Lo strumento delle sanzioni economiche mirate come risposta a decisioni di carattere militare è sempre ambivalente. Antonio Fallico, presidente di Intesa Russia, in un recente seminario a Mosca, spiegava come la Russia è abituata alle sanzioni da 500 anni.

Ieri il ministro degli Esteri russo ha commentato le imminenti sanzioni occidentali in riposta al riconoscimento delle cosiddette repubbliche indipendenti del Donbass con parole simili: «Il paese è abituato alle sanzioni e sarebbero state imposte in ogni caso».

Dimenticanze britanniche

Quelle britanniche annunciate ieri da Boris Johnson si sono limitate a colpire tre oligarchi già inseriti nella black list statunitense, e una lista di cinque istituti di credito, che però non comprendono le due principali banche russe controllate direttamente dal governo del Cremlino, cioè Sberbank e Vtb. Il risultato paradossale è che in Borsa i titoli dei due istituti, che lunedì erano crollati nonostante gli utili miliardari, dopo l’annuncio di Londra hanno virato al rialzo.

Vtb era già stata sanzionata dall’Unione europea come prestatore per le operazioni di annessione della Crimea, venendo esclusa dal mercato dei capitali Ue: nel 2018 e nel 2020 i giudici europei hanno bocciato i ricorsi dell’istituto contro le sanzioni.

Nel 2018 poi la sua filiale ucraina era stata bloccata dalle autorità di Kiev, innescando un altro conflitto legale. In Italia però il rappresentante dell’istituto di credito, Mikhail Volkov, è attivissimo e solo pochi giorni fa ha partecipato a incontri con i presidenti di regione Lombardia e Liguria.

L’Unione europea ieri ha votato all’unanimità sanzioni contro tutti i membri della Duma, il parlamento russo, escluso però Vladimir Putin, e contro «27 tra entità e individui che giocano un ruolo nel minacciare l’integrità territoriale e la sovranità dell’Ucraina». L’Ue ha anche sostenuto la decisione tedesca di sospendere l’iter autorizzativo del Nord Stream 2.

Il peso delle misure si capirà dai dettagli legali. Le imprese italiane finora non hanno mai subìto particolari ripercussioni dalle sanzioni. Saipem, la società di grandi infrastrutture petrolifere partecipata da Cdp ed Eni, i cui bilanci traballano e che proprio oggi è attesa alla presentazione dei conti dopo una serie di allarmi sui profitti che ha portato gli azionisti a commissariare l’amministratore delegato Francesco Caio, è tra le aziende italiane che ha partecipato ai cantieri del gasdotto Nord Stream 2, e in Russia ha progetti miliardari.

I mega progetti di Saipem

In particolare Saipem si è aggiudicata due contratti all’interno del progetto Arctic Lng2 Llc che ha l’obiettivo di sviluppare nel nord della Siberia una capacità di produzione di 19,8 milioni di tonnellate di gas naturale liquefatto l’anno.

Saipem si occupa sia della progettazione sia della realizzazione di tre impianti di gas naturale liquefatto, dal valore totale di 3,3 miliardi di euro.

I contratti rientrano nell’accordo di partnership che Saipem ha firmato nel 2016 con Novatek, il più grande fornitore di gas liquefatto della Federazione russa. Saipem sta lavorando per conto di Gazpromneft, controllata di Gazprom e uno dei principali operatori russi nel campo della raffinazione, alla realizzazione di un nuovo impianto all’interno della raffineria di Mosca.

Le sanzioni finora si sono limitate a vietare alcune tecnologie e alcuni servizi del comparto energetico, ma a inizio febbraio la presidente von der Leyen ha messo in dubbio esplicitamente «l’affidabilità di Gazprom»

I record di MaireTecnimont

La società che da Gazprom ha ottenuto la maggiore commessa di sempre è però MaireTecnimont: nel 2017, accompagnata dalle celebrazioni del governo italiano, ha portato a casa un contratto da 3,4 miliardi di euro per partecipare alla costruzione del mega impianto per il trattamento del gas di Amur, «un progetto così ambizioso nell’area del trattamento del gas», si legge sul sito della società del Cremlino, da non avere «paralleli nella storia del settore del gas russo».

Il progetto, che ha cominciato la produzione a giugno di quest’anno alla presenza di Vladimir Putin, vale solo di project financing 11,4 miliardi di euro. I fondi sono forniti da ben 22 banche, compresi gli istituti di stato Sberbank e Vtb.

Tecnimont da parte sua ha ricevuto finanziamenti da un pool di istituti di credito nostrani, tra cui Intesa San Paolo, Unicredit, Ubi Banca e Cassa depositi e prestiti.

Tutte queste operazioni devono essere autorizzate, a seguito delle restrizioni imposte nell’export verso la Russia dal 2014. Ma negli anni passati, secondo quanto risulta da documenti consultati da Domani, le procedure dal punto di vista formale hanno lasciato a desiderare.

Almeno fino al 31 dicembre 2019, il Mise, anche sulla base di «un rapporto fiduciario consolidato nel tempo fra la predetta azienda e il ministero», ha autorizzato «in maniera implicita, nel caso in specie, la Tecnimont all’esecuzione di tutte le operazioni relative all’esportazione dei beni di cui al progetto Amursky», tanto che la stessa Intesa non aveva fatto richiesta delle autorizzazioni necessarie. Quest’estate, intanto, per MaireTecnimont è arrivato un nuovo contratto da 1,1 miliardi di euro dal colosso petrolifero Rosneft, sanzionato dall’Ue nel 2014. I contratti di finanziamento devono ancora essere ultimati, guerra in Ucraina e sanzioni permettendo.

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