All’inizio degli anni Novanta la disuguaglianza nei redditi disponibili in Italia, misurata con l’indice di Gini, era pari a 0,28 in base ai dati Ocse. Nel 2018 (ultimo anno per il quale si dispone di dati) era pari a 0,33. Cinque punti percentuali in più per questo indice sono molti.

Cioè, come è ben noto, la disuguaglianza dei redditi in Italia è oggi molto più alta rispetto a tre decenni fa. Forse è meno noto che questo peggioramento nella disuguaglianza dei redditi disponibili è di entità assai inferiore a quella che si è verificata nei cosiddetti redditi di mercato, cioè quelli guadagnati nei diversi mercati, rispetto ai quali non si tiene conto delle imposte dirette e di eventuali trasferimenti monetari che affluiscono al nucleo familiare.

L’indice di Gini riferito a questi redditi nel volgere di circa trent’anni è passato da 0,40 a 0,51, raggiungendo uno dei valori più alti tra tutti i paesi avanzati. Dunque nei mercati si è prodotta moltissima disuguaglianza in più che l’azione redistributiva dello stato, almeno quella che si realizza con imposte dirette e trasferimenti alle famiglie, è riuscita in buona misura a contrastare, limitandone l’impatto sui redditi disponibili che sono quelli considerati maggiormente rappresentativi del tenore di vita delle persone (che pure dipende da molto altro, non solo dai redditi).

I tre anelli

Richiamare la diversa dinamica delle due disuguaglianze – peraltro comune a un buon numero di altri paesi – è importante per meglio individuare le cause dei fenomeni in atto e, soprattutto, le politiche in grado di contrastarli.

A questo riguardo è utile concepire i redditi disponibili come l’ultimo dei tre anelli di una catena. Ricordiamo che il reddito disponibile – che va considerato “equivalente”, per tenere conto, mediante apposite scale, delle dimensioni dei nuclei familiari – è dato dalla somma di tutti i redditi di mercato (da lavoro dipendente e autonomo, capitale, rendita), percepiti dai membri del nucleo meno le imposte e più eventuali trasferimenti pubblici.

Il primo anello riguarda i redditi individuali da lavoro. Con riferimento ai redditi annuali, le disuguaglianze dipendono sostanzialmente da tre fattori: se si è o meno occupati nel corso dell’anno; il salario per ora lavorata; i tempi di lavoro, ovvero quante ore si lavora abitualmente a settimana e quante settimane si lavora nel corso di un anno.

Nel corso di questi decenni si sono verificati cambiamenti che hanno inciso su tutti e tre questi fattori e a innescarli sono state soprattutto le misure relative alla contrattazione, la regolazione delle forme di lavoro atipico e altri interventi – legati anche alle politiche macroeconomiche – ben poco attenti alle loro implicazioni per le disuguaglianze.

Il secondo anello è quello dei redditi familiari di mercato. Qui si tiene conto dei redditi di tutti i componenti del nucleo familiare – quelli da lavoro dipendente o autonomo, quelli da rendite immobiliari o finanziarie ecc. – che vanno poi tradotti in redditi “equivalenti”.

In questo anello intervengono altri fattori di disuguaglianza, in particolare: il numero di occupati e di percettori di salari nel nucleo; l’omogamia coniugale, cioè il grado di similitudine nei redditi percepiti dai coniugi; la ricchezza posseduta che incide sulle rendite.

Anche in questo caso le politiche (fatte o mancate) contano. Ad esempio politiche di stimolo della domanda e offerta di lavoro rivolte alla popolazione non occupata o sotto-occupata potrebbero incidere molto sulle disuguaglianze tra nuclei familiari.

Il terzo anello è quello dei redditi familiari disponibili, ai quali si giunge con l’intervento redistributivo dello stato, che si concreta in imposte e trasferimenti pubblici.

Teoricamente, per comparare i livelli di benessere fra le famiglie bisognerebbe tener conto di ogni tipologia di imposta (diretta e indiretta) e di trasferimento (in moneta o in natura).

Per limiti di disponibilità di dati e complessità metodologiche, solitamente si considerano soltanto le imposte personali e i trasferimenti monetari, non tenendo conto dell’effetto che possono avere le imposte indirette e i trasferimenti in natura (ad esempio la sanità pubblica).

Gli effetti distributivi di riforme che spostassero la tassazione dai redditi ai consumi o che accrescessero i trasferimenti monetari tagliando quelli in natura  non sarebbero, quindi, valutabili con gli attuali indicatori.

Il “reddito esteso”

Per tale ragione, alcuni autori, come Atkinson, parlano  della necessità di fare riferimento al “reddito esteso” che aggiunge ai redditi disponibili il valore monetario dei servizi in natura e altre voci di reddito non direttamente monetario (come il vantaggio, in termini di minore spesa, dei proprietari di casa).

In ogni caso, come si è detto, imposte dirette, da un lato, e trasferimenti, dall’altro, hanno contribuito a contenere l’impeto disegualitario manifestatosi nei mercati e ciò nonostante la limitata progressività del sistema fiscale.

Decisivi sono stati, dunque, i trasferimenti tra i quali, però, hanno svolto un ruolo cruciale le pensioni che, più che un trasferimento fra ricchi e poveri, rappresentano uno spostamento di risorse fra fasi di vita dello stesso individuo.

Questo non può non sollevare questioni rispetto all’impatto della redistribuzione sulle quali ritorneremo in un prossimo articolo.

Intanto la morale che si può trarre da tutto questo è relativamente semplice: pensare di contrastare la disuguaglianza con le sole politiche redistributive è largamente illusorio.

Misure pre-distributive

Occorrono misure in grado di limitare la disuguaglianza nei redditi di mercato, che spesso vengono chiamate pre-distributive. Si tratta di politiche in larga misura opposte a quelle che, invece, hanno dato vigore a quella disuguaglianza negli ultimi decenni e che riguardano, ad esempio, la regolazione dei mercati o l’accesso dei singoli a dotazioni (come il capitale umano) che incidono sulle loro prospettive di reddito sul mercato del lavoro.

Si tratta anche di valutare gli effetti pre-distributivi che possono avere specifiche politiche redistributive. Ad esempio le scelte di istruzione o lavorative di chi viene da nuclei meno avvantaggiati – da cui almeno in parte dipenderà il loro reddito da lavoro – possono risentire dei trasferimenti monetari a cui ha accesso la loro famiglia.

Va infine tenuto presente che l’eventuale compensazione con trasferimenti di chi è risultato perdente nei mercati non per suo demerito non è rispettosa della dignità umana nella stessa misura in cui lo sarebbe dare a tutti le stesse opportunità.

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