Mentre in Italia la legge di Bilancio apre le porte alla quinta rottamazione delle cartelle, quella che doveva essere una tassa sugli extraprofitti è diventata – di nuovo – un contributo volontario, e mancano i fondi per i servizi essenziali come scuola e sanità, è necessario interrogarsi su chi debba sostenere il futuro del welfare sociale.

Ci hanno provato in Francia, dove è stata proposta una tassa del 2 per cento annuo sui patrimoni superiori ai 100 milioni di euro. La proposta, avanzata in Assemblea dai socialisti, è stata bocciata sabato primo novembre 2025.

L’idea nasceva da una ricerca commissionata dal Brasile allora alla guida del G20 all’EU Tax Observatory – l’osservatorio dedicato alla tassazione dell’Università di Parigi – e all’economista che lo dirige Gabriel Zucman, per trovare nuove proposte di tassazione per i grandi patrimoni. La ricerca ha evidenziato come le fasce più ricche della popolazione paghino, in proporzione, meno tasse rispetto a quelle a basso reddito.

Come spiega Giulia Varaschin, policy advisor dell’osservatorio, prima della bocciatura in aula: «Analizzando i dati a partire dalla crisi dei mutui subprime del 2008, l’aumento vertiginoso degli utili prodotti ma non distribuiti, dei redditi da capitale provenienti dalle società e dei generosi bonus aziendali ha spinto sempre più ricchezza nelle mani della classe più agiata della popolazione». 

L’introduzione di un’imposta patrimoniale per il 5 per cento più ricco della popolazione sarebbe in grado di cancellare la regressività del sistema fiscale internazionale, restituendo un minimo di giustizia e di progressività all’interno dell’erario.

Un gap che va colmato, ma non attraverso una patrimoniale, giusto?
Esatto, perché si tratta semplicemente di stabilire un livello minimo di contribuzione. Non è una manovra progressiva, né mira a tassare di più la parte più ricca della popolazione: si tratta semplicemente di farla pagare il dovuto, poiché rappresenta la fascia meno tassata in assoluto. Nel 1996, le 500 famiglie più ricche di Francia possedevano una ricchezza pari al 6% del PIL; nel 2024, questa quota è salita al 42%.

La proposta si distingue dalle patrimoniali tradizionali perché fissa una soglia molto alta: riguarda solo chi possiede più di 100 milioni di euro. Questo serve a evitare problemi di liquidità per le piccole e medie imprese, nonché le esenzioni che spesso diventano scappatoie per non pagare. In passato, infatti, molte patrimoniali non riuscivano a colpire i miliardari proprio a causa delle eccezioni.

E si tratta di un fenomeno in ascesa?

Le persone più facoltose, negli ultimi decenni, hanno sottofinanziato il bene pubblico, pur beneficiandone ampiamente. Quando si parla di imposte sui grandi patrimoni, si fa riferimento allo 0,1% della popolazione, cioè circa 50.000 persone. Paradossalmente, chi appartiene a questa fascia — sopra i 100 milioni di euro — non solo paga meno tasse in termini proporzionali, ma in alcuni casi quasi non le paga affatto.
In Francia, ad esempio, la parte più ricca versa circa la metà delle imposte rispetto al resto della popolazione: mediamente il 23-24% contro il 50% delle altre fasce di reddito.

E l’Italia?

Per quanto riguarda l’Italia, i dati sono stati elaborati anche da ricercatori italiani, in particolare della Scuola Superiore Sant’Anna, come Elisa Palagi e Demetrio Panagia. Il loro lavoro ha mostrato come, per il 5 per cento più ricco dei contribuenti, il nostro sistema preveda addirittura un’imposta regressiva: un paradosso che consente a chi possiede di più di versare all’erario meno di chi dispone di molto meno.

Inoltre, è stato evidenziato come lo 0,1 per cento più ricco della popolazione debba gran parte della propria fortuna non al merito, ma alle eredità: in Italia, l’1 per cento degli eredi più facoltosi controlla il 20 per cento dei trasferimenti di ricchezza. Mentre la tassa di successione, ferma al 4 per cento, è tra le più basse d’Europa.

I più colpiti da questa dinamica sono stati i giovani. Tra il 2004 e il 2015, i ragazzi provenienti da famiglie a basso reddito hanno visto il proprio reddito reale quasi dimezzarsi: da 8.000 euro annui nel 2004 a soli 4.500 nel 2015. Una perdita del 42 per cento che racconta, più di ogni statistica, l’erosione delle opportunità e la crescente distanza tra chi eredita e chi prova a costruire da sé il proprio futuro.

Prima, però, abbiamo parlato di eccezioni: l’esilio fiscale è davvero un problema?

Gli studi sono unanimi: l’esilio fiscale esiste, ma ha un impatto molto marginale sull’economia. L’ultimo studio, pubblicato recentemente dal Consiglio di analisi economica francese (un organismo collegato all’Ufficio del primo ministro), conferma i risultati precedenti: una tassa dell’1% sui grandi patrimoni comporterebbe un tasso di esilio compreso tra lo 0,03% e lo 0,003% dei contribuenti interessati, con un impatto macroeconomico minimo.

Questo fenomeno globale è ciò che comunemente si definisce race to the bottom: la corsa al ribasso nella tassazione per attirare capitali, che nel lungo periodo erode le risorse fiscali degli Stati. La proposta del 2% mira a mettere un limite proprio a questa corsa, stabilendo una base sotto la quale non si può scendere.

Inoltre, per evitare la cosiddetta “fuga di capitali”, la proposta include una clausola che prevede la continuazione della tassazione per alcuni anni anche in caso di trasferimento all’estero, proprio per disincentivare l’elusione.

Oggi, tuttavia, esistono strumenti più efficaci per individuare e tassare correttamente questi patrimoni, grazie allo scambio di informazioni tra banche di diversi Paesi. Anche se parte della ricchezza è detenuta all’estero, è più facile rintracciarla.

L’Assemblea nazionale ha comunque bocciato la proposta.

Anche se non è passata a questo voto, la proposta tornerà nelle prossime discussioni parlamentari. È successo già in passato che ci volesse del tempo, l'imposta progressiva sul reddito in Francia ci ha messo quasi cinque anni anni prima di venire approvata. Quello che posso dire è che la questione della tassazione degli ultra ricchi è popolare tra i votanti di tutti partiti (con un approval rate media dell'85% secondo gli ultimi sondaggi), quindi diventerà sempre più politicamente complicato per i rappresentanti politici non supportare questo genere di soluzioni.

© Riproduzione riservata