Dopo 8 ore di trattative tra governo, Regione e enti locali, rinviata a martedì 15 la Conferenza dei servizi a cui parteciperanno anche i sindacati. Gli uffici del Mimit sono al lavoro su due bozze di accordo di programma che prevedono entrambe la decarbonizzazione. Ma mentre la trattativa con gli azeri è in stallo, il ministro esclude un intervento massiccio del pubblico come chiesto dai rappresentanti dei lavoratori
La vicenda dell’ex Ilva di Taranto è ancora senza soluzione, ma da più parti si parla di «incontro positivo». Martedì 8 luglio si è tenuta al ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit) una riunione cruciale sull’Accordo di programma per il futuro dello stabilimento siderurgico, presieduta dal ministro Adolfo Urso. L’incontro, che ha visto la partecipazione di enti locali, Regione Puglia e rappresentanti istituzionali, ha portato al rinvio della Conferenza dei servizi, inizialmente prevista per mercoledì 9, a martedì 15 luglio. Una decisione motivata dalla necessità di trovare un’intesa tra governo ed enti locali sulla decarbonizzazione. ll confronto, durato otto ore, è stato definito da Urso «una giornata importante, decisiva, storica per Taranto, per la siderurgia italiana, per la politica industriale nel nostro Paese». Ma le distanze tra le parti restano significative.
Lo scontro sull’autorizzazione
La nuova Autorizzazione integrata ambientale (Aia) rappresenta il nodo centrale della vertenza. La Regione Puglia, guidata da Emiliano, ha espresso forti riserve sulla bozza di Accordo di programma proposta dal governo, che prevede la sostituzione dei tre altiforni a carbone con forni elettrici e impianti di preriduzione del ferro (Dri), ma con un orizzonte temporale giudicato troppo lungo, fino al 2039.
Emiliano ha sottolineato che «un approccio più razionale, con obiettivi produttivi meno ambiziosi, permetterebbe di completare la decarbonizzazione entro sei anni». La Regione e gli enti locali chiedono garanzie su salute, ambiente e occupazione, opponendosi a progetti come la nave rigassificatrice nel porto di Taranto, considerata un rischio per l’ecosistema locale, ma Emiliano ha voluto precisare che «nessuno vuole la chiusura della fabbrica».
Il sindaco di Taranto, Piero Bitetti, ha accolto con favore il rinvio: «Il prossimo incontro si terrà alla presenza dei sindacati, che riteniamo un pezzo indispensabile del tavolo, e saranno inviate dal ministero due bozze di Accordo di programma che insieme ai nostri uffici tecnici valuteremo nei dettagli». Bitetti ha anche escluso la possibilità di collocare la nave rigassificatrice nel porto di Taranto, proponendo soluzioni alternative come il posizionamento al largo, sul modello di Ravenna.
La crisi produttiva
Sul fronte produttivo, la situazione dell’ex Ilva resta drammatica. Dopo l’incendio del 7 maggio che ha danneggiato l’Altoforno 1, posto sotto sequestro dalla procura di Taranto, anche l’unico altoforno operativo, l’Afo 4, è stato fermato per manutenzione programmata dal 7 al 10 luglio. La produzione di acciaio è inevitabilmente crollata, con stime che prevedono meno di 2 milioni di tonnellate nel 2025, contro l’obiettivo di 6 milioni indicato nell’Accordo di programma.
Le trattative con Baku Steel, il potenziale investitore azero considerato in pole position per rilevare lo stabilimento, appaiono in stallo. Nonostante i commissari di Acciaierie d’Italia abbiano smentito un disimpegno totale, le incertezze sull’Aia e sull’Accordo di programma rendono difficile un’intesa, e secondo fonti locali il governo starebbe valutando un piano alternativo per spostare parte della produzione, in particolare l’impianto Dri, a Genova, ridimensionando drasticamente il ruolo di Taranto. Una prospettiva che ha scatenato l’allarme tra i lavoratori e le associazioni locali, che temono la desertificazione industriale della città.
I sindacati: «Nazionalizzazione unica via»
I sindacati, esclusi dalla firma dell’Accordo di programma, hanno ribadito con forza la necessità di garantire continuità produttiva e occupazionale. Durante l’incontro di lunedì al Mimit, Fim, Fiom e Uilm hanno denunciato l’insufficienza dei 200 milioni di euro stanziati nell’ultimo decreto per la manutenzione degli impianti e il rilancio produttivo. Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia per Fiom-Cgil, ha dichiarato: «È necessario uscire dall’amministrazione straordinaria passando a un’azienda a capitale pubblico o partecipata. Qualsiasi decisione non può mettere in discussione la continuità produttiva necessaria a garantire la decarbonizzazione e la tutela occupazionale».
Ma la richiesta di nazionalizzazione, sostenuta anche da parti dell’opposizione, si scontra con le posizioni del ministro Urso, che ha richiamato l’articolo 43 della Costituzione per sottolineare i limiti legali a un esproprio, sostenendo che l’Ilva non rientra tra le categorie di imprese nazionalizzabili.
Futuro in bilico
La vertenza Ilva si gioca su un delicato equilibrio tra esigenze ambientali, occupazionali e strategiche. Il sindaco Bitetti ha sottolineato la necessità di un «ragionamento serio» che non scarichi le responsabilità sul territorio, mentre Carlo Calenda, leader di Azione ed ex ministro dello Sviluppo economico, ha accusato il governo e gli enti locali di una «sceneggiata» che rischia di portare alla chiusura dello stabilimento, proponendo di dichiarare le opere funzionali all’Ilva di interesse nazionale per bypassare i veti locali.
Urso, dal canto suo, ha incalzato Taranto a prendere una decisione chiara: «Non possiamo legare il destino della siderurgia italiana alle non decisioni di altri». Il rinvio al 15 luglio della Conferenza dei Servizi offre una finestra per trovare un’intesa.
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