«In pochi sanno che il nostro futuro dipende dallo strato sottile che si estende sotto i nostri piedi. Il suolo e la moltitudine di organismi che in esso vivono, ci forniscono cibo, biomassa, fibre e materia prima, regolano i cicli dell’acqua, del carbonio e dei nutrienti e rendono possibile la vita sulla terra» (Commissione europea, 2021). Sul suolo camminiamo, coltiviamo il cibo, costruiamo le nostre case. Ma il suolo – insieme agli oceani – è anche uno straordinario deposito di carbonio, una sorta di magazzino di CO2 che, quando funziona, impedisce l’ulteriore accumulo di anidride carbonica in atmosfera, evitando così che il riscaldamento globale si aggravi ulteriormente.

Eppure, a partire dalla rivoluzione industriale, metà delle terre coperte da vegetazione è stata trasformata in altro, contribuendo a rilasciare in atmosfera una quantità di carbonio che si aggira tra i 200 e i 260 miliardi di tonnellate, quasi pari alle emissioni generate dall’uso dei combustibili fossili.

Basterebbero questi semplici e incontrovertibili numeri per considerare il suolo un patrimonio mondiale dell’umanità, basterebbe un minimo di buon senso per convincerci di quanto sia necessario preservarlo a ogni costo. Invece, nonostante le continue sollecitazioni della comunità scientifica e le denunce della società civile che da anni si mobilita per proteggere il suolo, si continua a costruire come se la terra fosse un inerte e non uno strumento fondamentale per la mitigazione dei cambiamenti climatici.

Il consumo di suolo riprende a galoppare

L’Italia, naturalmente, non è da meno. Lo conferma il Rapporto sul consumo di suolo pubblicato oggi dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), l’ente pubblico controllato dal ministero della Transizione ecologica. Nelle 450 pagine di studio si analizza lo stato dell’arte nelle città e nelle regioni, evidenziando l’uso che si fa dei suoli e la conseguente evoluzione del territorio. Quello che emerge è un quadro allarmante di un paese in cui il consumo di suolo ha ricominciato a galoppare dopo anni in cui sembrava esserci una leggera flessione. Per dare un numero: già nel rapporto precedente (2019) si denunciava che in Italia venivano persi 55 chilometri di suolo, ovvero una nuova città grande quanto Bologna, fatta di case, chiese, palazzi e strade, costruita in un solo anno.

Nel nuovo rapporto la situazione peggiora drasticamente, sfiorando la cifra record di 70 chilometri quadrati di suolo consumato. Parliamo cioè di 19 ettari al giorno, 2,2 metri quadrati al secondo. «Un ritmo non sostenibile che dipende anche dall’assenza di interventi normativi efficaci in buona parte del paese o dell’attesa della loro attuazione e della definizione di un quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale», denuncia Stefano Laporta, il Presidente di Ispra, nella relazione di accompagnamento al rapporto.

Perché, come sempre accade, maggiore è l’inazione della politica, più alto è il grado di deterioramento dell’ambiente. Ed è proprio la politica il grande assente in questo rapporto. Nelle prime pagine del rapporto curato dal ricercatore Ispra Michele Munafò, si legge che «il governo si è impegnato ad approvare una legge nazionale sul consumo di suolo in conformità agli obiettivi europei, che affermi i principi fondamentali di riuso, rigenerazione urbana e limitazione del consumo dello stesso, sostenendo con misure positive il futuro dell’edilizia e la tutela e la valorizzazione dell’attività agricola». Addirittura, il Pnrr «ha rafforzato ulteriormente questo obiettivo al fine di azzerare il consumo netto entro il 2030, ovvero anticipando di vent’anni il target europeo e allineandosi alla data fissata dall’Agenda globale per lo sviluppo sostenibile».

Il problema però è che, non solo la legge ad hoc non è mai stata approvata (è esattamente da dieci anni che si discute in Parlamento di un atto che contrasti il fenomeno), ma il consumo di suolo ha ripreso e sembra essere inarrestabile. E ora che Draghi si è dimesso e il parlamento è stato sciolto, bisognerà aspettare (e sperare) in quello che verrà.

Una triste classifica

Il rapporto Ispra fornisce i numeri regione per regione, costruendo una graduatoria delle zone più interessate dal fenomeno. Tra il 2006 e il 2021 in Italia sono stati consumati 1.153 km quadrati di suolo naturale o seminaturale a causa dell’espansione urbana e delle sue trasformazioni collaterali, con una media di 77 km quadrati all’anno. In testa alla classifica dell’ultimo anno svettano Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. In termini assoluti, la città metropolitana di Roma si conferma quella con la maggiore superficie consumata al 2021, con oltre 70.100 ettari, anche grazie agli ulteriori 216 ettari dell’ultimo anno, di cui oltre 95 nel territorio comunale della capitale.

Del resto, nell’epoca di Amazon e delle consegne veloci, la logistica ha bisogno dei suoi spazi, sempre di più: 323 ettari nel 2021 sono stati destinati alla realizzazione di nuovi poli logistici, prevalentemente nel nord-est e nel nord-ovest.

Poi c’è un aspetto che è in sé una contraddizione in termini: si consuma suolo per installare pannelli solari, cioè si compromette la capacità di stoccaggio del carbonio per produrre energia pulita, senza prima aver esaurito le soluzioni meno impattanti, come le case o i capannoni: oltre 17.500 ettari di suolo sono occupati da questo tipo di impianti e «gli scenari futuri previsti per la transizione ecologica prevedono un importante aumento nei prossimi anni di questa tipologia di consumo, stimato in oltre 50mila ettari, circa 8 volte il consumo di suolo annuale anche se, sfruttando gli edifici e i fabbricati già esistenti, sarebbe possibile ridurre il consumo della risorsa suolo».

Meno cibo, più emissioni

Stando ai dati diffusi da Ispra, il suolo consumato negli ultimi dieci anni, avrebbe garantito la fornitura complessiva di quattro milioni e 150mila quintali di prodotti agricoli e l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana che ora, scorrendo in superficie, non sono più disponibili per la ricarica delle falde e aggravano la pericolosità idraulica dei nostri territori.

Stesso discorso vale per la capacità di stoccaggio del carbonio che equivale, in termini di emissione di CO2, a quanto emetterebbero più di «un milione di autovetture con una percorrenza media di 11.200 km l’anno tra il 2012 e il 2020: un totale di oltre 90 miliardi di chilometri percorsi, più di due milioni di volte il giro della terra».

Sono dati che fanno riflettere sull’efficacia delle misure intraprese negli ultimi quindici anni ma soprattutto sull’urgenza di un quadro normativo che riesca a porre freno in maniera decisa alla grave e prolungata perdita di suoli fertili e ricchi di biodiversità. Ora che si avvia la campagna elettorale, sarebbe utile sapere chi ha intenzione di impegnarsi su questo fronte.

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