Domani vanno al voto 975 comuni, di cui 142 con più di 15mila abitanti (tra questi, 22 capoluoghi di provincia, quattro capoluoghi di regione). I risultati saranno difficili da interpretare perché in molte realtà, soprattutto nei centri minori, liste e coalizioni sono prodotti tipici locali. Qualche indizio sullo stato dei partiti e delle coalizioni si può però già trarre da una analisi delle candidature nei 142 comuni maggiori, dove si possono presentare più liste a sostegno di una stessa candidatura a sindaco.

Con Rinaldo Vignati (Istituto Cattaneo), abbiamo controllato in quanti di questi comuni sono presenti liste espressione dei quattro principali partiti (Pd, M5s, FdI, Lega), e abbiamo classificato l’offerta a seconda che tali liste siano presenti o meno, siano tra loro collegate ovvero sostengano candidati a sindaco concorrenti.

Si misura così sia il radicamento di ciascuno dei quattro partiti sia la coesione delle due rispettive aree politiche. Ci sono anche altri attori (liste di sinistra, Azione, Iv, FI), ma tenere conto della loro collocazione renderebbe la verifica inutilmente complicata.

Guardando all’area progressista, in ben 41 comuni su 75 (il 55 per cento) al centro-nord e in 30 su 67 (il 45 per cento) al sud non sono state presentate liste del M5s. Il Pd è più radicato e sembra tornare a credere che mettere “il nome del partito” sulla scheda elettorale per le comunali attragga più voti di quanti ne respinga.

Le liste Dem sono assenti solo nell’otto per cento dei casi al nord e del 16 per cento al sud. I due principali partiti dell’area progressista (Pd e M5s) sostengono esplicitamente candidature unitarie a sindaco in venti comuni su 75 al nord (il 27 per cento) e in 25 su 67 (il 37 per cento) al sud. Appaiono invece contrapposti, sostenendo candidati a sindaco alternativi, in 24 comuni su 142 (17 per cento).

Intanto a destra

I due partiti del centrodestra sono “presenti e compatti” al nord. Le loro liste mancano solo nel 4-5 per cento dei comuni, e in 63 comuni su 75 (84 per cento) sono alleate. Tutta un’altra storia al sud. La lista FdI manca nel 34 per cento dei casi, quella della Lega addirittura nel 71 per cento. Anche per questo, i loro simboli appaiono a sostegno dello stesso candidato solo in 17 comuni su 67 (25 per cento). Va detto però che sono solo 10 su 142 (7 per cento) in tutta Italia i casi in cui sostengono in maniera esplicita candidati a sindaco concorrenti.

Nel complesso, in circa il 60 per cento dei comuni in questione il “nuovo bipolarismo” sembra reggere, o perché i due partiti maggiori delle due aree sono esplicitamente alleati o perché comunque non sono in contrasto (in quanto uno dei due ha deciso di desistere o ha dovuto farlo, in assenza di forze locali sufficienti). In un comune su quattro l’una o l’altra coppia ha divorziato. Fino al caso limite di Carrara dove ciascuno dei quattro punta su un cavallo diverso.

La realtà è tanto varia che nella sola Emilia-Romagna, ad esempio, nei quattro comuni con più di 15.000 abitanti al voto, vanno in scena quattro tipi di competizione diversi. A Piacenza, il tradizionale centrosinistra unito dietro a Katia Tarasconi se la gioca contro un candidato sostenuto da tutto il centrodestra (con il M5s solitario). A Rimini, dove tutti sono sfidati dall’outsider Claudio Cecchetto, il M5s è nel campo largo. A Parma e Budrio non c’è lista pentastellata. Nel primo caso Pd e post-grillini di Pizzarotti stanno insieme e si confrontano con candidati distinti di FdI e Lega. Nel secondo il centrodestra è diviso e senza simboli di partito.

Parma e Budrio erano stati tra i comuni in cui il Movimento aveva sfondato ai tempi del Vaffa. Ma a Parma gli eletti si sono rivelati troppo capaci e autonomi per gli standard di allora (e sono stati espulsi), a Budrio troppo ubbidienti e inadeguati (e sono scomparsi). Sarà interessante vedere chi vince e chi perde in questa o quella città. Ma ancora più interessante sarà capire quale strategia è risultata più vantaggiosa. E che succede al sud, l’area in cui l’elettorato è più mobile, finendo così per determinare l’equilibrio politico nazionale.

Per il “campo largo progressista” sarà interessante vedere quanto produce la somma (stando ai risultati delle europee 2019, ultra-maggioritaria) di Pd + M5s. Per il centrodestra, se alle piazze piene di Giorgia Meloni e alle liste assenti della Lega seguirà la certificazione che il “partito nazionale” di Matteo Salvini non c’è più.

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