L’Italia non è mai ferma. Nessuna società è mai ferma su se stessa. Negli ultimi cinque anni i processi di trasformazione hanno subito un’accelerazione, sospinti dall’incrociarsi e susseguirsi di molteplici crisi (ambientali, economiche sociali, finanziarie, sanitarie e guerrafondaie).

La fase in cui siamo, fotografata dal rapporto annuale di Ipsos, Flair 2024, è caratterizzata da un doppio movimento. Su un versante siamo sempre più un paese divergente: crescono i divide sociali e le fratture economiche, di classe, territoriali, di genere, individuali, generazionali e tecnologiche.

Sul versante opposto lievita il bisogno di buona società, di economia giusta, di buone imprese, di pace e di ristabilimento di un’armonia con l’ambiente. Alcune faglie stanno ampliando la loro divaricazione, altre permangono, nonostante segnali di miglioramento.

La divaricazione

Per il 52 per cento degli italiani (58 nei ceti popolari) sono aumentate le distanze tra il ceto medio e i ceti bassi e popolari. Per il 55 per cento sono lievitate le differenze tra manager e lavoratori. Il 45 per cento del paese mette l’accento sull’aumento delle distanze tra giovani e anziani, mentre il 42 per cento sul permanere delle dicotomie tra nord e sud (dato che sale al 49 nel mezzogiorno).

In rallentamento, ma pur sempre presenti, restano le dicotomie tra uomini e donne (il 78 per cento delle donne afferma che gli uomini hanno molte più possibilità di ottenere un compenso adeguato al lavoro – ruolo e mansione – svolto).

Le forme di distanziamento sociale con dinamiche divergenti sono legate all’aumento delle povertà (65 per cento nei ceti popolari), alla mancanza di lavoro e opportunità per i giovani (63 per cento al sud), alla precarizzazione del lavoro (48 per cento), agli sbarramenti alla crescita sociale per chi proviene da famiglie a basso reddito (36 per cento); alle differenti possibilità di accesso ai servizi sanitari di qualità (32 per cento) e alle diverse possibilità tra chi vive in piccoli centri e città metropolitane (20 per cento).

In una fase in cui aumentano le dicotomizzazioni, crescono anche i bisogni di ricuciture, di ricomposizioni. Cresce il bisogno di buona economia e buone imprese. L’83 per cento avverte la necessità di una maggiore presenza di imprese mutualistiche.

Il 66 per cento auspica maggiori livelli di benessere lavorativo e il 65 per cento ritiene che le imprese debbano pensare alle persone e non solo ai profitti. Insieme a un’economia più giusta gli italiani avvertono l’esigenza di una ricomposizione sociale e di pace.

Oltre l’80 per cento sottolinea l’esigenza di ridurre il divario fra ricchi e poveri e il 61 per cento individua nella guerra il primo nemico del futuro. Il bisogno di buona società caratterizzata da assistenza sanitaria di qualità (50 per cento), equilibrio vita e lavoro (35), lavoro sicuro (34) e parità uomo donna (29).

Infine, il bisogno di ricucire le dinamiche ambientali. L’Italia è il paese europeo in cui si avvertono maggiormente i danni dovuti all’impazzimento del clima (66 per cento).

Tra disagio e speranza

Il quadro d’insieme è un affresco complesso e articolato, che non può essere liquidato solo in termini di conta tra pessimisti e ottimisti. Il rischio è quello di indulgere in una visione semplificatoria della realtà e di non cogliere quel sentimento mixato e composito in cui convivono tratti di speranza e tonalità ripiegate, bisogno di leggerezza e cambiamento e, in pari tempo, pesantezza e mancanza di visioni d’uscita immediate.

Viviamo in una fase marcata dalla cancrenizzazione dei rischi e non più solo dall’incrociarsi delle varie crisi. Il segno che sembra caratterizzare l’anno che ha dispiegato le ali è quello di un orizzonte marcato dal senso di instabilità.

Una fase caratterizzata dall’incedere della duplice dinamica indotta dalla voglia di esternalizzare le negatività, di allontanarle da sé, di riprendersi uno spazio ludico e di piacere per non piegarsi al susseguirsi di eventi negativi.

Da un sentimento di disagio e malinconia controbilanciato dalla voglia di speranza, dalla ricerca di forme di nuovo accudimento di sé. La fase attuale è caratterizzata dall’oscillare frenetico di un pendolo che produce pulsioni ondivaghe di inadeguatezza e paura, ma anche di spinta a cambiare, di voglia di fuggire, di… obliare.

Siamo in una fase in cui dinamismo e retromarce, radicalismo e difensivismo, spinte solidali e brame egoiste convivono e si compenetrano. Siamo in un’epoca di tagli e ridisegno dei consumi, di passioni che oscillano tra la coscienza della complessità e la necessità di fuggire dal senso di instabilità.

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