Niente volata finale nella corsa alla presidenza di Confindustria. Edoardo Garrone si è fermato all’ultima curva lasciando campo libero al rivale Emanuele Orsini. I 187 membri del Consiglio generale dell’associazione degli imprenditori oggi a Roma hanno ratificato la sua designazione a presidente con 147 voti a favore (173 i presenti, ci sono state 17 schede nulle e 9 bianche).

Garrone, a capo del gruppo Erg quotato in Borsa, erede di una famiglia di petrolieri ora impegnati nelle energie rinnovabili, ha annunciato la sua decisione con una lettera resa pubblica nella tarda mattinata.

Il ritiro è maturato dopo giorni di indiscrezioni che accreditavano una trattativa per dirottare verso Orsini i consensi raccolti da Antonio Gozzi, il terzo concorrente in gara, escluso due settimane fa dal ballottaggio finale tra polemiche e proteste.

Veleni e colpi bassi

Tutta la campagna elettorale, in verità, si è trascinata per mesi scandita da veleni e colpi bassi, alimentando divisioni difficili da ricomporre una volta chiusa la competizione. Toccherà a Orsini, emiliano di Sassuolo, classe 1973, imprenditore di media stazza nell’edilizia (Sistem Costruzioni) e nell’alimentare (Tino Prosciutti), tentare una complicata mediazione tra le diverse anime di un’organizzazione più che mai divisa al suo interno. Situazione in qualche modo paradossale per una lobby che nell’ultimo decennio ha perso molta della sua influenza.

Il declino è proseguito inesorabile anche durante il mandato del presidente uscente, il lombardo Carlo Bonomi, che è stato nominato quattro anni fa, in pieno lockdown, grazie soprattutto al sostegno della grande industria del Nord, a cominciare dalla milanese Assolombarda.

Proprio questo, adesso, è il blocco di potere che sembra uscire sconfitto dalla nuova tornata elettorale.

La candidatura di Garrone, presidente del giornale confindustriale Il Sole 24Ore, era nata alla fine dell’anno scorso con il marchio di fabbrica di grandi elettori del calibro di Emma Marcegaglia, Marco Tronchetti Provera, Gianfelice Rocca, Diana Bracco.

Nomi di peso che avevano come obiettivo principale quello di sbarrare la strada a Gozzi, il patron del gruppo Duferco a capo di Federacciai, forte dell’appoggio di territori ad alta concentrazione di imprese come Brescia, Bergamo e parte del Veneto. Con loro anche il campano Antonio D’Amato, in grado di pilotare molti voti del sud.

La rimonta

Orsini invece ha costruito la sua rimonta partendo da una base consistente di consensi tra Emilia-Romagna e Toscana che poi si è allargata a Nord verso alcune provincie della Lombardia e del Triveneto. Strada facendo, l’imprenditore emiliano ha raccolto il sostegno di industrie di Stato come Enel e Leonardo e nelle settimane scorse si è speso per lui con un endorsement esplicito anche il consigliere delegato di Intesa, Carlo Messina, il banchiere più importante del Paese.

Quanto basta per accreditare Orsini del ruolo di favorito alla vigilia del ballottaggio, anche grazie a una dozzina di voti tra quelli in libera uscita dopo l’esclusione di Gozzi, che non era riuscito a raggiungere il quorum del 20 per cento richiesto dallo Statuto per essere ammessi al round decisivo.

A poche ore dall’apertura delle urne Garrone si è però chiamato fuori. Una scelta sorprendente, che viene letta dagli insider di Confindustria come lo sgambetto finale a Gozzi. Il timore del presidente di Erg, e di chi lo appoggiava, era che il terzo incomodo, pur sconfitto, riuscisse a ottenere poltrone di rilievo nel nuovo organigramma in cambio dei consensi necessari a Orsini per avere la matematica certezza della vittoria.

Divisioni interne

C’è un passaggio, in particolare, della lettera di Garrone che sembra confermare questa ipotesi. “Non serve all’Associazione che un candidato possa vincere per qualche voto, magari frutto di “impegni o scambi” eccessivi e per me intollerabili e inaccettabili”, si legge nel testo che contiene un appello a una gestione condivisa e collegiale di Confindustria. Non sarà facile però ricucire i rapporti tra i diversi blocchi in cui nei mesi scorsi si è divisa l’ampia ed eterogenea platea degli industriali.

A parte la tradizionale contrapposizione tra le imprese più piccole e i grandi gruppi la campagna elettorale ha fatto emergere anche le richieste di chi pretende una Confindustria più forte e autorevole a Roma, e soprattutto a Bruxelles, nei rapporti con il mondo politico. L’obiettivo dichiarato è quello di far sentire la voce degli industriali nella grande partita della transizione ambientale, nel timore che le riforme green mettano a rischio i profitti.

Buona parte dei consensi di Gozzi, da sempre molto critico nei confronti dell’agenda verde di Bruxelles, erano stati raccolti proprio facendo leva su queste ansie per il futuro prossimo. L’impressione è che Orsini non possa fare a meno di tener conto di queste posizioni nella nomina dei suoi più stretti collaboratori.

Lo scopriremo presto: dopo il voto per la designazione ufficiale, il prossimo presidente dovrà presentare la sua squadra il prossimo 18 aprile. In attesa dell’assemblea di fine maggio che nominerà ufficialmente il nuovo presidente.

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