Cresce la consapevolezza che all’uscita dalla pandemia il mondo dovrà fare i conti con enormi debiti, pubblici e privati. La crisi causata dal Covid-19 li ha aumentati ma erano già rigonfi prima, alimentati da politiche espansive fin da prima della crisi finanziaria del 2008 che fu causata anche dall’eccesso di debiti.

Servirà un misto di: contenimento dei fabbisogni futuri; ristrutturazioni e cancellazioni dei debiti passati; tassazione implicita del valore reale dei debiti con vincoli alla loro commerciabilità e inflazione superiore ai loro tassi di interesse; aumento del risparmio in forma di capitale di rischio; crescita rapida dei Pil sui quali grava l’indebitamento.

È sperabile che capitale di rischio e crescita abbiano il ruolo maggiore. Occorrerà comunque avere idee più chiare su come giudicare non solo la quantità ma anche la qualità dei debiti, essenziale per la loro sostenibilità.

La qualità dei debiti

Che cos’è un debito buono e cos’è un debito cattivo? Tanti anni fa Mario Monti ricordò una “regola aurea” dei debiti pubblici: il finanziamento in debito sia limitato alle spese di investimento, che nell’attivo del settore pubblico formano capitale produttivo a garanzia del debito.

Anche il patto di stabilità che regola le finanze pubbliche dell’Unione europea avrebbe dovuto adottare questa regola d’oro. La quale deve essere però meglio definita, perché i ponti inutili non sono buona contropartita al debito, mentre alcune spese correnti possono risultare altamente produttive, come quelle per la formazione di capitale umano o per la ricerca.

Quando venne la pandemia Mario Draghi raccomandò di accantonare ogni remora nell’aumentare i debiti. In una lettera al Financial Times scrisse che sarebbe stato necessario «un aumento significativo e permanente dei debiti pubblici per assorbire le perdite di reddito e farsi carico di parte dei debiti privati».

Ma cinque mesi dopo, in un discorso al meeting di Rimini, fu lui a battezzare la distinzione fra debito buono e cattivo: è buono se finanzia spese produttive che garantiscono la sua sostenibilità, indipendentemente dal fatto che siano classificate come spese correnti o in conto capitale.

Il governo Draghi ha poi fatto molti nuovi debiti, considerandoli buoni perché necessari alla ripresa dalla crisi pandemica. Stanno per aggiungersi quelli generati dai finanziamenti europei, la cui “bontà” è meglio precisata dalla finalizzazione delle spese alla strategia del Next Generation Eu, comprensiva delle necessarie riforme strutturali.

Le regole giuste

Nel complesso il concetto intuitivo della “bontà” del debito sembra richiedere di essere meglio specificato, soprattutto quando non si tratterà più di salvare il paese dai danni del Covid-19. La questione non riguarda solo i debiti pubblici.

Circa quelli privati, è stato sempre Draghi, in un rapporto del Gruppo dei trenta dello scorso dicembre, a pronunciarsi in modo più severo e selettivo, raccomandando «un certo ammontare di distruzione creatrice che sacrifica alcune imprese mentre ne nascono altre. Non tutte quelle in difficoltà devono ricevere supporto pubblico, sciupando risorse con chi è destinato al fallimento o regalandole senza motivo a chi ne può fare a meno».

Qual è dunque il significato operativo di debito “buono”? Mario Monti dice che l’aggettivazione etica si presta a manipolazioni, ma la regola tecnica che promuove le spese di investimento è imperfetta.

Il segreto dei prossimi tempi sarà individuare regole giuste, sia per la finanza pubblica che per quella privata, sia per i debiti in essere, per decidere quali aiutare e garantire e quali lasciar cadere, che per i nuovi deficit, per decidere quali permettere e agevolare. In parte le autorità dovranno assumersi la responsabilità di criteri politici.

Ma dovranno essere d’aiuto i giudizi del mercato, tramite i tassi di interesse chiesti dai creditori e le valutazioni degli intermediari finanziari.

Perché riprenda a funzionare la disciplina dei debiti da parte dei mercati si dovrà però attendere che le politiche monetarie ridiventino normali e consentano ai tassi di salire, differenziarsi a seconda dei rischi e fungere da incentivi per una migliore allocazione delle risorse.

Perché emergano debiti buoni

Poiché il problema va dalla microeconomia nazionale alla macroeconomia globale, sarà utile una larga condivisione di alcuni criteri, anche a livello internazionale. Negli attuali lavori del G20, ad esempio, non mancano idee per tentare di associare alla ristrutturazione dei debiti dei paesi più poveri e in difficoltà la canalizzazione di fondi verso impieghi la cui “bontà” giunga a rispondere a criteri ecologici i quali, del resto, sono fra i principali utilizzati dall’Unione europea per finanziare i piani di ripresa dei paesi membri.

La sostenibilità finanziaria è dunque legata anche a quella più generale della crescita economica. Non basta che in contropartita vi siano impianti che producono beni vendibili in modo profittevole. È difficile liberare la bontà del debito da una caratterizzazione anche politica, capace di contemplare il benessere pubblico di lungo periodo.

Qualunque politica, macro o microeconomica, di trattamento di debiti in essere e regolazione di nuovi deficit, dovrebbe inoltre accompagnarsi a due interventi indispensabili per far emergere debiti “buoni”.

Innanzitutto efficaci politiche che sostituiscano debiti con capitali di rischio, compresa la rimozione degli attuali vantaggi fiscali del finanziamento in debito. La ricapitalizzazione dei settori privati delle economie aiuterebbe anche nel contenimento dei debiti pubblici che spesso si formano per sostenere operatori sottocapitalizzati.

In secondo luogo occorre affrettarsi a migliorare dappertutto (dai piccoli debiti bancari locali ai grandi debiti sovrani internazionali) le procedure per la ristrutturazione ordinata e trasparente dei debiti insostenibili, per ridurre l’incentivo a salvarli anche se non sono buoni.

Vanno diminuiti timori ed esitazioni nell’affrontare tempestivamente l’insostenibilità di posizioni finanziarie pubbliche e private. È ipocrita esigere che i nuovi debiti siano buoni se si mantengono troppo in vita quelli manifestamente cattivi.

Redistribuzione

C’è infine un criterio importante per decidere la bontà dei debiti pubblici fatti per aiutare i privati, per sostenere imprese, famiglie, individui o categorie (come “i giovani”) e riparare chi è colpito da shock come la pandemia.

Vanno confrontati con l’alternativa di misure redistributive, tramite tasse e trasferimenti.

Soprattutto quando la distribuzione del reddito e della ricchezza è molto disuguale, diventa difficile chiamare “buoni” i debiti che potrebbero essere evitati tassando i privilegiati, fra i quali vi è spesso anche chi dagli shock è stato colpito meno o, addirittura, è stato favorito.

 

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