Nella mattina di oggi, lunedì 5 settembre, la borse europee hanno aperto la settimana con un dato negativo che conferma il trend di indebolimento dell’euro. Il cambio con il dollaro, che già durante i mesi estivi aveva raggiunto la parità, è sceso ancora raggiungendo il livello più basso degli ultimi vent’anni. L’agenzia di stampa Bloomberg, tra le più affidabili in tema di analisi finanziarie, a luglio diceva che 1 euro sarebbe presto arrivato a valere 1 dollaro e che questo, con una probabilità del 60%, sarebbe accaduto entro la fine del 2022. La crisi è stata invece più marcata e ben più rapida e i principali responsabili sono il conflitto ucraino e le mosse politiche della Russia.

Fattori di crisi

La recente decisione del colosso del gas russo Gazprom, da mesi paventata dall’Europa, di chiudere definitivamente i rubinetti del gasdotto Nord Stream I accelera una crisi già in stato avanzato. Lo scenario impone alle industrie politiche di razionamento e dunque contrazione della crescita.

Il rincaro delle materie prime e in particolare delle materie energetiche accresce il timore degli investitori per il futuro prossimo dell’economia nell’Unione. Questo ha come effetto sul mercato l’aumento della domanda di beni rifugio, di cui gli Stati Uniti sono storicamente provvisti, dall’oro ai buoni del Tesoro emessi dal governo federale.  

A generare incertezza e sfiducia c’è il rischio, più concreto per alcuni, meno per altri (in primis le istituzioni europee) di andare incontro a una stagflazione. Cioè a un’inflazione dei prezzi al consumo – che sono già ai massimi storici – combinata con una stagnazione della crescita economica o, peggio, con una decrescita.

Differenze tra Ue e Usa

E in Europa il rischio di recessione viene giudicato dai mercati più imminente di quanto non lo sia negli Stati Uniti, dove la Federal Reserve, la banca centrale americana, può muoversi più liberamente. Se infatti nei paesi europei la crescita dei prezzi è trainata dalla crisi del gas, oltreoceano la questione energetica non genera problemi.

I livelli record di inflazione – da mesi stabilmente sopra l’8 per cento – sono causati dal surriscaldamento dell’economia e dall’aumento dei consumi, dunque da elementi di crescita. Questo permette alla Fed di rialzare con una certa rapidità i tassi di interesse, dopo averli portati vicino allo zero nella prima fase di ripresa dalla pandemia. 

Diminuendo la quantità di denaro circolante, anche gli Usa andranno necessariamente incontro a una fase di rallentamento dell’economia, ma secondo i mercati questo accadrà più avanti. È la differenza di tempi tra le due recessioni che, per effetto delle scelte degli investitori, porta l’euro a indebolirsi e il dollaro a rinforzarsi.

Attesa la Bce

La Bce deve fare i conti con il pericolo di una recessione, reso via via più concreto dall’accentuarsi della crisi energetica e geopolitica e dall’inverno in arrivo. È per questa ragione che, se da un lato la lotta all’inflazione rende necessario un aumento dei tassi e una stretta alla circolazione di moneta, dall’altro il rapido aumento del costo del denaro può mettere in difficoltà soprattutto i paesi col debito pubblico più alto, come l’Italia.

Con queste premesse l’organo presieduto da Christine Lagarde si riunirà il 7 e l’8 settembre a Francoforte, sotto osservazione di governi e mercati.

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