Il peso della condizione sociale e della dimensione quotidiana, nei ceti popolari, si fa sentire immediatamente osservando i fattori più esistenziali. Le persone di questa classe sociale si auto-descrivono come più sospettose, nervose, e incerte
Come si sentono e descrivono gli italiani? Gli ultimi quattro anni sono stati complessi e il susseguirsi di eventi che hanno coinvolto la vita quotidiana, come il Covid e lo scatto inflattivo, hanno inciso sul modo di essere e di rappresentarsi delle persone. Utilizzando la scala dello psicologo Andrew L. Comrey possiamo individuare una mappa dei diversi modi di essere e raffigurarsi delle persone. Nella top five dell’auto-rappresentazione troviamo il sentirsi pratici (34 per cento), cordiali (31) e tranquilli (31), equilibrati (29), sognatori (24) e romantici (20).
Una cartolina tranquillizzante che lascia in fondo alla classifica elementi come la freddezza (3 per cento), l’essere rivoluzionario (4), il definirsi una persona incerta (7 per cento) e il considerarsi un conservatore (8 per cento). Come ogni cartolina non porta alla luce i tratti della complessità contemporanea e scavando più a fondo troviamo ben altra fotografia. La media nazionale nasconde profonde differenze, specie se guardiamo il dato per età, genere e classe sociale.
Le ragazze e i ragazzi della Generazione Z si avvertono come meno pratici della media (19 per cento contro 34), ma anche meno equilibrati (20 per cento contro 29), meno fiduciosi (11 per cento contro 17), meno rilassati (9 per cento contro 14) e molto più lunatici (16 per cento contro 8). I giovani della Generazione Z sono molto competitivi, a loro piace vincere facile, molto di più rispetto alla media nazionale (21 per cento contro 12), sono anche più romantici (27 per cento contro 20) e sognatori (28 per cento contro 24).
Le donne, rispetto agli uomini, si descrivono come più cordiali (35 per cento contro 28), più romantiche (25 per cento contro 15), più sognatrici (27 contro 21) e più pratiche (36 contro 33). Gli uomini, invece, si ritengono più competitivi (15 contro 9), più pigri (11 contro 6), ma anche più tranquilli (33 contro 29) e amano stare più da soli (21 contro 17).
Differenze di classe
Ampie sono le differenze tra il ceto medio e il ceto popolare. La classe media, in forza della sua forza economica, si sente più cordiale (37 per cento contro 21), tranquilla (34 contro 23), equilibrata (32 contro 21), ma anche più fiduciosa (21 contro 13), rilassata (16 contro 12) e intraprendente (16 contro 11).
Il ceto medio, rispetto a quanti si collocano nei ceti popolari, è molto più competitivo e ama vincere (13 per cento contro 7) ed è più avventuroso (12 contro 7). Il ceto popolare nostrano si avverte, rispetto alla middle class, più sognatore (27 per cento contro 19), romantico (22 contro 19) e solitario (22 contro 17).
Il peso della condizione sociale e della dimensione quotidiana, nei ceti popolari, si fa sentire immediatamente osservando i fattori più esistenziali. Le persone di questa classe sociale si auto-descrivono come più sospettose (16 per cento contro 5), nervose (14 per cento contro 5), pigre (12 contro 7) e incerte (12 contro 4).
Altre differenze significative, nella pancia del nostro paese, le troviamo sulla voglia di partecipare. Un tratto che mantiene il suo colore giovanile (17 per cento nella Generazione Z rispetto all’8 dei baby boomer) e il suo tono sociale: più forte nei ceti popolari rispetto alla middle class (15 contro 12).
Nel nostro paese, infine, il 43 per cento delle persone pensa di aver ricevuto dalla società meno di quanto hanno gli altri. Si sentono in deficit i ceti popolari (il 65 per cento), le donne (45 per cento), i giovani della Generazione Z (46 per cento), nonché le persone che vivono al sud (48 per cento) e nelle isole (50 per cento).
Un quadro negativo
Il quadro complessivo mostra un paese che, in questi decenni, ha investito poco sui giovani, ha alimentato un egotico individualismo e una dimensione competitiva fondata sulla voglia di vincere e non su quella dell’impegno a dare il meglio di sé. Una nazione che ha abbandonato a sé stesse intere fasce sociali deboli, con un ceto medio che si è ripiegato a difesa delle proprie prerogative divenute incerte e ondivaghe.
All’accrescersi delle forme di incertezza e rischio, ha corrisposto l’inaridimento e la riduzione delle politiche di welfare. Come ci ricorda il sociologo Robert Castel i sistemi di welfare sono stati dei riduttori dell’incertezza e hanno consentito che il destino individuale fosse inscritto all’interno di collettivi di protezione.
Ogni persona aveva la possibilità di sentirsi tra gli inclusi, supportato da un insieme di sostegni sanciti dal diritto al lavoro e dalla protezione sociale. Oggi parliamo di successo, ricchezza, di voglia di vincere, ma non abbiamo aggiornato più i paracaduti, gli strumenti per includere le persone. Non siamo solo più cinici, siamo soprattutto più ciechi.
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