Sui social la reputazione e il rapporto con gli utenti sono tutto, e talvolta il loro valore si può anche misurare in euro. Anzi, in milioni di euro. Per questo è così interessante il caso di Estetista Cinica, a cui ieri abbiamo dedicato un articolo che ha generato molte reazioni sui social e una serie di precisazioni da parte dell’interessata, cioè l’imprenditrice Cristina Fogazzi. Vale quindi la pena tornarci per spiegare in modo un po’ più dettagliato di cosa si tratta e perché è importante.

Premessa: Cristina Fogazzi non è la tipica influencer che ottiene un po’ di celebrità social e poi cerca di monetizzarla con quale attività di product placement, cioè con storie e post dedicati a sponsorizzare prodotti altrui. Èuna imprenditrice vera che, con talento molto bresciano, ha costruito un impero della cosmesi con il marchio Estetista cinica e Vera Lab.

Vende prodotti per una bellezza più pragmatica di quella da riviste patinate a “fagiane”, come lei chiama il suo pubblico, che con lei hanno un rapporto di piena fiducia e sintonia. Per questo pagano prezzi non simbolici per i prodotti a marchio Vera Lab che permettono a Fogazzi di fatturare 50 milioni di euro all’anno (nell’ultimo bilancio disponibile, quello 2020, il successivo si immagina sia ancora maggiore) e un utile di 11 milioni.

Sono numeri che mettono Fogazzi nella categoria dei medi imprenditori italiani, fattura più di tutte le influencer che vendono soltanto la propria immagine.

Nel mondo dell’impresa tradizionale, depurato dal livello emotivo dei social, una vicenda come quella dei “punti fagiana” di cui si discute in questi giorni non sarebbe mai potuta succedere, con passività di milioni di euro create per errore, poi cancellate con una mail, mentre ad alcuni vengono concessi sconti per centinaia di migliaia di euro non dovuti e altri clienti, meno rapidi a spendere i punti gonfiati per errore, si dovranno accontentare di somme inferiori.

Questione di fedeltà

Prima di ricostruire la vicenda, chiariamo un punto, per rispondere a molti sui social che dicono “ma che vi frega, saranno affari loro”. I programmi fedeltà delle grandi aziende sono una cosa delicata, perché stabiliscono un’appendice del rapporto contrattuale che si genera al momento dell’acquisto: sono dei patti che l’azienda contrae con il cliente, tu oggi compri una cosa in cambio di un certo prezzo e ottieni il prodotto ma anche il diritto ad avere in futuro qualcos’altro (un gadget, uno sconto, la possibilità di concorrere a un’estrazione…). Il programma fedeltà della vecchia Alitalia, per dire, a fine dicembre aveva 6,2 milioni di membri e un valore stimato di 50 milioni di euro.

Cambiare a posteriori le condizioni del programma fedeltà significa riscrivere in modo unilaterale il contratto di vendita, cioè modificare a cose fatte le regole della relazione con il cliente. Una cosa che di solito irrita parecchio i consumatori, che si rivolgono spesso all’autorità Antitrust in cerca di tutela. Nel caso dell’Estetista cinica non succede per il rapporto solidissimo costruito con le “fagiane” che, anzi, se la prendono con chi parla del caso.

La versione dell’Estetista

Vediamo allora la dinamica della vicenda per come l’ha ricostruita Estetista cinica nella versione che ci ha fatto pervenire. Per alcuni anni, il marchio Vera Lab ha un programma fedeltà che consente alle clienti di accumulare “punti fagiana” con cui ottenere piccoli omaggi come l’accappatoio di Estetista cinica o il borsone per la palestra con la scritta “cellulite”. Un punto ogni 10 euro di spesa. I costi sono ben poca roba, si tratta di oggetti assai economici, quasi simbolici.

L’azienda perde il controllo del programma una prima volta: il successo è tale che non riesce a gestire la richiesta di premi, non sa dove stoccarli in magazzino, visto che deve importarli dalla Cina e poi accumularli da qualche parte in attesa di spedirli.  

