Da settimane i talk show italiani sono alimentati da sondaggi secondo i quali una larga maggioranza dell’opinione pubblica nazionale sarebbe contraria all’invio di armi all’Ucraina. Una manna per talk show costruiti in base all’aspettativa che quanto più profonde sono le divisioni all’interno degli elettorati di ciascun partito e tra gli elettori nel complesso, tanto più in difficoltà si possono mettere gli ospiti politici, tanto più plausibile diventa la costruzione di uno spettacolo in cui tesi opposte (fa niente se surreali, meglio) vengono messe a confronto, tanto maggiori saranno gli ascolti... tanto maggiori e meglio pagate le inserzioni pubblicitarie, tanto maggiori la riconoscibilità e la forza contrattuale del conduttore.

Quindi, nessuno si chiede cosa vogliano dire questi dati e se sia vera quella che viene assunta come indiscutibile base per il dibattito: la maggioranza degli italiani sarebbe sulla posizione di Sardine-Santoro-Orsini-Di Cesare-Conte-Salvini. È proprio così?

Pro e contro

Secondo la rilevazione Emg (per Agorà Rai) dei primi di maggio i contrari “all’invio di armi pesanti” sarebbero il 58 per cento contro il 28 per cento dei favorevoli. Swg e Ipsos danno nello stesso periodo cifre diverse da queste e tra loro simili. I contrari all’invio di armi sarebbero il 46 per cento a fronte di un 41-43 per cento di favorevoli.

L’enormità dei numeri prodotti da Emg si spiega, se non con altre scelte inaccurate, con l’uso suggestivo della distinzione tra armi pesanti e leggere. Un carro armato russo pesa circa 50 tonnellate, un drone suicida Switchblade 600 che può disintegrarlo partendo da 40 chilometri di distanza pesa 23 chili.

Il secondo, al contrario del primo, essendo trasportabile da singoli individui, è tecnicamente un’arma leggera. I militari esperti considerano la distinzione oziosa.

I sondaggisti di Emg fanno finta di poter assumere che i loro intervistati siano capaci di concettualizzarla e rispondere di conseguenza. In Germania, dove c’è stato un dibattito pubblico specificamente riferito all’invio di carri armati può essere giustificato; in Italia, aggiungere la parola “pesante” ha il solo effetto di comunicare agli intervistati che la risposta socialmente più appropriata è dichiararsi contrari.

I risultati di Ipsos e Swg, d’altro canto, sono apparentemente in contrasto con quelli forniti nello stesso periodo (inizio maggio) da Eurobarometro che commissiona rilevazioni con domande identiche in tutti i paesi dell’Unione europea. In questo caso la domanda riguarda “l’acquisto e la fornitura di attrezzature militari” per l’Ucraina da parte dell’Ue.

Il termine “attrezzature militari” è più ampio e più neutro (non trasmette agli intervistati l’idea che sia socialmente sconveniente dichiararsi favorevoli) e il soggetto chiamato in causa è diverso, ma il significato è sostanzialmente identico, posto che l’Ue non ha un esercito indipendente dagli stati nazionali.

Come si vede dal grafico, in questo caso i favorevoli all’invio di armi sono in netta maggioranza (59 per cento contro 34 per cento contrari). Come si spiega? Un importante indizio è fornito dalle rilevazioni Swg. L’istituto triestino ha infatti chiesto ai suoi intervistati di motivare la contrarietà.

Paura delle ritorsioni

Il 16 per cento del campione si dice contrario perché è preoccupato che l’invio di armi provochi ritorsioni contro l’Italia da parte russa. Così i conti tornano. Non bisogna farsi impressionare dalla coincidenza numerica perfetta, che però qualcosa indica: se sommiamo questo 16 per cento al 43 per cento di favorevoli all’invio di armi “italiane” rilevati da Swg, arriviamo al 59 per cento di favorevoli all’invio di armi Ue della rilevazione eurobarometro.

In sostanza, nei talk show televisivi l’opinione di chi pensa “le armi la mandi pure la Ue, che noi non vorremmo avere problemi con i Russi” viene accreditata in blocco al campo dei “pacifisti”.

Anche se non sappiamo in quali proporzioni, il 30-33 per cento di “effettivamente contrari” agli aiuti militari all’Ucraina si divide poi al suo interno tra: putiniani in senso stretto (il 6 per cento dei rispondenti dell’indagine Ipsos di inizio maggio dichiarano esplicitamente di essere “dalla parte della Russia”), antiamericani che considerano quella in Ucraina una guerra per procura, pacifisti irenici sinceramente convinti che la pace si raggiunge prima e meglio lasciando che l’aggredito si difenda come può.

Le ultime due componenti, quelle effettivamente accreditabili alla narrazione Ssodcs, mettendo insieme elettorati di sinistra, destra e né-né, stanno intorno al 25 per cento. È tanto o è molto, rispetto ad altri paesi europei?

Il caso tedesco

Secondo Lorenzo Pregliasco (YouTrend), che commenta i dati Emg su invito di Alessandra Sardoni, «al contrario degli italiani, i tedeschi hanno una posizione molto netta a favore dell’invio di armi e a favore dell’aumento delle spese militari» (Omnibus, La7, 6 maggio).

In effetti, secondo una rilevazione Politbarometer di maggio per il canale televisivo Zdf, il 56 per cento dei tedeschi risulta a favore dell’invio di “armi pesanti” (39 per cento di contrari), ma a marzo l’equilibrio era completamente invertito (31 per cento favorevoli, 63 per cento contrari): un altro indizio che mostra quanto labili siano le opinioni su questo argomento e quanto siano influenzate da media e leader politici.

Se consideriamo dati direttamente comparabili (rilevati nello stesso momento, con lo stesso metodo e con uguale formulazione) vediamo che la distanza tra opinione pubblica italiana e tedesca non è così ampia quanto quella che ci separa da altri paesi.

I paesi scandinavi

I dati eurobarometro rappresentati nel grafico suggeriscono che più fattori spiegano le differenze principali. Il primo è costituito dalla prossimità geografica ai territori militarmente aggrediti dai russi e dal plausibile timore di subire una minaccia simile. I paesi scandinavi, considerati dalla metà del Novecento tra i più pacifici e pacifisti d’Europa, presentano le percentuali di consenso più elevate all’invio di armi, insieme alle repubbliche baltiche e ai paesi dell’est già sottoposti a russificazione forzata in epoca sovietica (Polonia in primo luogo).

Il secondo è costituito dalla storica avversione/prossimità verso gli Stati Uniti. Ci sono vari indizi ma il più emblematico è la distanza tra Grecia e Portogallo, due piccoli paesi del sud, per note ragioni storiche, su poli opposti sotto questo profilo.

Il terzo è forse rappresentato da ragioni economiche. Nei paesi economicamente più fragili è verosimilmente più diffuso il timore di perdere il sostegno dell’Ue se molte risorse verranno orientate per aiutare l’Ucraina.

Tutto ciò considerato, il caso dell’Italia è meno anomalo di come viene normalmente raccontato. I leader alla ricerca di consensi sulla posizione “togliamo le armi agli ucraini”, che su una materia così seria pendono dalle labbra di guru improbabili, forse hanno fatto calcoli sbagliati, su dati interpretati troppo in fretta.

Gli basterebbe forse considerare che mentre i sondaggi accreditano impropriamente la maggioranza assoluta a quella posizione, dicono al tempo stesso che i loro partiti (M5s e Lega) perdono voti mentre i principali competitori (Fi, FdI, Pd) sono stabili o ne stanno guadagnando.

 

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