La settimana appena trascorsa ha segnato il record dall’inizio della pandemia per il numero di nuovi casi identificati in tutto il mondo. Secondo gli ultimi dati disponibili, nell'ultima settimana sono stati registrati più di 5,6 milioni di nuovi casi al giorno.

Nonostante la campagna vaccinale iniziata in molti paesi ormai da quattro mesi, la pandemia non sembra aver affatto allentato la sua morsa. Il bilancio dei decessi è cresciuto di pari passo, con una media che nella settimana terminata il 18 aprile ha raggiunto i 18mila al giorno. Una settimana fa, sono stati superati i tre milioni di morti complessivi causati fin dall’inizio dell’epidemia. Si tratta di una stima per difetto, con migliaia di casi, in particolare nei paesi in via di sviluppo, che sfuggono alle statistiche. L'accuratezza delle rilevazioni ufficiali è limitata dalle capacità ed efficacia con cui i paesi effettuano test e registrano i decessi e sono centinaia di migliaia quelli che sfuggono al conteggio. Per esempio, dati recenti pubblicati dalle autorità messicane mostrano come il numero di decessi effettivamente avvenuti nel 2020 è stato in Messico del 45 per cento più alto di quelli che normalmente si registrano. In altre parole, circa 100mila decessi in più rispetto a quelli testati positivi per coronavirus.

India e Brasile

Il record di nuovi casi registrato in questi giorni è dovuto in particolare ai pessimi dati arrivati da India e Brasile, dove l’epidemia appare fuori controllo e la situazione si fa ogni giorno più critica.

Questa settimana, l’India ha superato tutti record di contagi registrati nel paese, arrivando a contare oltre 300mila nuovi casi al giorno. Nella capitale Delhi, circa un tampone su tre risulta positivo, un tasso di positività pari al 30 per cento. Oltre il 65 per cento delle persone ricoverate hanno meno di 40 anni.

Come accaduto in molti altri paesi in tutto il mondo, anche in India l’appiattimento della curva dei contagi nei mesi di febbraio e marzo ha fatto dichiarare al governo e alle autorità sanitarie una vittoria prematura contro la malattia.

I leader politici, ansiosi di far ripartire l’economia, hanno ridotto le misure di contenimento. Con i casi tornati a crescere in maniera verticale all’inizio di aprile, il governo del primo ministro nazionalista Narendra Modi ha proseguito nella sua intensa campagna elettorale nello stato del Bengala occidentale, organizzando comizi con migliaia di partecipanti. Negli ultimi giorni, tre candidati al parlamento locale sono morti a causa del Covid-19.

In Brasile, il presidente Jair Bolsonaro si è mantenuto fermo sulla sua linea negazionista, rifiutandosi di approvare un lockdown nazionale. Nel paese, la media di nuovi casi questa settimana è stata di 65mila al giorno, con quasi 3mila decessi.

Dopo che la prima ondata si è attenuata lo scorso novembre, l’epidemia è tornata a colpire il Brasile ripartendo dalla città di Manaus, nello stato di Amazonas. Fino al 70 per cento della popolazione si era infettato nel corso della prima ondata, secondo le principali stime, un tasso di infezione così alto che gli scienziati speravano che avrebbe garantito alla popolazione locale una sorta di immunità temporanea alla malattia.

Ma l’arrivo della variante brasiliana P1, nel mese di dicembre, ha mostra che il coronavirus è in grado di adattarsi per superare l’immunità naturale acquista dopo il contagio. La città e l’intero stato sono stati colpiti duramente, con gli ospedali sommersi dai nuovi casi e le autorità locali costrette ad approntare nuovi cimiteri in tutta fretta. Nelle ultime settimane, l’epidemia è tornata a stringere l’intero paese nella sua morsa, colpendo in particolare le comunità più povere e deprivate che vivono ai margini delle grandi metropoli brasiliane.

In India, la variante dominante è ancora la B117, la cosiddetta inglese, più contagiosa e probabilmente più letale di quella originaria. Ma una nuova variante che contiene una doppia mutazione ha iniziato a essere individuata nel mese di marzo. Le sue caratteristiche sono ancora poco chiare, anche se sembra che sia grado di diffondersi più rapidamente. Probabilmente è anche in grado si sfuggire più facilmente all’immunità acquisita, come la sua cugina P1.

In India e Brasile, soltanto il 4,5 e l’8,3 per cento della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino.

Europa e Stati Uniti

Anche se è ben lontana dall’essere terminata, l’epidemia oggi è meno presente nei paesi più ricchi del pianeta.

Negli Stati Uniti, dove ormai oltre il 40 per cento delle persone ha ricevuto almeno una dose di vaccino, i nuovi casi sono scesi dai 250mila al giorno del picco di gennaio, agli attuali 65mila, mentre i decessi giornalieri si sono ridotti da quasi 3mila a poco più di 700.

Vaccini e un duro lockdown durato tre mesi sono dietro al contenimento dell’epidemia nel Regno Unito, dove i casi sono passati da oltre 60mila al giorno a dicembre, agli attuali 2mila. Con circa il 50 per cento della popolazione che ha ricevuto almeno una dose di vaccino, e quasi il 100 per cento dei fragili per età o condizioni mediche ormai protetti, la media dei decessi si è ridotta a poco più di 20 al giorno.

Nell’Europa continentale la situazione non è altrettanto rosea, anche se resta molto distante da quella di paesi come India e Brasile. In paesi come Italia e Germania, la variante B117 ha iniziato ad essere dominante nei primi mesi dell’anno, contribuendo ad alimentare quella che è stata da molti definita una vera e propria “terza ondata” di contagi.

In Germania, la curva sembra essersi stabilizzata a circa 20mila nuovi casi al giorno e in Francia la situazione si è assestata intorno a 30mila. In Italia l’epidemia attraversa una lenta fase discendente, anche se il numero dei decessi continua a restare piuttosto alto.

Con l’arrivo dell’estate, i governi devono decidere se scommettere sulle vaccinazioni e iniziare graduali riaperture, o se adottare una strategia più prudente. Nell’Unione Europea, circa un quinto della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino.

I vaccini

Il fatto che il record di casi e decessi per la pandemia coincidono con l’accelerazione della campagna vaccinale, almeno in alcuni paesi, ha permesso ai ricercatori di farsi un’idea più precisa della loro efficacia. Le notizie sono buone: i dati mostrano che i vaccini funzionano, riducono in maniera significativa il rischio di finire in ospedale e ancora di più quello di morire a causa del virus.

Nel Regno Unito, la quota di casi tra gli ultraottantenni è diminuita dell'80 per cento dall'inizio delle vaccinazioni. Uno studio basato su dati israeliani ha dimostrato che grazie alla protezione garantita dal vaccino, c’è stato un calo del 67 per cento nel rapporto tra pazienti Covid-19 di età pari o superiore a 70 anni che necessitano di ventilazione meccanica rispetto ai pazienti di età inferiore ai 50 anni. Un recente studio dell'università di Oxford, conferma che i vaccini non solo prevengono la malattia ma sono anche in grado di abbattere in notevolmente la trasmissione del virus.

A un anno dalla pandemia e nei giorni in cui sta mietendo più vittime dal suo inizio, abbiamo la prova di aver trovato l’arma per combatterla. Il problema ora è produrne abbastanza e farle arrivare a chi ne ha bisogno.

 

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