Questa settimana il parlamento europeo ha votato al legge sul ripristino della natura per combattere il cambiamento climatico, la perdita della biodiversità e ridurre i rischi per la sicurezza alimentare. La norma ha spaccato a metà l’emiciclo europeo, ma anche nelle diverse società europee stanno crescendo i nemici del green deal.

L’indagine realizzata da Ipsos global per il giorno della terra, mette in luce la consistenza e i temi su cui si sta consolidando, nei vari paesi europei e extra Ue, un fronte indifferente, refrattario, talvolta avverso, alle strategie green.

Un costo troppo alto

Un primo ambito oppositivo mette all’indice la strategia di transizione, ritenendo i mutamenti necessari come troppo onerosi per il proprio paese. In prima fila su questo fronte troviamo le opinioni pubbliche di Indonesia (73 per cento) e India (67). Al terzo posto, però, troviamo il 45 per cento degli svedesi e il 44 per cento degli olandesi. Anche negli altri paesi europei il fronte di quanti avvertono come onerosi i costi della transizione green si fanno sentire e coinvolge il 33 per cento dei cittadini in Francia, il 31 in Germania e Polonia, il 30 in Italia. Con toni meno oppositivi, ma pur sempre ostativi, incontriamo la quota di cittadini che, viste le difficili condizioni economiche, sollecitano un rinvio delle misure per la riduzione del cambiamento climatico. Condividono questa posizione il 40 per cento dei residenti in Malesia e il 39 per cento dei thailandesi. In Europa sono schierati per la posticipazione il 37 per cento dei polacchi, il 35 degli inglesi, il 32 dei tedeschi, il 30 degli olandesi, il 28 dei francesi e il 27 per cento di italiani e spagnoli.

Oltre al fronte oppositivo e procrastinante, nelle viscere delle varie società crescono anche gli scettici. Il 62 per cento delle persone in India ritiene che l'impatto negativo del cambiamento climatico sia troppo lontano nel futuro per preoccuparsene. Lo stesso giudizio è espresso dal 38 per cento in Thailandia e dal 34 per cento in Messico. In Europa le truppe degli scettici sono schierate in Svezia (24 per cento), Olanda (22), Svizzera e Germania (20), Spagna e Gran Bretagna (19), Italia (16) e Francia (15 per cento). Insieme alle posizioni scettiche lievitano anche i gruppi di cittadini che ritengano che non abbia senso modificare i propri comportamenti individuali per far frante alla crisi del clima.

A guidare le fila internazionali sono India (62 per cento), Malesia (32), Thailandia e Singapore (28). Nel nostro continente, il maggior numero di refrattari li incontriamo in Olanda e Inghilterra (23 per cento), seguite da Polonia e Francia (22), nonché Spagna e Svezia (21). In Italia il numero di refrattari si ferma al 16 per cento.

Le fila dei dubbiosi verso la strategia green sono alimentate anche dai disillusi, da quanti ritengono che il cambiamento climatico sfugga al nostro controllo e per tale motivo, per loro, è ormai troppo tardi per fare qualcosa. I disincantati li incontriamo in Francia (26 per cento) e in Italia (23). Seguono la Svezia (22), l’Olanda e la Germania (21), nonché la Gran Bretagna (20 per cento). Una quota minoritaria dell’opinione pubblica dei vari paesi occidentali, infine, è avversa all’idea che i paesi più sviluppati debbano fare qualcosa in più sul fronte green. Ne sono convinti il 13 per cento degli americani e olandesi, il 15 degli svedesi, il 12 dei tedeschi, il 9 per cento dei francesi e il 7 degli italiani.

Complessivamente, nei diversi paesi europei, si sta delineando un fronte anti-green che oscilla intorno al 25-30 per cento dell’opinione pubblica (in Italia, per ora appare, al di sotto di questa soglia). La vittoria di misura sulla legge per il ripristino della natura è un ulteriore segnale che nelle viscere delle nostre società si stanno materializzando gruppi sociali e opinionali refrattari alle scelte green.

Il rischio del classismo

La strategia per combattere gli effetti dei cambiamenti climatici non è più allo stadio dei principi e delle belle idee. Nel momento in cui si devono fare delle scelte si determinano segmenti avvantaggiati e vincenti e segmenti perdenti. E questa diventa la fase più rischiosa, in cui la strategia green rischia di divenire una scelta della parte ricca e benestante della popolazione, contro i segmenti più poveri in difficoltà di fronte ai costi del processo.

Il green deal, per essere vincente e ridurre il rischio di movimenti oppositivi, ha la necessità di divenire una strategia includente per i diversi segmenti della società. Deve diventare un’occasione per tutti, evitando di generare un nuovo fronte di disuguaglianza sociale e di iniquità per la qualità esistenziale.

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