che vuoi finanziare una nuova ferrovia che costa una cifra tot, entro il 2026 devi far vedere che la ferrovia c’è e che è effettivamente costata tot.

Misteri a rotaie

Sulle opere ferroviarie le tabelle circolate negli ultimi giorni sono un po’ misteriose. Alla scheda M3C1 si parla di nuovi collegamenti ferroviari ad alta velocità per i quali si chiedono 6,93 miliardi, dei quali 3,6 sostitutivi di fondi già stanziati e 3,33 aggiuntivi. I quasi 7 miliardi servono a finanziare tre linee, la Napoli-Bari e la Brescia-Padova (già in costruzione) più la Salerno-Reggio Calabria. Per le prime due sappiamo dalle Fs che il costo previsto è 8,7 miliardi per la Brescia-Padova, 6,2 per la Napoli-Bari. Essendo la Salerno-Reggio di circa 440 chilometri, ma anche supponendo di farla di soli 400 tirando sempre tutto e sbancando tutto lo sbancabile, applicando il costo a chilometro previsto per le due opere in corso ne viene fuori un conto da 20 miliardi. Quindi abbiamo messo in pista tre linee ad alta velocità, per totali 800 chilometri, che costeranno ai nostri figli 35 miliardi di euro di debiti da pagare. Lasciamo per un attimo da parte la questione se sia saggio spendere così i soldi presi a debito e torniamo al Recovery plan. Nella scheda M3C1 c’è scritto che chiediamo 6,93 miliardi con i quali promettiamo di costruire – entro il 2026 – 225 dei circa 800 chilometri. Siccome Rfi, la società di Fs che gestisce la rete e gli investimenti ferroviari, ha già dato per finita la Napoli-Bari per il 2026 e la Brescia-Padova per il 2025, che insieme fanno molto più dei 225 chilometri promessi, i casi sono due: o Rfi sa che le scadenze in Italia non si rispettano mai e si è tenuta prudente, oppure la Salerno-Reggio è stata aggiunta alla lista per fare fumo, cioè per fare finta di puntare alla riduzione del divario economico nord-sud, che è uno degli assi centrali del Recovery plan.

Otto anni di nulla

Viene però il dubbio che a Bruxelles si mettano a ridere, a meno che, visto il momento drammatico, il commissario Paolo Gentiloni non riesca a convincere i partner europei a girarsi dall’altra parte per non vedere come lavorano les italiens. Infatti, se c’è un progetto che non ha un «livello di preparazione progettuale sufficiente», quello è la Salerno-Reggio. Il 14 settembre scorso Domenica Catalfamo, assessore alle Infrastrutture della Calabria, ha raccontato di una riunione a palazzo Chigi, presieduta da Provenzano, del “Comitato di coordinamento del contratto istituzionale di sviluppo (Cis) per il completamento della direttrice ferroviaria Salerno-Reggio Calabria”. Questo Contratto istituzionale di sviluppo è stato firmato nel 2012 e in otto anni non ha prodotto niente. Infatti la stessa Catalfamo il giorno dopo, 15 settembre – proprio mentre il governo emanava la istruzioni che escludevano le opere futuribili dal Recovery plan – è andata negli uffici di Rfi e si è sentita dire che non erano ancora stati trovati i progettisti a cui affidare lo studio di fattibilità per la Salerno-Reggio. Quattro giorni dopo la ministra delle Infrastrutture De Micheli ha annunciato che lo studio di fattibilità sarebbe stato pronto entro due mesi. Adesso che di mesi ne sono passati quattro dagli uffici della ministra fanno sapere che lo studio di fattibilità arriverà a giorni (dopo otto anni). Senza sapere neppure che cosa potrà esserci scritto, il governo italiano va a Bruxelles a chiedere di finanziare una manciata di chilometri di una ferrovia che non si sa ancora se sia fattibile. Queste sono le iniziative che dovrebbero cambiare il volto dell’Italia?

Le velocizzazioni

Stesso ragionamento vale per un’altra sezione della scheda M3C1, quella dedicata alle velocizzazioni. C’è per esempio la ferrovia Palermo-Catania-Messina. Per velocizzare quei circa 300 chilometri serviranno solo 8,9 miliardi (circa 30 milioni a chilometro), mentre per velocizzare la Roma-Pescara, solo 200 chilometri, basteranno 6,5 miliardi per andare (annunci Fs) in due ore, cioè il doppio del tempo che oggi un treno impiega a percorrere la stessa distanza tra Bologna e Milano. È come se, per rimpolpare il piano, avessero svuotato i cassetti e tirato fuori tutta la cartaccia dimenticata. Esemplare la velocizzazione della Orte-Falconara: secondo il capo di Rfi bisognerà dare una rinfrescata a certi progetti datati 2003, comprensibilmente, visto che quell’intervento è stato approvato dal Cipe (cioè dal governo) esattamente 20 anni fa, insieme alla Salerno-Reggio. E noi lo portiamo a Bruxelles come se fosse una novità di quelle ganze per le nuove generazioni.

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