Grande è la confusione intorno all’Anas, l’azienda pubblica delle strade che dovrebbe essere il perno su cui far ruotare gli interventi miliardari del PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) per l’ammodernamento delle infrastrutture viarie e la manutenzione a fondo di quelle esistenti e malmesse, soprattutto ponti e viadotti. Da cinque mesi l’Anas è acefala, nel senso che non ha più una guida e i tentativi esperiti per trovarla finora sono finiti male. Con l’approvazione del bilancio 2020 che fa registrare una perdita record di 168 milioni e 700 mila euro, è scaduto il vertice aziendale: il presidente Claudio Gemme, l’amministratore e direttore, Massimo Simonini e il consiglio di amministrazione. Essi rimangono in carica grazie al regime della prorogatio, sistema molto in voga nelle aziende pubbliche ai tempi della prima Repubblica che consentiva ai partiti-padroni di congelare l’esistente quando non riuscivano a mettersi d’accordo sulla successione.

Anche oggi l’ostacolo più evidente per assicurare un minimo di funzionalità gestionale all’Anas è la mancanza di una qualche intesa per la sostituzione di Simonini e compagni. Ma si tratta della classica punta dell’iceberg, la confusione maggiore sta sotto il livello della visibilità. Negli anni passati sono state effettuate scelte dall’amministratore Gianni Armani poi confermate dal suo successore Simonini che stanno stringendo come un cappio al collo l’azienda delle strade. A cominciare dalla stessa natura giuridica dell’Anas completamente cambiata in seguito alla spensierata annessione nel gruppo Fs. Fino al buco di più di 1 miliardo e mezzo di euro derivante dalla fantasiosa contabilizzazione dei benefici attesi da un allungamento ventennale della concessione statale, dal 2032 al 2052, che non c’è e non potrà esserci in futuro se l’Anas non esce dalle secche in cui l’hanno infilata.

Concessione fantasma

A proposito della concessione l’Avvocatura generale dello stato a cui la stessa Anas si era rivolta sperando di trovare una sponda comprensiva per risolvere la faccenda, ha rilasciato in primavera un responso chiaro e di segno opposto a quello auspicato dai capi dell’azienda delle strade: finché Anas rimane all’interno del gruppo Fs l’allungamento ventennale e automatico della concessione se lo scorda, bisogna che passi attraverso l’esame di una gara. Il discorso cambierebbe completamente se Anas abbandonasse l’abbraccio con le Ferrovie dello stato e mettendo indietro le lancette dell’orologio tornasse quel che era: un’azienda pubblica di proprietà del ministero del Tesoro e controllata da quello dei Trasporti (ora Mims, ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili).

Prendendo la faccenda dalla coda e forse ignorando le regole non scritte, ma ferree, della spartizione degli incarichi nelle aziende pubbliche, all’inizio di agosto Luigi Ferraris, l’amministratore delegato delle Fs, il gruppo che controlla anche Anas, ha cercato di sbloccare l’Anas a modo suo, andando a scegliere un manager molto legato ai Benetton, Ugo De Carolis. L’unico risultato che ha raggiunto è stato quello di mettere d’accordo i partiti, tutti uniti a dire che si trattava di una scelta inopportuna mentre il ministero delle Infrastrutture guidato da Enrico Giovannini e palazzo Chigi assistevano in silenzio, ma con molta irritazione, alla precipitosa ritirata del candidato di una mezza giornata.

Il piano del ministero

Contrariati per la figuraccia, una ventina di giorni dopo al ministero delle Infrastrutture hanno tentato di risolvere in un colpo solo sia la nomina del nuovo vertice sia i nodi della concessione e del buco miliardario in bilancio. Il 24 hanno preparato una bozza di decreto legge sulle infrastrutture in cui all’articolo due si dava una sterzata secca all’Anas che veniva trasformata in società in house dei ministeri dell’Economia e delle Infrastrutture, messa quindi nella condizione di poter usufruire dell’allungamento automatico della concessione statale senza dover ricorrere a una gara. I due ministeri avrebbero inoltre provveduto alla nomina del nuovo presidente, del direttore e del consiglio di amministrazione. L’amministratore delle Ferrovie Ferraris è stato però tenuto all’oscuro della manovra nonostante riguardasse da vicino anche le Fs. Secondo i piani il decreto doveva essere approvato dal Consiglio dei ministri di giovedì 2 settembre, ma mercoledì è successo il patatrac: Ferraris ha scoperto ciò che stava avvenendo alle sue spalle e invece di assecondare la scelta del ministero considerandola come una possibile via d’uscita anche per le Fs, l’ha presa come un colpo al suo prestigio di capo azienda. Si è precipitato allora a palazzo Chigi pretendendo che l’operazione fosse annullata. Lo hanno accontentato pregandolo, però, di trovare lui una soluzione, se ne era capace.

L’amministratore Fs non ha saputo far meglio che girare la patata bollente ai capi dell’Anas in scadenza ripetendo loro ciò che avevano chiesto a lui a palazzo Chigi: trovate una via d’uscita, come se fosse ragionevole pretendere la soluzione di un problema da chi ne è la causa. Fatto sta che sabato e domenica le direzioni finanza, legale e tecnica dell’azienda delle strade sono state costrette a un tour de force per escogitare soluzioni con l’obiettivo di tirar fuori l’Anas dalla palude. Tra le ipotesi prese in considerazione anche una vecchia idea accarezzata mille volte in passato per far cassa e mai attuata: far pagare il pedaggio agli automobilisti sul Raccordo anulare di Roma. Proprio ora, alla vigilia delle elezioni per il sindaco.

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