Non bastassero le nubi nere in arrivo dalla Cina e i conseguenti timori di un ulteriore rallentamento nella crescita globale, la Borsa di Milano non si è ancora scrollata di dosso i postumi dello scossone ricevuto dal governo con l’annuncio di una tassa straordinaria sugli utili bancari. I titoli degli istituti di credito viaggiano tra alti e bassi e faticano, seppure in misura diversa tra loro, a recuperare le quotazioni di inizio mese, prima dell’annuncio della stangata governativa.

Intanto, in attesa di un prevedibile acceso confronto in parlamento, anche all’interno alla maggioranza, per modificare i contenuti del decreto sugli extraprofitti, ieri si è anche appreso che nelle prossime settimane anche la Bce dirà la sua sul provvedimento. E più che probabile che il giudizio dell’istituto di Francoforte sarà negativo. Già in passato misure analoghe avevano attirato le critiche della Banca centrale.

A novembre, per esempio, la tassa supplementare decisa dal governo spagnolo era stata giudicata potenzialmente dannosa per il sistema creditizio e per la stabilità finanziaria. Nel documento pubblicato a novembre la banca presieduta da Christine Lagarde raccomandava un’approfondita analisi delle «potenziali conseguenze negative» dell’imposta, anche perché – si legge – il rallentamento dell’attività economica peserà sui bilanci degli istituti costretti ad aumentare gli accantonamenti su crediti. Il prelievo sugli utili finirebbe quindi per pesare sulle prospettive già incerte del sistema.

Adesso tocca a Roma sottoporre all’esame della Bce un provvedimento che Giorgia Meloni ha voluto intestarsi personalmente. La comunicazione ufficiale del Mef, che illustra i contenuti del decreto, è già partita nei giorni scorsi alla volta di Francoforte per quella che viene burocraticamente definita una «richiesta formale di consultazione». È probabile che la risposta arrivi entro la fine del mese, quando il decreto, già emendato due volte prima della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, verrà presentato in Parlamento per la conversione in legge.

All’interno della stessa maggioranza di governo una richiesta esplicita di correggere alcuni aspetti del provvedimento è già stata formulata da Forza Italia. Le modifiche ipotizzate vanno da uno scudo per gli istituti più piccoli (popolari e credito cooperativo) fino alla deducibilità della nuova imposta. Anche la lobby bancaria si prepara a un confronto per ridurre l’entità del prelievo, con un’aliquota del 20 per cento, che secondo quanto annunciato andrà a colpire il margine di interesse, cioè la differenza tra i proventi dell’attività finanziamento a famiglie e imprese e gli oneri per la remunerazione dei depositi della clientela. La forbice tra questi due valori si è molto allargata nell’ultimo anno, innescando un forte aumento dei profitti, perché le banche hanno immediatamente applicato ai debitori i rialzi dei tassi decisi dalla Bce, mentre gli interessi sui conti correnti sono rimasti prossimi allo zero.

Gli analisti però hanno già fatto notare che non tutti gli istituti verranno penalizzati allo stesso modo dall’imposta straordinaria decisa dal governo. I gruppi più grandi incassano una fetta rilevante dei loro proventi sotto forma di commissioni per i servizi più diversi, dalle gestioni patrimoniali alla vendita dei più diversi prodotti finanziari. Lo stesso non si può dire per istituti di dimensione più piccola che dipendono maggiormente dall’attività creditizia tradizionale, cioè prestiti e depositi, e di conseguenza dovranno sopportare oneri proporzionalmente più pesanti rispetto ai concorrenti più grandi.

Il differente impatto della nuova tassa si è riflesso anche nelle quotazioni di Borsa. Finora, nessuno tra le principali banche quotate in Borsa è riuscito a tornare sui prezzi di lunedì 7 agosto, quando, a Borsa chiusa, è sato annunciato il decreto. Da allora, Intesa ha perso il 5,8 per cento, mentre Unicredit è in ribasso del 4,6 per cento. Il recupero migliore è stato messo a segno dal BancoBpm, in rosso solo dell’1,2 per cento rispetto al 7 agosto. Con un calo del 6 per cento circa, il Monte dei Paschi è il più penalizzato nel gruppo dei cinque maggiori istituti. Come dire che in Borsa la banca controllata dallo Stato è stata fin qui la vittima principale della tassa decisa dal governo. 

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