Ammiratori e detrattori concordano. Il primo ministro indiano Narendra Modi sa ammaliare le folle, arringarle parlando con fierezza d’identità nazionalista hinduista, celebrando la grandiosità dell’operato indiano. La sua è un’immagine quasi messianica, sostengono i suoi seguaci, di un leader devoto allo yoga e alla spiritualità, che non brama il potere ma è votato al solo interesse nazionale. Ironia della sorte, a metterlo all’angolo oggi è proprio il malcelato orgoglio con il quale a gennaio annunciava virtualmente al World Economic Forum che «il 18 per cento della popolazione mondiale vive qui e tuttavia non solo abbiamo risolto i nostri problemi, ma abbiamo anche aiutato il mondo a combattere la pandemia».

Così, mentre il paese supera la cifra record di 4.200 decessi in un giorno, il partito Congress, all’opposizione, ha gioco facile a rinfacciargli di aver sostenuto che «l’India ha salvato l’umanità da un grande disastro, contenendo il coronavirus in modo efficace». Il Bjp, partito nazionalista hinduista di Modi, ribatte che nessuno poteva prevedere una nuova variante, la virulenta doppia mutazione ormai prevalente nel paese. Ma l’invulnerabilità politica del leader mostra delle crepe, spiega Milan Vaishnav, direttore del programma Asia meridionale del Carnegie Endowment for International Peace di Washington: «Questa seconda ondata ha colpito fortemente la classe media e urbana, e la rabbia nei confronti di Modi non ha precedenti. Persino la demonetizzazione non ha causato tanta disaffezione nei suoi confronti». Secondo Morning Consult l’indice di approvazione del primo ministro a inizio maggio è sceso al 65 per cento: il livello più basso da quando l’agenzia ha iniziato a monitorare il suo rating, nell’agosto 2019.

Calo dei consensi

Tra i fronti caldi, se sulla mancanza di posti letto e di ossigeno il rimpallo di responsabilità tra stato centrale e governi statali offre una scappatoia, sul tema vaccini il discorso cambia. Immunizzare 1,3 miliardi di persone non è cosa da poco, ma non è stata la macchina organizzativa ad incepparsi, sono i vaccini a mancare – ironico, se si considera che l’India è il più grande produttore di vaccini al mondo. Secondo il quotidiano Economic Times, a fine aprile il governo aveva ordinato in totale 350 milioni di dosi, sufficienti per immunizzare appena il 12 per cento della popolazione. Una parte della produzione è stata dirottata all’estero, in una compiaciuta campagna di geopolitica vaccinale.

I cittadini che faticano a trovare un posto letto per i propri cari attribuiscono la crescita dei contagi sia al permesso accordato dal governo al gigantesco raduno religioso di Kumbh Mela sia ai maxi-raduni elettorali nello stato-chiave del Bengala occidentale, condotti dal Bjp spesso senza mascherina e plaudendo alle masse accorse. Una elezione dal grande significato simbolico per Modi, perché avrebbe significato l’ingresso dell’hinduismo ultranazionalista in una regione dove ha faticato a farsi strada. Le opposizioni celebrano la sconfitta del Bjp come la spia della fine di un’era, ma Vaishnav ricorda: «Perché il dissenso metta l’attuale primo ministro in discussione serve un voto nazionale, e non statale – questo non avverrà prima di tre anni». Secondo l’esperto, la caratteristica che rende Modi il politico indiano più popolare degli ultimi decenni, è la capacità di reinventarsi: «È stato eletto nel 2014 come il grande riformatore. Nel 2019, non avendo risultati economici da vantare, ha puntato tutto sul nazionalismo. Sono certo che presto ci troveremo di fronte ad una nuova reinvenzione di Modi. Nel frattempo, ha attivato una strategia di controllo dei danni».

A partire dai social media. «A volte, il governo del primo ministro Narendra Modi è sembrato più intenzionato a rimuovere le critiche su Twitter che a cercare di controllare la pandemia», ha sentenziato in un duro editoriale la rivista medica Lancet, che definisce “imperdonabile” la sua gestione e spiega che il paese potrebbe vedere un milione di morti entro agosto. «Vorrei che ci fosse più rabbia nei confronti dei soldi buttati via da questo governo per imbellettare la sua immagine, o per nutrire la campagna d’odio contro i musulmani, che Modi usa per deviare l’attenzione tutte le volte che ha un problema» scandisce la giornalista Rana Ayyub, che sul Time ha scritto: «Se l’apocalisse si potesse tradurre in un’immagine, sarebbe quella degli ospedali indiani», attirando le critiche dei militanti Bjp, che l’accusano di fare parte di una “cospirazione internazionale” anti-indiana. Lei ribatte che da quando è stato eletto Modi il partito controlla strettamente l’informazione nel paese.

Lancet, tra le altre cose, ha chiesto al governo indiano di pubblicare dati più accurati: «Da tempo la macchina di raccolta statistica indiana manifesta criticità. Quando un dato è contrario ai desideri del governo al potere, viene soppresso» spiega Reetika Khera, economista dell’Indian Institute of Technology di Delhi. «La siero-sorveglianza nel paese non è uniforme.

Nelle zone rurali le persone con sintomi di Covid-19 muoiono senza essere sottoposte a test». Si teme che le morti siano fortemente sottorappresentate: «Nello stato del Gujarat Deepak Patel ha raccolto accuratamente i dati sui funerali con protocollo Covid da giornali, necrologi e altre fonti locali, confrontando poi i numeri ufficiali. Ad aprile ha contato 17.822 morti in 7 città, mentre le fonti ufficiali ne hanno riportati appena 1.745, il che suggerisce che i decessi siano sottostimati per un fattore di 1 a 10». Non è solo questione di numeri: «Serve disperatamente l’azione del governo. Bisogna fornire aiuti alimentari a chi è in difficoltà per il lockdown, aumentare la fornitura di vaccini e deviare sui vaccini gli 1,8 miliardi di dollari che saranno spesi per un progetto di pura vanità, il Central Vista».

Il piano di rifacimento del parlamento e del celebre viale cerimoniale della capitale è stato stigmatizzato anche dal leader del Congress, Rahul Gandhi, che l’ha definito uno “spreco criminale”. Accuse di malagestione, immagini raccapriccianti di pire improvvisate e richieste disperate stanno mettendo in allarme per la prima volta anche la potente e ricca diaspora indiana, vicina a Modi. «Soprattutto tra gli indiani-americani, il danno d’immagine è forte» ammette Vaishnav «ma c’è un’opposizione in grado di proporre una reale alternativa? L’indignazione non basta. Bisogna saperla tradurre politicamente».

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