Fabio Panetta, da un mese esatto al comando della Banca d’Italia, saluta il calo dell’inflazione come «una buona notizia», che apre nuove opportunità di crescita per l’area dell’euro e quindi anche per l’Italia. Bastano queste parole, pronunciate ieri da Panetta al convegno organizzato da Iccrea (banche di credito cooperativo) nella prima uscita ufficiale da governatore, per capire che il clima sta cambiando, che dopo due anni di crisi e tormenti, la crescita dei prezzi sembra aver invertito con decisione la rotta. E allora «bisogna evitare inutili danni per l’attività economica, visto che, sostiene Panetta, la trasmissione degli impulsi monetari alle condizioni di finanziamento si sta rivelando più forte del previsto». In altre parole, l’aumento del costo del denaro ha già avuto effetti consistenti per raffreddare l’inflazione e quindi non è il caso di spingere troppo sul pedale dei tassi perché c’è il rischio concreto di danneggiare l’economia.

Prezzi in frenata

Il messaggio è chiaro. Così come i destinatari. E cioè i falchi che nell’esecutivo della Bce vedono rischi di nuove fiammate dei prezzi e premono per prolungare ancora la stretta monetaria. Il governatore non si nasconde che il motore produttivo dell’Italia si trova in una fase di “ristagno”, come confermano gli ultimi dati del Pil, che tra marzo e settembre ha smesso di crescere. Il rilancio passa da uno stimolo alla produttività, che nel nostro paese resta inferiore a quella dei maggiori partner europei, ha argomentato Panetta, in quello che suona come un chiaro segnale diretto al governo. Intanto però, oltre al nuovo aumento del tasso di occupazione (a ottobre al record del 61,8 per cento) Palazzo Chigi accoglie con prevedibile soddisfazione anche la notizia di un ulteriore calo dell’inflazione che nel mese di novembre, secondo le stime preliminari dell’Istat, è scesa allo 0,8 per cento su base annua dall’1,7 per cento di ottobre. Siamo quindi ormai molto lontani dai numeri di un anno fa quando i prezzi crescevano a doppia cifra, intorno al 10 per cento. Il crollo è dovuto in primo luogo alla picchiata delle tariffe dell’energia rispetto a novembre del 2022 (meno 31,7 per cento). Se si escludono dal calcolo i beni energetici e gli alimentari freschi, la cosiddetta inflazione di fondo fa comunque segnare un arretramento su base annua del 3,6 per cento, contro il 4,2 per cento registrato a ottobre. Il costo della vita rallenta anche in Europa. Nell’area dell’euro, ha comunicato ieri Eurostat, siamo al 2,4 per cento, mentre il mese precedente l’incremento dei prezzi, misurato sempre nell’arco dei dodici mesi, era stato del 2,9 per cento. Anche qui, al netto di energia e alimentari non lavorati, l’inflazione resta comunque più sostenuta, 4,3 per cento, ma comunque in calo rispetto al 4,9 per cento di ottobre.

Ristagno italiano

Va segnalato che l’Italia è il Paese che nel mese appena trascorso ha fatto segnare l’incremento dei prezzi più basso nell’area dell’euro, alla pari del Belgio. Un dato a cui di certo contribuisce anche un maggiore raffreddamento dell’economia, che appiattisce più che altrove la domanda. I tassi d’interesse elevati pesano sulle aziende, costrette a frenare gli investimenti e anche i consumi privati rallentano.

Uno scenario preoccupante, che ha come principale conseguenza l’aumento delle pressioni sulle autorità monetarie perché allentino la stretta monetaria. Da Francoforte, la presidente della Bce Christine Lagarde ripete da settimane che i tassi resteranno elevati «per il tempo che sarà necessario», una frase che si presta alle più diverse interpretazioni.

Mercati al rialzo

Ultimamente però sembra prevalere la scuola di pensiero di chi ritiene che l’attesa di un primo calo del costo del denaro in Europa non potrà prolungarsi oltre la metà del prossimo anno. E le prospettive potrebbero essere ancora migliori negli Stati Uniti dove molti analisti ritengono che la Fed potrebbe dare una prima sforbiciata ai tassi già in aprile. Questa è di sicuro l’evoluzione su cui scommettono gli investitori internazionali, che nell’ultimo mese hanno spinto al rialzo le Borse (Milano è addirittura ai massimi degli ultimi 15 anni) con fiumi di denaro che si riversano anche sui titoli obbligazionari, nella convinzione che i tassi non potranno salire ancora. Si spiega anche così la forte riduzione dei Btp, che ancora a metà ottobre rendevano intorno al cinque per cento nella scadenza a dieci anni, mentre ora viaggiano sul 4,2 per cento.

In questo coro di aspettative positive le uniche note non proprio allineate sono quelle dei grandi organismi internazionali come il Fondo monetario internazionale e l’Ocse. Quest’ultimo mercoledì ha pubblicato il suo periodico rapporto sull’economia mondiale in cui ammonisce che non sono esclusi nel breve termine nuovi segnali al rialzo dell’inflazione. Di conseguenza, le banche centrali potrebbero essere costrette a mantenere tassi elevati più a lungo del previsto. Come dire che i mercati perderebbero la loro scommessa e l’economia globale sarebbe di nuovo nei guai. Con tutte le conseguenze del caso anche per l’Italia.

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