L'utile operativo adjusted del gruppo Eni nell'anno di esercizio 2022 ammonta alla stratosferica cifra di 20,4 miliardi di euro. Un risultato storico, senza precedenti, quello reso pubblico ieri dalla multinazionale petrolifera, che sottolinea come si sia addirittura raddoppiata la cifra fatta registrare per il 2021 – 9,7 miliardi di euro. Lo scorso anno il flusso di cassa netto da attività operativa di Eni si è assestato sui 17,46 miliardi, con un incremento del 36 per cento rispetto al 2021. Una vera manna per gli azionisti, dal momento che, si legge ancora nel comunicato della multinazionale «l'utile netto di competenza degli azionisti Eni per l'esercizio 2022 è stato pari a 13,8 miliardi di euro, evidenziando un notevole incremento rispetto all'esercizio 2021».

Stando alle parole dell'amministratore delegato Claudio Descalzi, che a fine marzo saprà se il governo lo confermerà per il quarto mandato consecutivo, questo fiume di denaro è stato generato «in un contesto di mercato favorevole... dalla disciplina finanziaria e dal controllo dei costi, dall’efficacia operativa e dall’attenta gestione dei rischi derivanti dalla volatilità dei prezzi e dalla carenza di offerta».

Parole che francamente non ci convincono e che ci sembrano solo una imbarazzante foglia di fico per nascondere la verità. Ovvero che la gran parte di questi profitti andrà in forma di dividendi e riacquisto di azioni proprie a vantaggio degli azionisti, per il 70 per cento privati.

Ricchi dividendi

Non a caso, riporta ancora il comunicato, «nel mese di novembre Eni ha completato l’annunciato programma di acquisto di azioni proprie da due miliardi di euro, corrispondenti a 196 milioni di azioni ritirate dal mercato».

Non ci sarà dunque un reale sforzo per avviare un vero processo di decarbonizzazione, con evidenti conseguenze: puntare ancora sul gas significa condannare le famiglie e le imprese italiane a pagare bollette salate anche nei prossimi anni; e, per di più, insistendo con il solito greenwashing, mentre in realtà si destina gran parte dei propri investimenti all’usuale business fossile, si continuerà ad aggravare la crisi climatica in corso.

Sono sotto gli occhi di tutte e tutti le impressionanti immagini degli impatti dell’ennesimo anno di siccità che sta vivendo il nostro paese. E pensare che siamo solo in inverno, è tutt’altro che tranquillizzante.

Tornando alle difficoltà che stanno vivendo milioni di persone in questi mesi, sono allarmanti i dati disponibili sulla povertà energetica. Nel primo trimestre del 2022, a causa dei forti rincari del gas che hanno fatto la fortuna dell'Eni, la fondazione Utilitatis stimava che il 13 per cento delle famiglie italiane fosse colpito dal fenomeno, ovvero ci fossero ben 3,5 milioni di cittadini in condizione di povertà energetica. Temiamo che il dato possa essere solo aumentato negli ultimi mesi del 2022.

Eppure compagnie estrattive come l’Eni riscrivono la storia dei loro record di bilancio.

Extra profitti

Se applichiamo le regole date dall’Unione europea per calcolare la base imponibile per tassare gli extra profitti delle società energetiche, nel 2022 il gruppo guidato da Descalzi ha realizzato un “eccesso” di utile netto adjusted rispetto alla media dei quattro anni precedenti pari a 12,5 miliardi di euro.

La stragrande maggioranza delle extra entrate di Eni deriva dal settore dell’upstream, ossia dall’esplorazione e dall’estrazione di petrolio e gas. Tutte le controllate del Cane a sei zampe per questo settore, sparse per il mondo, consolidano il loro bilancio nei Paesi Bassi, tramite il veicolo Eni BV International.

Qui Eni paga un’Ires sui profitti ben più bassa che in Italia, trasferendo poi i dividendi alla casa madre nel nostro paese. Per questi motivi la quota di profitti da tassare in Italia, ossia legati alle operazioni che si svolgono su suolo nostrano, derivanti principalmente da petrolchimici e attività retail, è marginale, generando un gettito per lo stato pari a poco più di un miliardo di euro.

Questo in seguito alla legge introdotta dal governo Draghi sugli extra profitti, poi ritoccata dall'attuale esecutivo.

Eni non è l’unica compagnia energetica ad annunciare profitti record nelle ultime settimane.

Prima dell’azienda guidata da Claudio Descalzi è stato il turno di Exxon Mobil con profitti per oltre 52 miliardi di euro, TotalEnergies che ha registrato quasi 34 miliardi di euro, Shell quasi 38 miliardi di euro e BP con più di 26 miliardi di euro.

Qualcuno si chiederà se questo inaspettato flusso di ingente liquidità viene usato dalle oil majors per iniziare finalmente a trasformare il proprio business killer del clima. Beh, non sembra proprio il caso.

Business as usual

Se guardiamo il caso di Eni e dove sono andati gli investimenti nel 2022, quelli “virtuosi” non sono affatto aumentati, il tutto a vantaggio delle tasche degli azionisti, e soprattutto per tre quarti sono rimasti nel business fossile, per espandere la produzione di oil&gas contro ogni raccomandazione internazionale delle Nazioni unite e dell’Agenzia internazionale dell’Energia. Insomma, per i giganti del fossile e i loro investitori, incluso il governo italiano nel caso di Eni, il business as usual rimane la priorità.

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