A pochi passi dal giorno della memoria, mercoledì 27 gennaio, è utile scandagliare le forme e le dimensioni della presenza di germi antisemiti e razzisti nel nostro Paese. Il rapporto presentato nel 2020 da Lunaria sugli episodi di razzismo e discriminazione avvenuti in Italia tra il 2008 e i primi mesi del 2020 evidenzia dati inquietanti: 5.340 casi di violenze verbali, 901 aggressioni fisiche contro la persona, 177 danneggiamenti alla proprietà, 1.008 casi di discriminazione.

L’omicidio di Willy Monteiro Duarte, il ragazzo di 21 anni con origini capoverdiane ucciso a Colleferro (Rm) il 6 settembre, è stato il caso più drammatico di un susseguirsi di atti di violenza razzista (fisica e verbale) che hanno costellato l’anno del Covid-19. I fenomeni xenofobi, tuttavia, non riguardano esclusivamente gli atti violenti e aggressivi, ma coinvolgono, innanzitutto, una dimensione «sottotraccia»: la presenza di una fiorente sub-cultura razzista, densa di stereotipi e pregiudizi. Il 56 per cento degli italiani, ad esempio, denuncia la persistente presenza di sentimenti, pulsioni, atteggiamenti, stereotipi o narrazioni antisemite. Ne avvertono l’esistenza, in primis, i giovani under 30 anni (56 per cento) e le persone che si auto-collocano nel ceto medio basso (62 per cento).

Antisemiti, maschilisti, mixofobici e via discorrendo

Oltre ai tratti antisemiti, nella subcultura xenofoba italica stazionano sentimenti omofobi, maschilisti, mixofobici e giustificazionisti verso forme e comportamenti razzisti. Una tendenza, quest’ultima, che ha diverse gradazioni. Vi troviamo quanti ritengono i comportamenti razzisti giustificati nella maggior parte dei casi (3%); quanti tollerano atti razzisti in base a peculiari situazioni (16%) e quanti giudicano accettabili atteggiamenti discriminatori solo in pochi e specifici casi (19%).

Complessivamente, oltre un terzo dell’opinione pubblica (38%) è, esplicitamente, disponibile (anche se con gradazioni distinte) a tollerare o giustificare comportamenti xenofobi. Un atteggiamento che ha punte estreme nei ceti bassi e popolari (47%) e tra i cinquanta-sessantenni (41%). Da un punto di vista geografico, in Centro Italia (45%) e nel Nordest (40%), albergano una quantità di giustificazionisti superiore alla media nazionale.

La maggioranza del Paese, sia chiaro, è tendenzialmente antirazzista (il 62% ritiene che gli atti di razzismo non siano mai giustificabili), con espressioni di forte repulsione tra i giovani (67%), nelle regioni del Sud (67%) e tra le fila del ceto medio (65%).

Il razzismo durante le crisi

Il permanere di atteggiamenti, pulsioni e comportamenti razzisti nelle classi popolari e nei ceti sociali in via di declassamento non è una novità. Nel nostro paese abbiamo già visto in passato forme di xenofobia verso gli immigrati italiani provenienti dal Mezzogiorno. Così come in Francia, tra gli operai, la xenofobia «si è via via esercitata - ci ricorda il sociologo francese Étienne Balibar - contro gli italiani, i polacchi, gli ebrei ecc.». Il fenomeno ha molteplici matrici.

Esso non si radica solo nell'aumento della presenza degli immigrati o nella possibile concorrenza che questi flussi aprono sul fronte dell'accesso al lavoro, ma è anche il risultato del modello di gerarchizzazione del lavoro che si è sviluppato in questi anni. Un modello che ha lasciato agli immigrati i posti più bassi nella scala sociale e ha alimentato l’immagine di una divisione etnica dei ruoli sociali. Il processo di gerarchizzazione etnica dell’immaginario ha generato, all’interno di alcune subculture nostrane e in parte dei segmenti sociali più deboli economicamente o a rischio declassamento, l’idea che i nativi, gli italiani, posseggono delle priorità rispetto alle persone immigrate e che tale primazia comporti delle prerogative che vanno difese e tutelate.

Il susseguirsi delle crisi dal 2007 in poi, l'infragilimento sociale che è avanzato nel nostro Paese, nonché, da ultimo, l’incedere del Covid, hanno messo in discussione la relativa stabilità dell'impiego lavorativo, dei livelli di vita, delle forme di prestigio delle persone e hanno destabilizzato quei fattori che, fino a ieri, hanno fatto supporre a segmenti di italiani di essere al di sopra degli immigrati. 

I rigurgiti razzisti, senza che questo risulti assolutamente come una forma di giustificazione, possono essere annoverati tra gli effetti collaterali dei processi di decetomedizzazione della società, di «riproletarizzazione», per usare un termine caro a Balibar, di parte della middle class. Così, il diritto alla casa, al lavoro, al posto in un asilo, a una vita dignitosa, non sono più solo dei diritti sociali per tutti, ma «vengono pervertiti e trasformati – come afferma il sociologo francese - in questioni di privilegi, che si dovrebbero difendere o riservare ad alcuni beneficiari naturali», gli italiani.

Le prospettive di crisi economica, acuite dal Covid-19, potrebbero alimentare le forme di un razzismo di crisi. Smottamenti economici, precarizzazione del lavoro e destabilizzazione delle esistenze, potrebbero accrescere ulteriormente le dinamiche di sfarinamento del tessuto nazionale e di conseguenza di imbullonamento al piano terra dell’ascensore sociale; le ricerche di ancoraggi identitari fondati sulla primazia degli italiani; nonché le subculture xenofobe e giustificazioniste verso atteggiamenti razzisti.

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