E già qui c’è il primo punto delicato di questa storia: poiché non riesce a gestire la situazione o teme di affrontare costi troppo alti (la logistica è particolarmente costosa, in questo momento), Estetista cinica decide di cambiare unilateralmente le condizioni del programma fedeltà.

Scelta discutibile, perché chi aveva comprato i prodotti e voleva davvero quei gadget non potrà averli, o almeno non tutti. Ma il cambio sembra vantaggioso, invece di offrire soltanto gadget di importazione cinese, Cristina Fogazzi offre anche soldi, o meglio, sconti da spendere in acquisti sul sito.

Cos’è uno sconto

Parentesi contabile: un buono sconto in mano a un cliente è qualcosa di simile a un credito per lui e a un debito per l’azienda, nel senso che se il cliente si presenta con un buono da 10 euro per comprare un prodotto da 100 euro, l’azienda si troverà ad avere in cassa 90 euro di ricavi invece di 100. A un certo punto, insomma, i buoni che sono soldi virtuali diventano soldi veri.

Qui Estetista cinica fa il secondo errore di questa storia. Se stiamo alla sua versione si tratta di un errore materiale, cioè di digitazione, e non di un errore di stima.

Stabilisce un tasso di cambio tra buoni fagiana e sconti troppo elevato: «La valorizzazione dei punti doveva essere a 5 centesimi» e invece viene fatta a 50 centesimi.

Anche ammesso che si tratti davvero di un errore soltanto di digitazione e non di calcolo, le “fagiane” si trovano ad avere diritto a sconti pari a dieci volte quelli che l’azienda considererà poi sostenibili, ma tale diritto matura a fronte dell’incapacità dell’azienda stessa di rispettare le condizioni pattuite sui gadget omaggio.

E’ una specie di risarcimento unilaterale. Le “fagiane” non hanno chiesto nulla, è Vera Lab che decide il cambio da gadget a sconti e fissa il tasso di conversione per punti che, secondo i dati forniti dall’azienda, sono pari a 10 milioni.

Con la valorizzazione a 5 centesimi, Estetista Cinica avrebbe dovuto mettere in conto minori ricavi, per 500.000 euro (nell’ipotesi che tutti gli sconti venissero effettivamente usati, ipotesi assai remota).

Con la valorizzazione a 50 centesimi, invece, i mancati ricavi potenziali massimi invece erano ben cinque milioni di euro. Tanti soldi, anche se non così tanti da mettere a rischio la tenuta dell’azienda, come ha detto Cristina Fogazzi in una storia su Instagram: anche se avesse avuto cinque milioni di ricavi in meno nel 2022, Estetista Cinica avrebbe comunque fatturato probabilmente oltre dieci milioni in più che nel 2020 (quando il suo utile netto era di 11 milioni di euro).

In ogni caso, nessun programma fedeltà di questo tipo vede gli utenti usare tutto lo sconto disponibile. Una stima realistica – prendendo per buoni i numeri di partenza forniti da Fogazzi – è che intorno al 40 per cento delle aventi diritto avrebbe riscattato i buoni, con mancati ricavi per circa 2 milioni di euro. Se invece la grande partecipazione alla comunità delle “fagiane” avesse deterinato un’adesione molto maggiore, allora anche i costi sarebbero saliti fino ad arrivare più vicini a quei cinque milioni potenziali. 

In assenza di una revisione delle regole del programma fedeltà, i costi avrebbero continuato a gonfiarsi fino alla scadenza della promozione, tra oltre un anno. 

Ricapitolando, Estetista cinica fa tutto da sola e crea dal niente un potenziale buco di ricavi di cinque milioni di euro al posto delle poche decine di migliaia di costi che, realisticamente, comportavano le tazze e gli accappatoi omaggio.

Le poche fortunate

Arriva il terzo problema di questo “merdone”, come lo chiama Cristina Fogazzi. Alcune “fagiane” cominciano a usare lo sconto monetario che si sono viste accreditate: secondo i numeri forniti da Fogazzi, soltanto a gennaio vengono riscattati sconti per 470.000 euro da alcune “fagiane” più svelte delle altre che spendono il loro tesoretto in acquisti sul sito. Sarebbe quindi circa un dieci per cento del totale di quei cinque milioni di costi potenziali. Si tratta di soldi virtuali per le clienti, ma di mancati ricavi concreti per l’azienda. E Fogazzi si inizia a preoccupare.

