L’incognita dazi pesa sulla frutta. I mancati guadagni Usa ricadranno sull’Europa

Cibo è il nostro inserto mensile che racconta il mondo attraverso ciò che mangiamo. Esce l’ultimo sabato di ogni mese sulla app di Domani e in edicola. In ogni numero svisceriamo un tema diverso con articoli, approfondimenti e commenti: il tema del numero di questo mese è la frutta che diventa un lusso. Qui troverete man mano tutti gli altri articoli di questo numero. In questa pagina, invece, tutti gli altri articoli di Cibo, che è anche una newsletter gratuita. Ci si iscrive a questo link. Esotici, rari, costosi. Che si tratti di pere «Buddha-Shaped», melone «Yubari King» o anguria quadrata giapponese, quando la frutta è un lusso di solito questa natura preziosa si traduce in prezzi inaccessibili a molti. Un problema di prezzo facilmente aggirabile scegliendo prodotti più comuni, anche se questo escamotage rischia di divenire meno scontato del solito. Laddove per scontato si intende per l’appunto la questione dello scontrino. Le tensioni commerciali tra Unione europea e Stati Uniti possono abbattersi sul consumatore, comunque vada. Il braccio di ferro sui dazi ha il potenziale effetto di rendere la frutta tutta un bene se non di lusso comunque più costoso. Molto dipenderà dai negoziati in corso, e dalle intese che le due parti hanno annunciato di voler trovare su tutta una serie di beni da esentare, ma lo scenario, va nel senso di rincari poiché l’agrifood è settore sensibile per entrambe le parti e sconti qui sembrano difficili. La febbre dell'oro tagiko, il potere delle albicocche Compensare Dal 7 agosto, ai sensi dell’accordo raggiunto a fine luglio, per l’export di prodotti agricoli europei la situazione è la seguente: aliquota del 15 per cento applicata sul prezzo di vendita. In senso pratico vuol dire che di fronte ai rincari fornitori e rivenditori americani devono pagare di più, scaricando i rincari sul consumatore finale. Un aumento del prezzo può scoraggiare gli acquisti, e quindi la domanda, e quindi le esportazioni europee. Le minori esportazioni oltre Atlantico, se non bilanciate da un incremento dell’export verso altri paesi terzi, costringerebbe i produttori ad aumentare i prezzi sui propri mercati nazionali di attività per compensare le perdite. Kiwi, mele e pere potrebbero diventare care. Perché nonostante gli Stati Uniti siano grandi produttori ed esportatori di frutta, si registra un aumento delle importazioni di frutta europea, in particolare proprio mele, pere e kiwi. Nulla dovrebbe cambiare invece per il «made in Usa» venduto in Europa e in Italia, visto che i dazi del 15 per cento non sono reciproci bensì unidirezionali. La frutta in arrivo dall’altra parte dell’Atlantico, in sostanza, ai sensi dell’accordo non avrà aumenti significativi. «Dazi, l’accordo con Trump va cambiato»: gli eurodeputati contro von der Leyen Rischio rimbalzo Difficile fare stime, e al momento non ve ne sono. Per capire però le implicazioni di sovra-costi al prezzo di vendita ai rivenditori basta guardare il volume d’affari. Le ultime prospettive commerciali del Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti (Usda) indicano un aumento del 6 per cento delle importazioni agro-alimentari dell’Ue nell’anno fiscale 2025, raggiungendo i 37,3 miliardi di dollari (35,355 miliardi di euro). Cifre diramate a febbraio, però, prima dei dazi. Come cambieranno i flussi di scambi è tutto da vedere. Dipenderà dunque dal cambio di domanda a stelle e strisce: più i dazi fermeranno le vendite europee, più ci saranno mele, pere e kiwi da dover vendere sui mercati interni dell’Europa, a prezzi maggiorati così da rientrare dei mancati introiti. «È un’ipotesi, non ne abbiamo certezza», precisa Altroconsumo. Sì, ammette l’associazione dei consumatori, «le imprese nostrane potrebbero aumentare i prezzi in Italia», e in quel caso bisognerà vedere di quanto, e non è escluso di quel 15 per cento oggetto dell’intesa. Salvo che nel frattempo le due parti non decidano diversamente: Ue e Usa stanno lavorando a una lista di prodotti da scambiare a dazio zero. Meloni, manghi e uva pagati a peso d’oro: il caso giapponese e noi Lucky California Come detto l’accordo Ue-Usa premia gli Stati Uniti. Per frutta a guscio (noci e nocciole) e prugne della California, i prodotti più richiesti in Italia, nessuna variazione di listino. Lo stesso vale per i pompelmi. Attenzione, però: l’intesa sui dazi così com’è non piace a molti paesi dell’Ue, che vorrebbero modifiche, e anche importanti. Mentre l’amministrazione americana minaccia di far saltare l’accordo se l’Unione europea non rispetta gli impegni. Con queste premesse non può essere escluso che alla fine l’intesa possa anche saltare. Del resto, ha messo in chiaro la Commissione europea attraverso il portavoce Olof Gill, «i contro-dazi al momento congelati possono essere riattivati in qualunque momento». In quel caso scatterebbero tariffe europee del 30 per cento sui prodotti Usa. In un siffatto scenario si può già delineare il cambiamento per il consumatore italiano ed europeo. Versatili in cucina per il loro utilizzo variegato e pratiche per il loro periodo di lunga conservazione, le prugne della California sono sempre più richieste. Attualmente il prezzo al chilo oscilla tra i 14 e i 16 euro, e un eventuale dazio europeo del 30 per cento lo farebbe salire tra 18,20 euro e 20,80 euro. Un rincaro niente male. Ma sono prezzi medi, perché a seconda della tipologia e del metodo di realizzazione il listino potrebbe essere anche più salato. Le prugne della California “bio” e senza glutine possono arrivare a costare anche 22 euro al chilo, che diventano 28,60 euro con la tariffa per il prodotto di importazione. Il frutto del drago che viaggia lungo la Via della Seta Diverso il caso per le noci, il cui prezzo varia dai 5 ai 15 euro al chilo per quelle sgusciate. Queste ultime sono considerate di più alta qualità rispetto a quelle in guscio, il cui prezzo medio si ferma sui 6 euro al chilo. Ad ogni modo anche qui un dazio europeo in risposta alle tensioni commerciali con gli Stati Uniti o mancate intese su contropartite agro-alimentari europee da vendere in America, un balzello del 30 per cento vorrebbe dire noci più care: fino a 7,80 euro per quelle in guscio, fino a 19,50 euro per quelle sgusciate. Ancora, a seconda della varietà il prezzo di un pompelmo statunitense in Italia può variare tra 1,88 e 3,56 euro al chilo. Qui se le cose si mettessero male per il consumatore italiano vorrebbe dire rincari dai 56 centesimi agli 1,07 euro. [Missing Caption][Missing Credit]