L’Europa è un po’ come il mondo degli oggetti smarriti, delle speranze disattese, di cui, però, non si può fare a meno. L’opinione pubblica nazionale è da anni fredda rispetto all’Unione, ma le vicende della pandemia, della crisi energetica e della guerra hanno riportato al centro l’esigenza di una compagine europea più solida e coesa. Il percorso, tuttavia, non è affatto in discesa.

La fiducia nell’Unione europea ha avuto un percorso altalenante dal 2002 a oggi. I primi anni sono stati di crescita. Dal 62 per cento di inizio millennio si è arrivati al 77 per cento del 2010. Da allora è iniziato il lento declino.

Nel 2014 la fiducia nella Ue era già al di sotto della soglia iniziale (59 per cento) e cinque anni dopo, alle soglie della pandemia, ha toccato il 42 per cento. Di lì a poco è arrivato il grande crollo generato dall’iniziale senso di lontananza e freddezza dell’Unione rispetto all’esplosione del Covid in Italia.

Nel maggio 2020 la fiducia ha toccato il punto più basso: 29 per cento. Con il varo del Next generation Eu il quadro ha iniziato a risalire e nel giugno 2021 la fiducia nella Ue era al 50 per cento. La guerra e la crisi energetica hanno ricominciato a intaccare questa soglia, con la discesa al 48 per cento. A generare una nuova ondata di critiche è stata, in primis, la gestione della crisi energetica. Per l’82 per cento dell’opinione pubblica italiana essa è stata l’ennesima dimostrazione della incapacità dei paesi dell’Unione di esprimere una strategia e una visione unitaria.

La reazione alla guerra

Particolarmente critici sono gli elettori di Giorgia Meloni (91 per cento), ma anche quelli del Pd (79 per cento). La reazione alla guerra, l’ordine sparso in cui i vari leader hanno cercato di accreditarsi come interlocutori di Putin, la preponderanza del ruolo americano non sono piaciuti agli italiani.

Il 74 per cento denuncia il rischio che l’Europa diventi un mero satellite degli Usa. Un timore che coinvolge, nonostante la partecipazione nei primissimi giorni del conflitto della loro leader alla Conservative political action conference (la conferenza politica annuale dei conservatori Usa), gli elettori di Fratelli d’Italia (85 per cento).

Sulla stessa linea si collocano gli elettori del M5s (81 per cento), di Matteo Salvini (72 per cento) e quelli berlusconiani (77 per cento). I meno preoccupati sono gli elettori del Pd (58 per cento).

Di fronte alla cronica difficoltà dell’Unione ad assumere posizioni chiare e unitarie, la maggioranza degli italiani (74 per cento) avverte l’esigenza di superare il criterio dell’unanimità dei consensi nel Consiglio europeo, per addivenire a decisioni prese a maggioranza. Una ipotesi che piace all’87 per cento degli elettori di Meloni e all’85 per cento di quelli di Letta.

Nonostante la spinta a una dimensione unitaria dell’Unione, la disponibilità a cedere poteri alla Commissione europea non incontra un sostegno massivo e supera di poco la metà degli italiani (53 per cento). Ancora più limitata (46 per cento) è l’adesione all’ipotesi di un’Unione a due velocità, con una federazione tra gli stati storici (Italia, Francia, Germania e Spagna) che devolvono alcuni poteri statali al consesso europeo e con un secondo livello contenente le altre nazioni, senza devoluzione di poteri da parte degli stati.

L’ipotesi di fare della Commissione europea un vero governo d’Europa piace in modo convinto esclusivamente agli elettori del Pd (77 per cento). Tra i supporter di centrodestra è una ipotesi molto più refrattaria, che piace al 44 per cento della base di FdI e al 55 per cento dei leghisti.

La freddezza verso l’Europa, il basso tasso di fiducia e le costanti delusioni verso un consesso di leader che non riescono a muoversi in modo unitario alimentano l’europeismo freddo italico.

Da un lato, si avvertono le potenzialità insite nell’avere un’Europa forte e coesa, capace di esprimere una strategia unitaria, ma, dall’altro lato, l’ipotesi di devolvere parte dei poteri alla Commissione viene vissuta non solo come un esautoramento del ruolo e della libertà nazionale, ma anche come una cessione di poteri a un consesso che, negli ultimi dieci anni, ha mostrato più il suo lato matrigno che quello benigno.

L’oscillazione delle opinioni alimenta a sua volta le spinte centrifughe e i vari anti europeismi e allontana sempre di più la capacità del vecchio continente di giocare da protagonista nel nuovo mondo bipolare che si prepara.

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