Si fa presto a dire istruzione e formazione. Facile dire che sono la strada obbligata per dare a tutti opportunità altrimenti precluse. Però rischia di rimanere uno slogan, come dimostrano gli ultimi dati Istat sul 2020: la strada dell’istruzione è sbarrata per troppi. Solo il 20 per cento degli italiani sono laureati, contro una media dell’Unione europea del 32,8 per cento. E la distanza addirittura aumenta per i diplomati, il 63 per cento contro il 79 della media europea. Perché allora ha fatto così poco rumore la pubblicazione di questi dati? Forse perché mettono in crisi molte teorie e luoghi comuni.

Il divario

L’Istat ci racconta che il divario fra Italia e resto d’Europa è sempre più ampio relativamente ai livelli di formazione indispensabili per la crescita individuale delle persone nelle relazioni sociali e nella partecipazione al mercato del lavoro. La società dell’individualismo e della competizione sui costi si nutre di queste difficoltà. Si accentuano i divari territoriali, laureati e diplomati al sud sono circa il 6-7 per cento in meno rispetto al resto del paese. Soprattutto si conferma che la condizione di partenza (reddito e livello di istruzione dei genitori) influenza al ribasso il percorso educativo di troppi giovani, dall’accesso agli asili nido alla scelta del percorso scolastico, fino ai terribili temi della dispersione e dell’abbandono scolastico.

La dispersione, con un’alta esclusione di minorenni dalla scuola dell’obbligo, è stabilmente sopra il 20 per cento al sud, brodo di coltura di bullismo, violenza e microcriminalità. L’abbandono scolastico misura invece la quantità di giovani tra i 18 e i 24 anni, non più in obbligo scolastico, che non concludono il corso di studi intrapreso. L’abbandono prima del diploma riguarda il 22,7 per cento degli studenti i cui genitori hanno al massimo la licenza media, contro il 2,3 per cento di quelli che hanno genitori laureati. La proporzione è simile anche rispetto alla condizione economica della famiglia.

Fondi senza idee

Anche la partecipazione degli adulti a percorsi formativi è più bassa della media europea. L’apprendimento durante tutta la vita è decisivo alla luce dei cambiamenti in corso, sia per evitare l’invecchiamento delle competenze che per una cittadinanza attiva fatta di coesione e vita sociale. Paradossalmente, anche per la formazione degli adulti a pesare sulla partecipazione vi sono sia il livello dell’istruzione posseduto (partecipa il 17 per cento dei laureati contro l’1,4 per cento dei non laureati) che la situazione professionale, con una partecipazione più bassa tra i disoccupati che tra gli occupati.

Dal complesso dei dati emerge l’immagine precaria di un paese in cui i livelli di istruzione e formazione sono la cartina di tornasole di molti problemi strutturali, a partire da quantità e qualità del lavoro. La popolazione in Italia diminuisce e il futuro demografico è fosco (forse per la prima volta la quantità di nuovi nati in un anno scenderà sotto i 400mila), eppure si insiste nell’idea di adeguare al calo demografico la spesa in formazione, come se non ci fosse niente da recuperare. La scuola pubblica è uno dei pochi presìdi territoriali esistenti, non dice niente questo per importanti investimenti anche a favore della coesione sociale e della formazione coerente?

Eppure il tasso di occupazione nazionale è fermo al 58 per cento (hanno un lavoro 58 cittadini ogni 100 in età da lavoro) contro il 67 per cento della media europea) e i dati indicano che l’occupazione è più alta percentualmente tra i laureati che tra i non laureati, con i lavoratori della conoscenza che risultano più “protetti” dagli shock occupazionali. I laureati sono pochi, tuttavia a decine di migliaia emigrano ogni anno verso altri paesi in cui trovano un adeguato riscontro professionale e un salario dignitoso. Gli estremi combaciano: un basso livello di istruzione e di abbandono scolastico appare tristemente coerente con un modello produttivo povero in cui ancora troppe realtà scommettono sulla competizione di costo, con un anomalo addensamento degli occupati nelle qualifiche medio-basse e con troppa precarietà. Non sarebbe difficile individuare il da farsi, il problema è la volontà politica e imprenditoriale. L’occasione a disposizione in questa fase è irripetibile ed è rappresentata dai fondi europei. Non basta la certezza di spenderli nei tempi previsti, occorre utilizzarli in modo efficace per risolvere anche questi problemi. Ma sul punto non appaiono idee convincenti, ed è questa la responsabilità che grava su tutti.

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