Le dinamiche e le forme del disagio che attraversano la vita quotidiana delle persone hanno molteplici volti e traiettorie. Il 26 per cento degli italiani non è soddisfatto della propria salute (36 nei ceti popolari) e un altro 26 afferma di avere un umore tendente al negativo (47 nei ceti popolari e 32 tra i giovani della Gen Z).

Il 30 per cento delle persone ritiene di avere poche energie a disposizione (37 nei ceti popolari) e il 18 dichiara di fare sovente dei pensieri negativi (33 nei ceti popolari). Il 48 per cento delle persone è poco soddisfatto della qualità del proprio esercizio fisico e il 22 è insoddisfatto della propria capacità di svolgere le attività quotidiane (37 nei ceti popolari).

Il 35 per cento degli italiani ritiene che uno dei maggiori problemi legati alla salute da affrontare in Italia sia quello della salute mentale (era al 18 nel 2018), mentre il 33 segnala il tema dello stress (dato che era al 26 nel 2018). Il 34 per cento dei giovani (43 tra i ceti popolari) si sente ansioso, il 27 per cento delle persone si sente stanco (37 nei ceti popolari) e il 34 per cento degli italiani si sente stabilmente demotivato.

Aspettative e realtà

Nel loro insieme questi dati evidenziano l’incedere di diverse forme di anomia del benessere, di scarto anomico (per dirla con il sociologo americano Robert Merton), di dissonanza tra le aspettative personali e la realtà esistenziale.

L’anomia del benessere è il decantato complesso di diversi processi di disorientamento individuale e di insoddisfazione per la propria salute e la propria qualità della vita. In esso ritroviamo la distanza tra le aspettative personali e la realtà vissuta (con conseguenti ricadute sotto forma di stress, ansia e depressione), ma rintracciamo anche l’indebolimento delle forme di tenuta personale di fronte all’aumento delle forme di disagio.

Lo scarto anomico tocca certamene tutti i segmenti sociali, ma nei ceti più bassi e popolari, così come nei giovani mostra la sua maggiore concentrazione. Tra le molteplici silhouette che assume l’anomia del benessere troviamo, per esempio, le sensazioni legate al sentirsi in un eremo individualistico nella gestione delle contraddizioni.

L’individualizzazione dei rischi sociali – osserva Robert Castel – porta a una crescente insicurezza sociale e a individui lasciati soli, senza reti sociali di appoggio cui fare riferimento nel gestire i rischi della vita. Lo scarto anomico è anche il risultato dell’incremento dell’ambizione prestazionale legata alla dimensione della propria salute e del proprio corpo (crescita registrata da tempo e non solo nel post Covid).

L’ambizione prestazionale non alimenta solo una visione olistica della salute (legata al benessere fisico e mentale), ma accresce anche nuove forme di senso di colpa e di inadeguatezza individuale di fronte ai desideri e ai traguardi che le persone si pongono.

Infine, le dinamiche contemporanee mostrano l’accrescersi di forme di alienazione esistenziale e perdita di significato riscontrabili nella diffusa mancanza di motivazione e nelle forme di stanchezza.

Disfunzioni strutturali

Lo scarto anomico non è semplicemente una questione di malessere individuale, ma il sintomo di disfunzioni strutturali più ampie nella società contemporanea. La depressione e l’ansia, chiosa il direttore di ricerca emerito al Centre national de la recherche scientifique, Alain Ehrenberg, sono i nomi che diamo al nostro dolore quando la società esige che ogni individuo si comporti come un essere sovrano, padrone del proprio destino, in un contesto di crescente incertezza e precarietà.

Lo scarto anomico riflette l’entrata in tensione di alcune dinamiche fondanti il vivere oggi: l’imperativo sociale di perseguire il benessere come scopo individuale; l’erosione delle strutture sociali che tradizionalmente supportavano la vita delle persone, nonché l’aumento delle forme di incertezza e precarietà.

Questa entrata in tensione crea un paradosso in cui la ricerca del ben-essere diventa essa stessa una fonte di malessere. L’anomia del benessere, la fatica di essere sé stessi nella contemporaneità, la paura di una vita senza qualità, sono delle sfide per la contemporaneità, per le persone, per le imprese, per le politiche pubbliche. Esse costringono gli attori sociali a ripensare il senso del ben vivere e del ben essere, spingendo a individuare nuovi approcci per rigenerare l’interconnessione tra benessere individuale e strutture sociali, tra individui e collettività, tra privatizzazione esistenziale e senso di coesione sociale in un’epoca di crescente frammentazione e individualizzazione.

© Riproduzione riservata