Sulle autostrade italiane piovono dossier, piani, progetti di futuribili affari miliardari. Il piatto più ricco, com’è ovvio, è quello di Autostrade per l’Italia, in sigla Aspi, tornata sotto controllo pubblico nel 2022. Usciti di scena i Benetton, liquidati con 8 miliardi di euro quattro anni dopo la catastrofe del Ponte Morandi, la quota di maggioranza del gruppo è passata a Cassa depositi e prestiti (Cdp), affiancata con il 24,5 per cento ciascuno da due fondi, l’americano Blackstone e l’australiano Macquarie.

Da qualche mese, però, le cronache finanziarie raccontano di un possibile ritorno di fiamma di imprenditori privati, pronti a prendere il posto in tutto o in parte anche del socio di Stato.

Pretendenti

In prima fila ci sarebbe il gruppo che fa capo al piemontese Beniamino Gavio, erede di una famiglia che ha costruito la sua fortuna grazie ad asfalto e cemento. Mesi fa, però, un articolo dell’agenzia di stampa Bloomberg ha tirato in ballo, senza ricevere smentite, anche Matterino Dogliani, meno conosciuto dei Gavio, ma pure lui da tempo attivo nella gestione di alcune tratte autostradali.

Da Palazzo Chigi non sono mai arrivati segnali chiari di apertura a una trattativa. Lo stesso vale per Cdp.

La giostra delle voci però non si ferma. Segnale chiaro che un dossier esiste ed è oggetto di valutazione da parte del governo. Il regista di questa offensiva è Vittorio Grilli, un banchiere ben conosciuto nei palazzi della politica che ha frequentato assiduamente per almeno un quarto di secolo, prima come alto burocrate, nel ruolo di ragioniere generale dello Stato, poi direttore generale del Tesoro e infine anche al vertice del Mef, ai tempi del governo di Mario Monti, fino ad aprile del 2013.

Appena uscito dai ranghi governativi, l’ex ministro dell’Economia è stato ingaggiato dalla grande banca americana JP Morgan di cui ora è uno dei top manager in Europa, nonché presidente anche per le attività italiane. In fatto di Autostrade, Grilli vanta almeno un precedente importante, visto che proprio l’istituto Usa fece da consulente ai Benetton nella lunga trattativa che portò la famiglia veneta a vendere Aspi alla cordata di Cdp con Blackstone e Macquarie.

Un amico a Palazzo Chigi

Adesso si lavora per un bis. Questa volta con i privati che puntano a tornare in sella a una società che garantisce profitti copiosi. Grilli, come detto, sa bene come muoversi nei corridoi ministeriali e anche dopo l’avvento della destra di governo è riuscito in fretta a trovare un approdo sicuro alle scrivanie che contano. Amici ed estimatori non mancano di certo, ma il banchiere di JP Morgan può contare anche su un peso massimo come Gaetano Caputi, che Giorgia Meloni ha voluto a Palazzo Chigi come suo capo di gabinetto.

Caputi è un alto burocrate di lungo corso e ha avuto modo di conoscere bene Grilli. Il rapporto tra i due data almeno dai primi anni Duemila, quando Caputi entrò al Mef come vice capo di gabinetto, mentre il futuro ministro era già da tempo alla Ragioneria dello Stato. Entrambi hanno fatto molta strada. Caputi è uno degli allievi migliori di Vincenzo Fortunato, il gran commis che affiancò ben tre ministri dell’Economia, Giulio Tremonti, Mario Monti e lo stesso Grilli.

Si può bene dire, quindi, che adesso Caputi rappresenta la continuità con un passato di cui fa parte anche Grilli, amico, tra gli altri, anche di Mario Draghi. Prima ancora che tornasse d’attualità il dossier Autostrade, la coppia di potere ha avuto modo di incrociarsi anche su un altro affare estremamente delicato dal punto di vista politica. Un affare miliardario come la vendita della rete di Tim, su cui si sono esercitati senza venirne a capo almeno gli ultimi cinque governi. L’operazione è andata in porto nell’autunno scorso con il via libera decisivo di Roma. Alla fine, l’ha spuntata il fondo americano Kkr, che prenderà il controllo della rete, affiancato, però, dal Tesoro con una quota del 20 per cento.

Al fianco del fondo Usa

Ebbene, proprio Grilli ha assistito il compratore Usa come consulente nella interminabile trattativa che ha preceduto la firma di un contratto che vale una ventina di miliardi.

Dall’altra parte del tavolo, con il compito di pilotare il ritorno dell’azionista pubblico nel più importante asset nazionale delle telecomunicazioni, c’era un pacchetto di mischia assortito in cui spiccava il ruolo di Caputi. È toccato a lui, dare un contributo decisivo al negoziato curando i rapporti con il ministero dell’Economia di Giancarlo Giorgetti.

Adesso la posta in palio porta l’insegna di Autostrade e l’impressione diffusa negli ambienti finanziari è che la partita sia solo agli inizi. Grilli chiama e alla fine, a dire l’ultima parola, sarà Palazzo Chigi, dove vigila Caputi. Ancora lui.

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