Il governo Meloni cerca soldi per pagare le promesse; qualche mini bonus e il taglio del cuneo, che dà soldi ai dipendenti a basso reddito oggi, ma intacca le loro pensioni di domani. Per farlo grava sui soliti noti: a fine agosto dai dipendenti pubblici e privati è venuto oltre l’80 per cento dell’Irpef.

In meno di un anno sono morti Silvio Berlusconi e Leonardo Del Vecchio. Diversissimi per storia professionale e personale, detenevano ingenti ricchezze. In entrambe i casi gli eredi pagheranno cifre irrisorie.

Le eredità

Anche sul fisco il governo non ha una visione d’insieme. Ridotto a raschiare il fondo del barile, ora valuta piccoli ritocchi all’imposta di successione. Per il pensiero liberale tale imposta, se ben congegnata, mobilita la ricchezza e riduce la disuguaglianza dei punti di partenza, iniquo premio a chi nasce dalla madre giusta.

Dal 1990 l’Italia l’ha ridotta a un simulacro. Nel 2022 ha incassato poco più di un miliardo, un’inezia in un paese dove la ricchezza privata abbonda. Perciò gli eredi Berlusconi pagheranno l’imposta solo su 38 milioni di immobili (al valore catastale, che non a caso la destra si rifiuta di rivedere).

Saranno invece esenti 423 milioni in azioni di Fininvest (a valore di patrimonio netto), che controlla il 61,5 per cento della quotata Mfe. L’esenzione spetta sulle partecipazioni di controllo che gli eredi si impegnano a detenere per almeno cinque anni. Dopo di che essi potranno venderle senza pagare imposte.

Gli eredi Del Vecchio saranno invece esenti per il 75 per cento della nuda proprietà delle azioni Delfin – che controlla la quotata Essilor-Luxottica – proveniente da precedenti donazioni tassate a un’aliquota ridotta; sul residuo 25% pagheranno solo 130 milioni.

La base dei calcoli resta il patrimonio netto, ben distante dai corsi di mercato: la quota Delfin in EssilorLuxottica vale circa 30 miliardi. Che su tali eredità sarà pagato poco o nulla è certo legale, ma anche iniquo e economicamente inefficiente.

Contro le disuguaglianze

L’esenzione fu data anche per non costringere gli eredi a cedere l’azienda per pagare l’imposta, ma c’è un modo per ridurre inefficienze e iniquità senza forzare gli eredi a vendere l’azienda.

Lo stato potrebbe ricevere a titolo d’imposta una quota del valore in successione, diciamo del 10 per cento, in azioni senza diritto di voto. Nel caso Mfe, il fondo riceverebbe azioni per il 6,15 per cento. Esso sarebbe un investitore passivo e riceverebbe i dividendi, se deliberati.

Alla eventuale cessione, dopo cinque o trent’anni, il fondo uscirebbe dall’investimento al pari degli altri azionisti. Gli eredi non dovrebbero cedere azioni per pagare l’imposta, che resterebbe sospesa fino a quando vorranno cedere l’impresa.

Ci si può sbizzarrire su come usare tale “tesoretto”. Non dovrebbe finire nel calderone delle spese pubbliche, ove una fiammata lo brucerebbe subito, ma ovviare alle disuguaglianze sociali di un’epoca in cui si è ampliato a dismisura il divario fra chi guadagna più e chi meno. Ad esempio per combattere l’abbandono scolastico nella scuola dell’obbligo e migliorare la qualità dell’insegnamento nelle tante nostre Caivano.

Le disuguaglianze sono in certa misura ineliminabili, talora perfino utili alla crescita economica e civile. Oltre certe dimensioni, alle quali siamo forse giunti, esse causano tensioni che, lungamente represse, di botto deflagrano se avvertite come inaccettabili. Frenare le disuguaglianze e far ripartire l’ascensore sociale, a questo serve un’imposta piccola ma ingegnosa sulle successioni.

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