«Ci hanno tolto anche il mare, costa troppo», si lamenta Roberto Tiddia, operaio della fabbrica che un tempo si chiamava Alcoa. Produceva alluminio a Portovesme, davanti all’isola di San Pietro, ultimo arrugginito baluardo di quello che fino agli anni Settanta era il polo minerario e industriale sardo del Sulcis Iglesiente.

In Sardegna il conflitto tra ragioni del lavoro e ragioni dell’ambiente non ha mai trovato soluzione e adesso con gli obiettivi della decarbonizzazione e della transizione verso produzioni sempre meno impattanti la produzione di alluminio, particolarmente energivora e impiantata in un’isola che non ha neanche una rete di metano, sembra ormai del tutto obsoleta. La desertificazione produttiva nel sud della Sardegna va di pari passo a quella ambientale, con lo spopolamento delle città oltre che delle campagne, facendo largo al fuoco delle estati sempre più calde.

San Ponziano, patrono di Carbonia, dovrebbe metterci la sua mano santa. Un miracolo, che sia ecologico però, e che qualcuno per la verità ha iniziato a pensare possibile anche attraverso un progetto chiamato “Aria” che sta andando avanti senza grande clamore.

Sono nove anni che Tiddia e gli ultimi operai dell’ex Alcoa, circa 500 lavoratori tra dipendenti diretti e indiretti, vivono di sussidi statali. E ancora la produzione non riparte, manca sempre un’autorizzazione d’impatto ambientale, una firma, un documento, una concessione edilizia, un contratto con l’Enel per l’elettricità a prezzi scontati, sovvenzionati dallo stato. A niente sono valse le procedure accelerate dei vari decreti Semplificazioni o Sblocca Italia. Lo stipendio non gira e non ci sono più i soldi neanche per pagare il parcheggio e andare a fare un tuffo nell’acqua smeraldina della costa ovest dell’isola, quest’anno infuocata dagli incendi che hanno devastato l’entroterra del Medio Campidano. C’è un sole giaguaro, feroce tutto intorno, eppure la luce in fondo al tunnel Tiddia e gli altri non la vedono più.

Il 30 agosto ci dovrebbe essere un nuovo incontro tra l'azienda che ha comprato l’ex Alcoa, la Sider Alloys, e istituzioni regionali e nazionali (inclusa Invitalia) per arrivare entro i primi di settembre alla conferenza di servizi, la stessa che è già saltata a fine luglio. È quello il luogo decisionale che dovrebbe dare il via alla ripartenza delle celle elettrolitiche e dare corso ai 135 milioni di euro di investimenti statali (crediti agevolati e finanziamenti a fondo perduto) e privati necessari al processo di “revamping”, la ristrutturazione della fabbrica con parametri più sostenibili per l’ambiente e rispettosi dei nuovi limiti di legge. Ma i corsi di aggiornamento per gli operai da ricollocare nella lavorazione dell’alluminio non sono ancora partiti e, anzi, i pochi che erano entrati nello stabilimento per iniziare le opere di manutenzione straordinaria, circa 150 operai richiamati dalla mobilità, ai primi di agosto sono stati rimessi in cassa integrazione dalla Sider Alloys.

Tensione a settembre

Gli operai dell’ex Alcoa favoleggiano di tornare a Roma a settembre, a sbattere ancora i loro caschetti bianchi sui sanpietrini davanti al ministero dello Sviluppo economico per chiedere un futuro lavorativo nuovo o almeno usato, oppure un altro ponte di sussidi verso il niente, ma la loro proverbiale rabbia collettiva è scemata, scivolando verso il rancore.

Tiddia ha una moglie che lavora part time e un figlio adolescente con necessità di sostegno, da quasi nove anni aspetta e intanto vive di ammortizzatori sociali. Prima la cassa integrazione, poi la mobilità ordinaria, a seguire la mobilità in deroga. Importi che si sono ridotti nel tempo, a partire dalla fine del primo anno. Soldi che arrivano quando arrivano. A metà luglio, dopo sei mesi di niente, sono arrivati gli arretrati di un assegno che ormai supera di poco i cinquecento euro al mese. «Ci hanno promesso che avremmo avuto le integrazioni per tornare ad una cifra piena, sui mille e cinque, avevano inserito una norma per aree di crisi complessa come la nostra nel decreto Sostegni bis ma pare che la Regione Sardegna trattenga le decurtazioni», è la versione che sa.

