Il virus Covid-19 ha avuto un impatto divaricante sulla ricchezza degli italiani, dice il rapporto Censis 2020 presentato ieri. Ora sembra ovvio e condiviso, ma il rischio è di dimenticarsene in fretta. Oggi il 90,2 per cento degli italiani che ha risposto all’indagine ha dichiarato che «l’emergenza coronavirus e il lockdown hanno danneggiato maggiormente le persone più vulnerabili, ampliando  le disuguaglianze sociali già esistenti». Le indagini statistiche raccolte e incrociate nel rapporto confermano questa consapevolezza: ci sono 600mila poveri in più e per 7,6 milioni di italiani il tenore di vita è peggiorato. 

Il numero di chi è a rischio povertà è cresciuto in un paese in cui la povertà assoluta è raddoppiata nell’ultimo decennio. Le misure messe in campo come reddito e pensione di cittadinanza, dice il rapporto, «hanno avuto difficoltà a raggiungere i poveri veramente poveri, ma hanno piuttosto aiutato persone a rischio di povertà». A fine 2019 in Italia c’era il 7, 7 per cento di persone in povertà assoluta: circa 4 milioni e 500 mila persone. L’anno prima erano 450 mila poveri in più: in mezzo c’è stata l’introduzione di quei sussidi di cui beneficiano 1 milione e 327 mila famiglie.

Con l’epidemia ora c’è mezzo milione di persone in più che vive in una famiglia che percepisce i sussidi: una crescita del 22,8 per cento. Tra questi gli stranieri che sono sottorappresentati rispetto ai bisogni, perchè già fanno fatica a percepire i gli aiuti per problemi di residenza, tra marzo e settembre sono aumentati del 42,7 per cento. A questi vanno aggiunti le quasi 700 mila persone che hanno avuto accesso al reddito di emergenza introdotto col decreto rilancio.

Il rapporto Censis spiega come il primo divario che il virus ha ampliato, marcato, ingigantito è ovviamente quello tra chi ha un reddito garantito e chi no. Ed è anche per questo con tutta probabilità che i più in disaccordo sul fatto che le misure messe in campo per famiglie e aziende possano essre efficaci nel contrastare l'emergenza sanitari sono i titolari d’azienda – il 40,2 per cento è totalmente in disaccordo, ma rispetto a una media comunque molto alta il 28,5 per cento degli italiani crede che gli effetti resteranno. La maggioranza più del 52 per cento è poco d’accordo sull’efficacia. 

Poi a guardare chi sta pagando di più si torna daccapo sull’epidemia che ha colpito i più fragili e in Italia più fragili vuol dire giovani e donne, le due categorie che il mercato del lavoro italiano tratta alle peggiori condizioni. Insieme fanno oltre i due terzi degli impieghi spariti con l’epidemia.

Nel settore alberghiero e della ristorazione i giovanissimi e i giovani tra i 15 e i 34 anni sono più della metà dei 246mila posti persi. Ma anche tra industria, servizi e commercio rappresentano oltre 200 mila posti persi. Le donne poi sono da sempre sotto occupate nel nostro paese: nel secondo trimestre dell’anno tra quelle tra i 25 e i 49 anni il 71,9 per cento aveva un lavoro tra quelle senza figli, mentre solo il 53,4 per cento tra quelle con figli in età pre-scolare. 

Ma se il virus ha agito come un divaricatore, il divario della disuguaglianza si stava già allargando da tempo. Il Censis ricorda che oggi sono poco meno di 41 mila gli italiani che dichiarano un reddito che supera i 300mila euro: lo 0,1 per cento del totale dei dichiaranti che però guadagnano il 2,8 per cento del totale dei redditi. In media le loro entrate sono di poco superiore ai 600 mila euro all'anno. A guardare la divisione per classi di reddito la più popolosa è quella di chi dichiara di guadagnare dai 20 mila ai 26 mila euro: sono oltre sei milioni di persone. La seconda è quella di coloro che, guadagnando tra i 15mila e i 20 mila euro, arrivano appena alla prima aliquota fiscale. Ovviamente per poter mettere in piedi un fisco equo bisognerebbe anche avere una fotografia dei patrimoni.

La pandemia in ogni caso ha cambiato per forza di cose le abitudini in fatto di consumi. La spesa media delle famiglie italiane è attorno ai 2500 euro al mese. Quelle che ne spendono meno di mille sono però, sono 2,4 milioni il 9,5 per cento del totale. Al polo opposto ci sono 79.160 famiglie, lo 0,3 per cento che invece spendono oltre 10mila euro la mese. A livello di spesa loro valgono come 1,3 milioni di quelle che consumano meno. 

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Secondo il Censis con il virus il 49,2 per cento degli intervistati dice di spendere meno per i consumi per paura per il futuro: la percentuale ovviamente varia per classi di reddito, si va dal 60 per cento di chi guadagna fino a 15mila euro al 37 per cento di chi ha oltre 50mila di reddito. Ma invece non c’è quasi differenza nella tendenza al risparmio: due intervistati su tre il 66 per cento ha detto di tenersi pronto a una nuova emergenza mettendo i soldi da parte e non facendo debiti, sono il 65,8 tra chi guadagna meno di 15mila euro e il 67,1 di chi ha un reddito che supera i 50mila euro.

C’è una parte di chi guadagna molto che può permettersi di risparmiare mantenendo i consumi uguali. Ma evitando gli investimenti o i debiti più a lungo termine con conseguenze generali su un’economia che non vede crescita da tempo. 

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