Allora ecco il quarto problema, Estetista cinica cambia ancora le regole del programma fedeltà, come poi deve spiegare via newsletter a tutta la sua comunità: i punti non vengono più valorizzati a 5 centesimi, come doveva essere nelle intenzioni, e neppure a 50, come era stato comunicato. La nuova valorizzazione è a 10 centesimi, quindi il doppio della valorizzazione teorica mai applicata e un quinto di quella effettiva.

Facciamo due conti: ai 5 milioni di mancati ricavi potenziali dovuti alla valorizzazione sbagliata vanno sottratti i 470.000 euro già “esercitati” a gennaio, restano sconti esercitabili per 4.530.000 euro. Con una semplice mail, Fogazzi cancella oltre tre milioni di costi potenziali, il “valore” degli sconti esercitabili scende a 906.000 euro. Solo per i punti accumulati al momento, senza contare quelli che si sarebbero accumulati in seguito. 

Ora, niente di tutto questo ha impatto sui bilanci già depositati, che riguardano gli anni precedenti in cui questi costi non erano contabilizzati perché il programma funzionava diversamente, quindi Cristina Fogazzi non sta riscrivendo i bilanci.

Ma l’impatto è comunque concreto, nel senso che con qualche clic e una mail e una manciata di stories ha prima creato costi potenziali per quattro milioni, poi li ha fatti sparire, poi ha comunque triplicato il costo iniziale del programma fedeltà (che passa dai 500.000 euro stimati a 1,4 milioni, se sommiamo i 470.000 euro di sconti esercitati a gennaio e i 906.000 potenziali ancora esercitabili).

Peraltro, questo enorme casino è almeno in parte ingiustificato: se le “fagiane” avessero esercitato solo in parte gli sconti concessi, anche con la “valorizzazione” esagerata il conto finale sarebbe stato comunque analogo o più basso a quello che sarà ora, ma senza alcun danno reputazionale (di cui ora è difficile stimare l’entità, ma certo non sarà zero). 

Fogazzi non licenzia Fogazzi

Se qualunque altro manager avesse fatto un simile pasticcio, sarebbe stato sicuramente richiamato dal consiglio di amministrazione e forse licenziato. Ma Vera Lab e Re-Forme, insomma tutto l’impero di Estetista cinica, è sostanzialmente un’azienda familiare, quindi Cristina Fogazzi risponde a se stessa e non ad altri azionisti esigenti che si aspettano una gestione ordinata e precisa.

La cosa più interessante di questa storia è il rapporto che si crea tra un’influencer (sia pure un’influencer imprenditrice) e il suo pubblico di follower-clienti: Cristina Fogazzi è stata così brava a costruire la sua comunità che la segue e la stima da anni che anche di fronte a questo “merdone”, per usare la sua definizione tecnica, le “fagiane” la difendono e si schierano a falange a sua tutela, con campagne ostili nei confronti di chi, come Domani, racconta il caso segnalandone le criticità.

Indignate per un titolo sgradito (abbiamo parlato di fagiane “spennate”, visto che alcune di loro si sono trovate prima beneficiarie e poi private di sconti equivalenti a oltre 3,5 milioni di euro…) hanno invitato a non seguire più la pagina Instagram di Domani che, al confronto della potenza social di Estetista cinica con i suoi 930.000 follower, è ben poca cosa (e i nostri abbonati si incazzano per molto meno se c’è qualche problema con i prezzi degli abbonamenti).

Morale: Estetista cinica ha costruito un brand fortissimo, che le permette di vendere prodotti ad alta marginalità (cioè con prezzi molto più alti dei costi di produzione) e di passare quasi indenne anche attraverso a un simile pasticcio.

Quando un marchio è così forte, pratica prezzi coerenti, che infatti generano utili milionari. Ma le “fagiane” sono ben contente di lasciare qualche penna sui conti correnti di Vera Lab: è la forza dell’appartenenza alla comunità. Una comunità fondata sulla fiducia che questa volta Estetista cinica è andata molto vicina a incrinare.

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