Nel frattempo la famiglia deve campare con poco più di mille euro al mese. «A volte devo chiedere i soldi a mio fratello o a mia suocera per pagare una bolletta o l’assicurazione della macchina, al macellaio si va a fiducia, segni la spesa e passi a pagare quando ce li hai». Lo dice con una soffiata di naso e una lacrima. «Non posso permettermi le vacanze, non dico tanto, andavamo in campeggio. Solo il parcheggio ora costa sei euro e a Porto Pino non si può più andare con gli gnocchetti al sugo nella borsa frigo come quand’ero bambino, è tutto carissimo, in due mesi chi si è buttato nel turismo spera di guadagnare per tutto l’anno, una chimera. Intanto mio padre a sedici anni mi comprò il motorino e aveva nove figli e io a mio figlio che mi chiede le Nike devo rispondere che non possiamo permettercele. È tutto così. Qualche vicino di casa mi aiuta chiamandomi per qualche lavoretto, a Carbonia sono quasi tutti pensionati ottantenni delle miniere come mio padre e che Dio ce li conservi ancora. Dicono che ci sarà una nuova proroga dei sussidi, anche per tutto il 2022, quanto a me preferirei che mi dessero un lavoro, a forza di ammortizzatori sociali non si vive, è solo sopravvivenza. Invece sono tre anni che ci prendono in giro con la riapertura dello stabilimento con la Sider Alloys. Nessuno ci crede più e anche protestare, con il Covid e i decreti di Salvini, non si può più. C’è da uscire di testa».

Il segretario regionale della Fiom Roberto Forresu ammette che il percorso di “salvataggio dell’ex Alcoa” stabilito nel 2018 dall'allora titolare del Mise Carlo Calenda, insieme al segretario nazionale della Fim Cisl Marco Bentivogli, si è arenato. L’ex Alcoa, ora Sider Alloys, avrebbe dovuto ricominciare a produrre alluminio a costi competitivi a gennaio del 2022 ma la data slitta in avanti e non si sa di quanto. Forresu indica il nodo ancora irrisolto: la fideiussione da 45 milioni di euro che la Sider Alloys rischia di pagare all'Enel, se la produzione non ripartisse, per il contratto di fornitura elettrica. L’accordo deve essere trovato entro i primi di settembre. Nel frattempo il segretario dei metalmeccanici sardi si aggrappa alla speranza di uno stabilimento tutto nuovo, con tecnologie all’avanguardia per la produzione di alluminio, dopo l’incarico per l’ammodernamento degli impianti a una ditta cinese, la Chinalco.

Resta però il problema della decarbonizzazione. L’obiettivo europeo da rispettare per la chiusura di tutte le centrali a carbone è fissato al 2025. Così è anche per la centrale “Grazia Deledda”, situata a pochi metri dall'Alcoa, che ha sempre rifornito per la produzione di alluminio a costi super agevolati. L’energia pesa per un 40 per cento sui costi di produzione dell’alluminio. Gli operai lo sanno bene e infatti è proprio nel futuro molto incerto della “Grazia Deledda” che scorgono i presagi più infausti per la loro decennale vertenza di difesa dell'industria del Sulcis.

La luce della materia oscura

La questione diventa soprattutto energetica e finisce per riguardare l’intera isola, che ancora non ha un metanodotto. La realizzazione della rete gas è in capo al consorzio Enura, joint venture tra Sgi (Società Gas Italiana) e Snam. In ballo c’è anche la realizzazione di un rigassificatore che dovrebbe stoccare e trasformare il gas liquido dalle navi gasiere e immetterlo nella rete. Ma a Portoscuso, vicino al polo industriale di Portovesme, il sindaco Giorgio Alimonda si oppone strenuamente. Non ha tutti i torti: la piattaforma galleggiante piena del gas esplosivo disterebbe appena qualche centinaia di metri dall’abitato. L’altra opzione, più controllabile perché a terra sono possibili barriere di contenimento, sarebbe Cagliari, nel polo petrolchimico di Sarroch.

Tutti lavori ancora da venire, quando il metano dovrà essere soppiantato da energie meno climalteranti entro il 2050. Tanto che c’è chi pensa che sarebbe meglio passare direttamente allo step successivo. Uno studio appena pubblicato, commissionato dal Wwf a esperti dell’università di Padova e del Politecnico di Milano, propone di trasformare l’arretratezza della Sardegna in un punto di forza, implementando il primo hub a energie pulite, non solo eolico e fotovoltaico, tramite i nuovi impianti a pompaggio Power to Hydrogen, eliminando i progetti ponte a metano, le mini dorsali e i rigassificatori. Inoltre in una miniera del Sulcis, a Seruci, nel pozzo 1 si sta già realizzando la prima torre criogenica al mondo che sarà profonda 350 metri, una piccola Torre Eiffel sotterranea che attraverso il progetto “Aria” (con l’università di Princeton tramite il fisico nucleare Cristiano Galbiati e l’università di Cagliari) dovrà purificare il gas Argon40 per gli studi sulla materia oscura nel laboratorio del Gran Sasso e in prospettiva produrre in massa isotopi stabili, non radioattivi, per applicazioni mediche. Un mercato che cresce del 10 per cento l’anno e serve per la diagnostica medica e per realizzare nuovi farmaci per la cura dei tumori. Forse la luce che Tiddia e gli altri operai dell’ex Alcoa non riescono a vedere proviene proprio da quei cunicoli dove i loro padri si sono spaccati la schiena. Sarebbe una storia di rinascita verde e tecnologica, ma per davvero. Tutto il resto sono anni di rinvii e illusioni.

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